Il 18 maggio di 42 anni fa stava per avere inizio una delle eruzioni vulcaniche più importanti ed iconiche della storia della vulcanologia moderna. Stiamo parlando della catastrofica eruzione che ha interessato il vulcano St. #Helens, negli Stati Uniti. 🧵👇
La sequenza sismica che ha preceduto l'eruzione del 18 maggio è iniziata nel corso del pomeriggio del 20 marzo con un importante terremoto di magnitudo 4.1, un evento che ha messo in allerta gran parte dei vulcanologi della zona.
Con il passare delle settimane, il numero e l'intensità dei terremoti non è diminuito ma anzi, in un primo momento ha subito un improvviso aumento che si è poi stabilizzato nei giorni e nelle settimane successive.
Gli ipocentri molto superficiali delle scosse erano spesso accompagnate da lunghi episodi di tremore vulcanico, un segno inequivocabile che all'interno del vulcano era in corso un movimento magmatico.
Alcuni giorni dopo l'inizio di questa importante sequenza sismica infatti, il St. Helens ha prodotto la sua prima esplosione, più precisamente la sua prima esplosione freatomagmatica, ovvero un tipo di attività esplosiva in cui il magma interagisce con acqua, neve o ghiaccio.
Tale esplosione ha formato lungo le pareti del vulcano un cratere dal diametro di 400 metri e ha generato un piccolo pennacchio di cenere e vapore che ha raggiunto i 2.000 metri di quota.
Dopo l'esplosione, il vulcano sembrava più tranquillo, il numero dei terremoti è progressivamente diminuito mentre piccoli pennacchi di vapore si sono elevati soltanto sporadicamente dalla cima del vulcano.
I vulcanologi della zona non erano però affatto tranquilli in quanto le immagini aeree ottenute durante la prima settimana di aprile hanno mostrato un netto rigonfiamento del fianco settentrionale dell'edificio vulcanico.
Tale rigonfiamento in alcuni punti aveva già superato gli 80 metri, un valore spaventoso. Nei giorni successivi, oltre a svolgere i soliti campionamenti di gas e l'ordinaria manutenzione ai sismografi posti in cima al cratere, i vulcanologi americani decisero di installare-
-alcuni riflettori proprio sul fianco che si stava rigonfiando. Grazie a queste nuove rilevazioni si scoprì che il fianco settentrionale del vulcano si stava gonfiando di oltre 2 metri al giorno, tant'è che negli ultimi giorni di aprile si superarono i 140 metri totali.
L'inflazione del vulcano spinse le autorità locali ad istituire una zona rossa ampia 12 chilometri dal cratere sommitale, un'ordinanza che scatenò diffuse proteste a causa dei danni economici che stava recando all'economia locale.
Eppure con il senno di poi i 12 chilometri furono perfino sottostimati quando la furia della montagna sfogò tutta la pressione che aveva accumulato nel corso dei mesi e dei secoli.
Senza nessun'altro precursore infatti, durante la mattina del 18 maggio un terremoto di magnitudo 5.2 scuote l'intero edificio vulcanico. È la goccia che fa traboccare il vaso: l'intero fianco settentrionale del vulcano frana in modo improvviso verso il lago Spirit-
-dando così inizio a quella che a tutti gli effetti fu un'impressionante eruzione laterale. Il magma presente all'interno del vulcano viene improvvisamente decompresso di circa 300 atmosfere, un evento che fatichiamo anche solo ad immaginare.
Questa decompressione genera un'esplosione orizzontale che forma una serie di flussi piroclastici che si espandono ad una velocità di oltre 200 km/h, seminando morte e distruzione in un'area di oltre 600 km².
Boschi, strade, ferrovie, rifugi, ponti e fabbriche vengono completamente distrutti e formano uno dei paesaggi più spettrali della storia vulcanologica moderna.
Le immagini più emblematiche in tal senso furono quelle scattate ai 6 milioni di tronchi abbattuti nei dintorni del vulcano. Appena qualche ora dopo, una nuova esplosione generò una nuova colonna eruttiva alta più di 27 chilometri.
Tale colonna col passare delle ore è collassata su se stessa formando una serie di nuovi flussi piroclastici che si sono espansi in un'area in cui non era rimasto già più nulla.
Il bilancio finale fu di 57 morti, tra cui il giovanissimo vulcanologo David Johnston, le cui ultime parole segnarono per sempre la storia del St. Helens: “Vancouver, Vancouver… eccola”.
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