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Il regista Sergio Leone a fine anni ‘80 era intento nella preparazione di un film, e Michail Gorbačëv aveva già garantito al regista la disponibilità di una parte dell’Armata Rossa come comparse e per supporto tecnico-organizzativo.
Cosa aveva in mente?
Un film ambientato in Russia, ma su cosa?
Mi sarebbe piaciuto vederlo: non so se sarebbe stato un film di guerra, o un film sulla tenacia delle persone, sulle privazioni e sofferenze, forse sull’orgoglio indomabile. Il tema che aveva in mente era l’assedio di San Pietroburgo.
Nella nostra fantasia se sentiamo la parola “assedio” pensiamo al Medioevo, alle catapulte, alle cascate di olio bollente gettate dai bastioni. Dimenticate tutto ciò. Qui l’assedio è stato una guerra di trincea, di cannoni, ma soprattutto di isolamento. E di fame.
A dire il vero la città dal 1924 fino al 1991 si chiamò Leningrado, in onore di Lenin e della rivoluzione bolscevica che aveva detronizzato gli Zar. E ucciso migliaia di oppositori.
Ma questa è un’altra storia, a me piace pensare a San Pietroburgo come culla dell’arte e cultura.
L’Hermitage, il Museo della Storia Russa, le residenze di Pietro il Grande, la Prospettiva Nevskij, Dostoevskij, Puskin, Gogol, Nabokov, tanto per citarne alcuni.
Ma andando lì i visitatori curiosi possono scoprire anche i momenti tragici passati dalla città.
Leningrado aveva più di 3,5 milioni di abitanti nel 1941, ed Hitler, mentre il grosso delle truppe avanzava verso Mosca, pensava che con una guerra lampo si sarebbe impadronito facilmente della città. L’assedio durò dal 8 settembre 1941 al 27 Dicembre 1944. Più di 3 anni.
Le truppe naziste, non essendo riuscite a conquistare la città, la circondarono completamente, sia per terra che per mare. Oltre a bombardarla quotidianamente il problema più grosso per la popolazione erano gli approvvigionamenti di cibo. Non arrivava più nulla.
Nel corso del primo inverno dell’assedio perirono a causa del freddo e della fame 780mila leningradesi, malgrado fossero stati allestiti dovunque ospedali e mense. A questi vanno aggiunti coloro rimasti vittime dei continui bombardamenti.
Gli abitanti di Leningrado erano costretti ad attingere l’acqua dalle buche nell’asfalto provocate sulla Prospettiva Nevskij dagli attacchi dell’artiglieria. Anche gli impianti di approvvigionamento idrico erano stati gravemente danneggiati.
Malgrado ciò, e per sostenere il morale degli abitanti, il Teatro Aleksandrinskij allestiva spettacoli musicali. Nei giorni dell’assedio il celebre pianista sovietico Dmitrij Shostakovich compose la Settima sinfonia di Leningrado, diventata poi celebre ovunque.
Si preoccuparono anche di preservare gli inestimabili capolavori delle loro collezioni d’arte. Durante il conflitto le tele erano state staccate dalle cornici e sistemate nelle cantine del museo dell’Hermitage.
L’unica via di salvezza fu l’apertura della “Strada della Vita”, che durante l’inverno attraversava il Lago Ladoga ghiacciato. 48 km di strada ghiacciata, con il rischio che i camion sprofondassero nel grande lago. Purtroppo era percorribile solo nei mesi più rigidi.
Durante il primo inverno fu possibile comunque portare in città 360.000 tonnellate di viveri, poco per una città grande più della Milano di oggi. Ma bastò loro per resistere. Per resistere al freddo invece la popolazione bruciò man mano tutta la mobilia di casa.
Si narra di episodi di cannibalismo, ma se realmente avvennero non furono mai documentati ufficialmente. Mentre si sa per certo che pur di masticare qualcosa la gente arrivò a staccare e a mangiare la carta da parati.
Alla fine della guerra, quando le truppe tedesche si ritirarono, si stima che 1,5 Mil di abitanti persero la vita.
Leningrado era distrutta, sfinita, ma era ancora viva: era sopravvissuta ad uno dei più grandi eccidi della storia, del nazismo. Chissà Sergio Leone...
Un grazie a @Albe_Cortinovis che mi ha dato l’imput per raccontare un evento storico che sui libri occupa forse due righe.
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