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per fortuna c'e' una canzone per tutto.

May 8, 2021, 16 tweets

"Lavoro moltissimo. Ma non posso pensare di fare altro che la cattedrale. È un lavoro enorme!" scrive Monet nel 1893 al suo gallerista.
Aveva iniziato questa sua nuova serie sulla cattedrale di Rouen l'anno prima, dipingendo forsennatamente per oltre 10h al giorno,da uno stanzino

affittato in un palazzo di fronte, che a un certo punto era stato costretto a lasciare e cercarne uno accanto - perciò le 31 tele della serie da un dato momento appaiono leggermente diverse nella prospettiva.
Aveva iniziato qualche anno prima coi covoni, poi era passato ai pioppi

finché, esasperato dai continui mutamenti della natura che lo costringevano a rivedere costantemente il lavoro e non finire mai di rimetterci il pennello, aveva deciso che la facciata della cattedrale, ricca di statue ma immutabile, poteva fare meglio al caso suo. Voleva studiare

la luce e l'effetto che questa produce sulla ns percezione della realtà (cosa ben diversa dalla realtà oggettiva), l'effetto delle condizioni meteo sull'atmosfera e i colori, la variazione da un'ora all'altra del giorno, e tra le stagioni. Così nascono le serie, da un pensiero

progettuale molto impegnativo.
La natura è il 1°oggetto d'interesse, già prima delle serie. Le lettere che scrive al gallerista, a Alice, agli amici sono bellissime, c'è tutta la sua frustrazione, la fatica, l'affanno della sua ricerca, l'impazzimento e la rabbia. "Sono assoluta-

mente scoraggiato e scontento di ciò che ho fatto qui. Ho voluto fare troppo bene e ho finito col guastare quello che era fatto bene. Ora abbandono tutto e me ne torno a casa. E non sballerò nemmeno le mie tele. Non voglio vederle finché non mi sarò calmato!" Oppure "Quanto più

vado, tanto più vado male. Lavoro a forza senza avanzare, cercando, brancolando, senza sboccare a granché, ma al punto da essere stremato."
Esigente con se stesso fino all'eccesso, autocritico fino alla frustrazione. "Ci divento pazzo! E disgraziatamente me la prendo con le mie

povere tele. Un gran quadro di fiori appena fatto l'ho distrutto, e così 3 o 4 tele che avevo. Non solo grattate. Le ho proprio bucate!" Cosa che, leggendo la corrispondenza, si capisce che faceva non di rado. "Sono deciso a piantare tutto" scriveva, in preda ai nervi. Perché cmq

la natura era mutevole. Magari pioveva per giorni, le foglie cadevano, i rami si spezzavano, i petali fradici si trasformavano irrimediabilmente fino ad essere irriconoscibili. E lui, sotto il sole a picco o le intemperie,coi suoi reumatismi, dopo tante scarpinate per trovare ciò

che cercava e aver iniziato a dipingerlo, si ritrovava davanti tutt'altro dopo un temporale o una nevicata, e allora lavorava contemporaneamente a 5, 6 tele, fino a 9. "Ho consumato tutte le mie tele, le scarpe, le calze, persino i vestiti. Sono stanco, a volte molto stanco, di

questa lotta continua, di questo mestiere da cani."
E così arrivò alla cattedrale. Per dipingere la quale non doveva andare in mezzo alla campagna e poteva stare al riparo dietro a una finestra. E con 20 di queste 31 tele ne uscì una personale nel '95, stavolta ben organizzata, e

finalmente sembrò ben consapevole, forse per la prima volta, del proprio valore. Dopo tanti tormenti, evidentemente alla fine era soddisfatto. E sparò al gallerista una cifra stratosferica: 15mila franchi a pezzo. Ho letto che a occhio e croce era l'equivalente di 75-100mila €.

Il gallerista penso che sgranò gli occhi come me,provando magari a obiettare qualcosa. Ma 3 pz vennero venduti ancor prima dell'inaugurazione e penso che alla fine si dovette ricredere. Era finalmente chiaro a tutti (forse più di tutti a Proust) che nella pittura era successo qcs

da cui non si sarebbe più tornati indietro e soprattutto che non si poteva più sbeffeggiare come tanta critica ortodossa aveva fatto, con grande delusione e sconforto di Claude. Clemenceau, politico illustre del tempo, si batté non poco perché lo Stato acquistasse in blocco tutta

la serie della Cattedrale. Non vi riuscì. Ma ne scrisse un'esegesi ammiratissima, chiedendo anche scusa per essersi concesso per un giorno di rubare il mestiere ai critici d'arte.
Insomma, Monet c'era riuscito. Voleva dimostrare come la luce, a seconda del tempo, dell'ora, della

stagione, mutasse l'aspetto delle cose e dei colori. Tutti i colori del mondo ma non il nero, neanche per le ombre: "il nero non esiste!"
Così dicono che quando morì, Clemenceau fece togliere il drappo a lutto dalla bara. "No! Niente nero per Monet!". E la ricoprì di fiori. :)

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