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"Finiremo tutti colpevoli per non aver capito che i mali grandi e irrimediabili dipendono dall’indulgenza verso i mali ancora piccoli e rimediabili” (V. Foa)

Jun 18, 2022, 18 tweets

La famiglia Nulli, la mia, si ritrovò dopo la Liberazione.
Un incontro meraviglioso.
C’erano tutti, anche mia sorella Agape Nulli Quilleri, staffetta partigiana della Brigata “Tito Speri” delle Fiamme Verdi bresciane.
Tutti vivi. O meglio, quasi tutti.
Tutti tranne me.

Perché non sono tornato alla fine della guerra per abbracciare la mia famiglia?
No, non sono caduto in battaglia.
Quello che mi è successo è parte di un episodio purtroppo dimenticato, avvenuto nel marzo del 1942.
Dimenticavo.
Mi chiamo Giuseppe Nulli.

A quel tempo facevo parte del Battaglione Gemona, della più importante e gloriosa divisione da montagna del Regio Esercito Italiano: la Julia.
Ci avevano spedito in Grecia.
Perché dovevamo spezzarle le reni, ci avevano detto.
Difficile riuscire a farlo a dorso di mulo.

In quei giorni dovevamo lasciare la Grecia e rientrare in Italia per essere inviati sul fronte russo.
Ci imbarcammo alle 7 del mattino del 27 marzo 1942.
La nave che ci doveva trasportare in Italia era ormeggiata nella rada di Lutraki, nel Canale di Corinto.

La nave era il piroscafo Galilea, una nave passeggeri della Adriatica Società di Navigazione.
Era stata varata col nome di Pilsa, vantava 8.040 tonnellate e due eliche che ci avrebbero spinto a una velocità di 13 nodi e mezzo via Lutraki, fino a Corinto, poi verso verso Bari.

Non eravamo soli.
Il convoglio comprendeva il Crispi e la Viminale, i piroscafi Piemonte, Ardenza e Italia; il cacciatorpediniere Sebenico, con le torpediniere San Martino, Castelfidardo, Mosto e Bassini di scorta.
A proteggerci gli aereo siluranti della Regia Aeronautica

Ma solo di giorno.
Eravamo alpini, non troppo pratici di imbarchi.
Ognuno di noi aveva ricevuto un salvagente e le relative istruzioni.
Tra cui quella di tenere le scarpe slacciate, d’impaccio durante un affondamento.
L’ultimo a salire fu il comandante Carlo D’Alessandro

Alla fine eravamo in totale 1329 imbarcati sul Galilea.
969 gli alpini.
689, tra cui il sottoscritto, appartenenti al Battaglione Gemona.
C’erano anche 70 detenuti politici greci (64 uomini e 6 donne).
Sapevamo dei rischi.
E sapevamo che erano parecchi

Eravamo in 1329, ma c’erano scialuppe solo per 520, tanto per cominciare.
Oltretutto la Regia Marina era in una crisi profonda a causa della mancanza di unità di scorta, oltre a avere armi antisommergibile limitate.
Ma quello, non era nemmeno il lato peggiore.

Tutti sapevano che spostare truppe in quel mare era praticamente un suicidio.
Quello era un lembo di mare infestato da sommergibili, con Malta ancora in mano a Sua Maestà, e Gibilterra pronta ad aprire le colonne d’Ercole a quei predatori.

Noi alpini eravamo ammassati tra i saloni della prima e della seconda classe, sparsi sui i vari ponti, a bere grappa, a fumare sigarette e a giocare carte.
Ognuno raccontava della propria famiglia, con un pensiero a chi aveva trovato la morte in Grecia.

C’era un singolo predatore oltre il canale d’Otranto.
Il sommergibile inglese HMS Proteus comandato da Phillip Steward Francis.
In avvicinamento silenzioso. Quota siluri.
Alle 23:45 la Galilea fu colpita da un siluro sulla sinistra che causò uno squarcio di circa 6 metri per 6

La nave cominciò a sbandare inclinandosi di 15 gradi. Il comandante cercò di portare la nave verso alcune isole. Inutilmente.
L’agonia della nave continuò fino alle 3,50 del 29 marzo, quando affondò.
Era il 29 marzo, ma la data ufficiale della tragedia è rimasta il 28 marzo 1942.

Eravamo alpini, provenivamo da zone montuose, la maggior parte di noi non sapeva nemmeno nuotare e dopo che il siluro colpì la "Galilea" fummo presi dal panico.
Le acque fredde e la presenza del sommergibile nemico impedirono le operazioni di salvataggio.

Dei 1329 uomini imbarcati sulla Galilea le vittime furono 1050, mentre i superstiti 279.
Tra gli alpini imbarcati i superstiti furono 141.
Il battaglione Gemona praticamente distrutto.
Dei 689 uomini del Gemona, morirono in 651.
Tra cui il sottoscritto, Giuseppe Nulli.

La cosa più triste fu che la maggior parte delle vittime non venne mai ritrovata, dispersa in mare.
Alcuni corpi vennero portati dalla risacca sulle coste della Grecia (Prevesa e Corfù), dell’Albania (Saseno) e persino della Puglia

La notizia del disastro, telegrafata solo il giorno dopo, spezzò il cuore al Friuli: il Gemona non esisteva più.

MAI DAUR GEMONA! (MAI DAUR, Mai indietro, motto del 1915)

Questa è la storia della tragedia "alpina" del Galilea.
Giuseppe Nulli era nato a Iseo l’8 settembre del 1919.
Studente universitario e musicista, era partito con gli alpini del Battaglione Gemona.
Volontario.

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