"La verità è che coloro che iperaffermano così la loro onnipotenza di vene e muscoli enfiati, non fanno altro che sottolineare un sentimento di impotenza. Sono dei corpi-vetrina, dei corpi da esibire nei concorsi di bellezza, impacciati nei movimenti quanto quelli obesi,
corpi che esagerano una mascolinità di cui non offrono che il simulacro.
Queste contraffazioni della virilità non sono mai state virili. La virilità si mette alla prova sui campi di battaglia, in strada, nell'arena, nella dura lotta della vita, non nel bunjee jumping,
né davanti a uno specchio che rimanda a Narciso l'immagine d'un toro furente, che sa, nel fondo di se stesso, di non esser altro che un bove impotente.
Julius Evola paragonava certi corpi ipertrofici al corpo dei crostacei: duro all'esterno, molle all'interno, perché l'ipervirilità non fa che rimandare all'ipervulnerabilità.
Una constatazione che vale quanto una legge: l'uomo non è mai stato così poco coraggioso da quando parla tanto dei propri muscoli, della prostata, del suo pene, ma svincolato dalla sua virilità arcaica, sbarazzato dei peli pubici e liberato dalla sua violenza protettrice.
Del resto, se il coraggio - ci si vergogna a ricordarlo - si limitasse al tasso di testosterone, le donne ne sarebbero universalmente prive. Orbene, il coraggio è indifferentemente maschile o femminile (dove collochiamo altrimenti il coraggio di Atena e di Antigone,
quello di Giovanna d'Arco e di Carlotta Corday?).
Nel coraggio, l'unico muscolo che non deve cedere è il cuore.
Rodrigo, tu hai cuore? 80".
80 Il riferimento è ancora a un'opera di Pierre Corneille, <<Il Cid>> del 1636, il cui protagonista, Don Rodrigue, interpreta il personaggio storico di Rodrigo Diaz de Vivar, leggendario condottiero e cavaliere medievale spagnolo.
François Bousquet, Coraggio! manuale di guerriglia culturale, Passaggio al Bosco Edizioni, 2021.
Mark Wahlberg, Pain & Gain, 2013. #CercandoLaVerita#SalaLettura@SalaLettura
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"Ma che cos'è in fondo la Natura? La rosa del mio giardino è la Natura? Sì e no. Sì, per il motivo che potrebbe forse vivere e rinnovarsi senza il mio aiuto.
No, nella misura in cui è <<fabbricata>> da giardinieri esperti, senza i quali essa non sarebbe ciò che è. Allora, che cos'è la Natura?
Risposta: è ciò che esiste e vive del suo stesso movimento, senza l'intervento umano o suo malgrado.
Secondo la definizione di Aristotele, è ciò che possiede in sé il principio del suo divenire. Il vento, le maree, le vipere, le beccacce, i caprioli, le vespe, le murene, le volpi, le pianure, lo scorrere dell'acqua dopo la pioggia appartengono alla Natura.
"Un consiglio dadaista: abbandoniamo le nostre futili preoccupazioni!Rimandiamo a domani i piatti da lavare, spegniamo pc e cellulari, lasciamo piangere i bambini e apriamo senza indugio l'Iliade e l'Odissea per leggerne qualche passaggio ad alta voce, seduti di fronte al mare,
davanti a una finestra, in cima a una montagna. Lasciamo entrare in noi i loro canti sublimi e sovraumani: ci aiuteranno a diradare la nebbia del nostro tempo.
Secoli orribili si annunciano. Tra non molto, i droni sorveglieranno un cielo saturo di biossido, sistemi automatizzati controlleranno le nostre identità biometriche e sarà proibito rivendicare una propria specificità culturale.
"Terra sarda, rossa, amara, virile, intessuta in un tappeto di stelle, da tempi immemorabili fiorita d'intatta fioritura ogni primavera, culla primordiale – sentii la sua dolce altalena nel mare. Le isole sono patria nel senso più profondo,
ultime sedi terrestri prima che abbia inizio il volo nel cosmo. A esse si addice non il linguaggio, ma piuttosto un canto del destino echeggiante sul mare. Allora il navigante lascia cadere la mano dal timone;
si approda volentieri a caso su queste spiagge. Che cosa pensare di simili fiori di loto nel mare azzurro?".
"<<Homeros>>, secondo Erodoto (V. Hom. 13) equivale a <<guercio>>, è un nome simbolico attribuito al vate ispirato dagli dèi. L'autore dell'<<Inno ad Apollo Delio> , il medesimo dell'Iliade, si autodenomina <<il cieco di Chio>>,
afferma che i suoi canti saranno sempre i più belli e che gli uomini crederanno in essi <<perché questa è la verità>> (173-176). Il poeta ispirato dalle Muse si propone, dunque, come maestro di verità.
La <<bellezza>> del canto si riferisce in primo luogo al contenuto di verità presente nella composizione poetica.
La simbolica cecità, attributo tradizionale del poeta-vate, esprime la capacità, propria alle <<anime elette e ricettive>>,
Gli uomini esistono solamente attraverso ciò che li distingue
"Al di là delle credenze di ognuno, esistono dei principi fondamentali di ogni vita umana che il confondersi di tutti i punti di riferimento esige di ricordare.
Per prima cosa, come genialmente formulato da Heidegger in <<Essere e Tempo>> (Sein und Zeit), l'essenza dell'uomo è nella sua esistenza terrena, e non in un <<altro mondo>>.
È qui ed ora che si gioca il nostro destino, fino all'ultimo secondo.
E quest'ultimo secondo ha tanta importanza quanto il resto di una vita.
Ecco perché occorre esser se stessi fino all'ultimo istante, soprattutto all'ultimo istante.
La prima lezione di Solzhenitzyn.
Non vivere nella menzogna
"Tutto era sovradimensionato in Aleksandr Solzhenitzyn. I libri, la statura, il fardello, la <<russicità>>, il pubblico, tutto, salvo una cosa: il rifiuto che ha opposto alla menzogna.
Perché questa possibilità, questa dissidenza è comune a tutti gli uomini. Si trova depositata in ciascuno di noi. Come un seme. Starà agli uni e agli altri coltivarla. È <<il grano caduto nelle macine>>, per riprendere il titolo della seconda parte delle sue memorie.
Per quanto sia frantumata, questa dissidenza fruttificherà; abbandonata, sarà impollinata; calpestata, germoglierà di nuovo. Di tutte le lezioni che Solzhenitzyn ha lasciato, questa è la più importante: