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"Finiremo tutti colpevoli per non aver capito che i mali grandi e irrimediabili dipendono dall’indulgenza verso i mali ancora piccoli e rimediabili” (V. Foa)

Jan 21, 2021, 20 tweets

«Sono sei miglia al largo di Avezzano, altezza duemila piedi. Posso scendere?»

«Non c’è traffico. Scendete pure»

Sono quasi le 19. E’ una bella domenica e ho approfittato per fare un volo d'addestramento a bordo di questo stupendo Augusta Bell 205.

E’ un elicottero nuovo e moderno rispetto al vecchio Agusta Bell 47 G 3B-1 con cui ho operato per tanto tempo.
Quante missioni abbiamo compiuto insieme.
E quante vite ho salvato nelle oltre 3.500 ore di volo.

Le ricordo tutte, sapete? Quante vite di preciso? Parecchie. Basta contare gli omini stilizzati sulla carlinga del mio vecchio elicottero.
Dicono che sono un pioniere dell’elisoccorso in Italia. Vero. Le prime tecniche di salvataggio di persone in mare sono mie.

E come vi ho detto, per niente facile con quegli elicotteri. Con quella barella collocata all’esterno, per esempio.
E se avevi bisogno di un medico a bordo?
Qualcuno, quasi sempre il motorista, doveva rimanere a terra. Il cestello di recupero? Una mia idea.

«Mai vista tanta nebbia. Sono a mille piedi. Scendo ancora»

Ci mancava pure la nebbia. Con me a bordo ci sono il motorista VF Elio Magnanego, il pilota VF Ugo Vignolo ed il pilota civile Ugo Roda.
Un volo d’addestramento dopo il decollo dall’Aeroporto di Villanova d’Albenga.

Vi stavo dicendo dei miei salvataggi. Tanti.
Ogni volta che c'è un problema in mare io ci sono.
E non solo in mare.
Non sempre con successo, ma io ci sono sempre con il mio elicottero.
Non per niente mi chiamano “l’angelo custode sull’elicottero rosso”.

«Sono a 500 piedi, c’è nebbia, non vedo il mare. Non si vede niente!»

Sono diventato nonno da poco, sapete?
Ne ho fatta di strada per arrivare al grado di maggiore dei vigili del fuoco. Prima di diventare elicotterista ho preso persino il brevetto di Sommozzatore.

Ricordo quel 2 agosto 1961 quando chiesero il nostro intervento.
Di fronte i cantieri ANSALDO di Genova, sette operai erano a dodici metri di profondità.
Intrappolati dopo il ribaltamento di un cassone di cemento. Otto ore per farli salire. Sani e salvi.

Ho fondato, a Genova, il Nucleo Elicotteri dei VV.FF. specializzati in operazioni di soccorso.
L'ho detto e ripetuto più volte durante quella premiazione.
Due anni fa, come personaggio dell’anno, intendo.
Che avevo fatto solo il mio dovere.
Solo il mio dovere.

Quando?
Quel giorno, il 9 aprile 1970, quando scattò l’allarme.
Il mercantile London Valour, battente bandiera del Regno Unito era alla fonda.
Per via del fortissimo vento era andata a sbattere contro la diga foranea nel porto di Genova.
E stava affondando.

Non c’era tempo da perdere. Anche perché, avevo pensato, pilotine della guardia costiera, gommoni e pescherecci non potranno avvicinarsi con quel vento e con quei marosi. Troppo pericoloso.
Ricordo che la motovedetta CP 233 della Capitaneria di Genova riuscì ad avvicinarsi.

Io non ci pensai due volte.
Sapevo di rischiare la vita con quel vento e il mio piccolo elicottero AB 47 G "libellula".
Continuai a sorvolare la zona lanciando salvagenti ai naufraghi.
Ballavo, eccome se ballavo, ma era mio dovere essere lì.
bit.ly/2LuTH9D

Oltre a me e alla motovedetta CP 233 del tenente di vascello Giuseppe Telmon e i suoi sette uomini, arrivò in soccorso anche il pilota Cap. Giovanni Santagata con la Pilotina Teti.
Fu lui a coordinare i soccorsi verso la London Valour.

Il London Valour, aveva cinquantasei uomini d’equipaggio e due passeggeri.
Tra questi Dorothy, la moglie del comandante della nave Edward Muir.
Ne salvammo trentotto. Tredici vennero recuperati morti dalle onde. Altre sette morirono in ospedale.

Tra le migliaia di persone che assistevano al naufragio e alle operazioni di salvataggio c’era anche Fabrizio De Andrè.
Volle immortalare quella tragedia in una canzone “Parlando del naufragio della London Valour”.

Le indagini appurarono le gravi responsabilità del capitano Muir. Le ricostruzioni della sua morte divergono. Sicuramente inghiottito dalle onde.
Una delle ricostruzioni vuole che si sia gettato in mare per salvare la moglie. Inutilmente. Morendo con lei.

«Siamo in difficoltà. Siamo in difficoltà»

Questo l’ultimo messaggio del maggiore Rinaldo Enrico alle 19.05 del 6 maggio 1973.
Poi più niente. Il suo corpo verrà recuperato molti giorni dopo insieme ai suoi compagni di volo.

Il Maggiore Enrico Rinaldo effettuava ogni tipo di salvataggio anche se in condizioni estreme.
Per questo era stato decorato molte volte al valore civile. Compresa una medaglia dell’Ammiragliato Britannico per il salvataggio degli uomini della London Valour.

Una lapide nei pressi della spiaggia di Vernazzola ricorda il maggiore Enrico e i suoi compagni.
“Non siete tornati dal mare per l'ora di cena, ai nostri cuori avete dato una gran pena. A te Maggiore Enrico e a tutti i tuoi compagni porteremo un fiore in mare per anni e anni”

Grazie a @groumarx55 per avermi suggerito di raccontare la storia del maggiore Rinaldo Enrico.
“L’uomo che vegliava dall’alto i genovesi in pericolo”.
E non solo i genovesi.

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