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"Finiremo tutti colpevoli per non aver capito che i mali grandi e irrimediabili dipendono dall’indulgenza verso i mali ancora piccoli e rimediabili” (V. Foa)

Mar 8, 2022, 13 tweets

Allo scoppio della seconda guerra mondiale mi diagnosticarono un’artrosi all’anca.
Per il progressivo peggioramento della mia malattia trascorsi tutto il periodo della guerra a Parigi, chiusa nel mio appartamento, al Palais-Royal.
Senza mai smettere di scrivere.

Ho trascorso anni inchiodata dall’artrite su una poltrona speciale che mi faceva anche da letto e che mi permetteva di scrivere e leggere fino a tarda ora addormentandomi spesso sulla pagina.
"Era come una bambina. Le bimbe non dovrebbero morire” scriveranno dopo la mia morte.

Vero. Avevo trovato il segreto dell’eterna giovinezza che mi aveva portato alla ribalta del successo.
Bambina, fino alle 20.30 di oggi 3 agosto 1954.
Addormentata per sempre, rovesciata sui cuscini del grande letto stringendo la mano a Maurice, mio marito. Accanto al mio gatto.

Perché sono diventata una scrittrice?
Avevo 22 anni e mi chiamavo ancora Sidonie Gabrielle Colette quando il mio primo marito, Willy, mi disse: “Tu sai raccontare, sei nata per scrivere.
Prova a buttar giù, senza pensarci sopra, i tuoi ricordi di bambina”.
E così avevo fatto.

Raccontai di me, nata in un villaggio della Borgogna nel 1873, di mio padre, Jules-Joseph Colette, un uomo eccezionale e ricco di stranezze.
Del mio paesetto, della prima giovinezza, degli animali e della mia infanzia e del dissesto finanziario che portò alla rovina la famiglia.

Quando Willy lesse quello che avevo scritto fece una smorfia: “MI sono sbagliato, credevo che tu avessi la stoffa. Un racconto noioso"
Già. Infatti uscì subito nelle librerie con il titolo”Claudine à l'école”.
Fu un grosso successo.
Che mi fece conoscere meglio il mio maritino

Willy, pseudonimo dello scrittore Henri Gauthier Villars, non era che un fannullone e uno speculatore. Non aveva mai scritto una solo pagina in vita sua. Lui i romanzi li comprava, a poco prezzo, e li lanciava col suo nome.
Era diventato famoso speculando sulle fatiche di altri

Per questo lo avevo lasciato, dopo aver scritto altri libri.
Pensavo di vivere agiatamente con i diritti d’autore, ma lui aveva venduto tutti quelli dei miei romanzi, lasciandomi senza un soldo.

Così feci tutti i mestieri. Per guadagnarmi da vivere.
Cantare canzonette, danzare in music-halls di second'ordine (poco coperta), la guardarobiera, la sarta, persino la correttrice di bozze.

Continuai però a scrivere, diventando con gli anni una grande e ricca scrittrice.
Ho avuto tre mariti e un amante, sempre al centro di scandali per le mie relazioni sentimentali.
Arrivando fino ad oggi, 3 agosto 1954, giorno della mia morte

Mi hanno riservato, prima donna nella storia della Repubblica Francese, i funerali di Stato.
Invece l’Arcivescovo di Parigi mi ha rifiutato le esequie religiose.
Nessun prete e funzione al mio funerale.
E quella storia del recupero della pecorella smarrita? Vabbè.

Probabilmente l’Arcivescovo non ha mai avuto gatti.
Perché, sapete, a frequentare un gatto si diventa sempre delle persone migliori.

Colette amava i gatti. Si è sempre fatta fotografare con loro e li ha resi protagonisti in molte delle sue opere.

Aveva un amore speciale per gli eleganti felini dagli «occhi dolci e dorati», come li descrive nel romanzo breve "La gatta".
Molte fotografie la ritraggono circondata dai suoi “amici pelosi”.
In giardino e nel suo studio.

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