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May 13, 2023, 20 tweets

Il 1^ agosto 1917 il Papa Benedetto XV invia la sua famosa "Lettera ai Capi dei Popoli Belligeranti", esortandoli a intraprendere negoziati di pace e offrendo la mediazione della Santa Sede per raggiungere un accordo.
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Fin dall'inizio del primo conflitto mondiale il Papa ha cercato di mantenere una posizione il più possibile neutrale, prendendo le distanze dal concetto di "guerra giusta" ma anzi definendola un «immane flagello» non solo per i cristiani, ma per l'intera umanità.
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Le varie iniziative di pace, ultima quella del presidente USA Wilson, sono cadute tutte nel vuoto, nonostante la stasi nella situazione bellica sul fronte occidentale, dove i progressi dei contendenti si misurano in migliaia di morti e decine di metri.
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Sul fronte orientale invece la disgregazione del regime zarista, con l'abdicazione di Nicola II il 15 marzo 1917, e il fallimento della "offensiva Kerenskij" di luglio fa pensare allo Stato Maggiore tedesco, che ha di fatto esautorato il governo civile, di avere la vittoria in… twitter.com/i/web/status/1…

È chiaro quindi al pontefice, al riguardo consigliato dal nunzio apostolico in Germania, monsignor Pacelli, il futuro Pio XII, che una azione diplomatica per raggiungere la pace può essere esercitata solo verso le nazioni dell'Intesa (UK, Francia, Italia, Serbia e Russia).
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La lettera è quindi un tentativo che arriva dopo molti altri ma questa volta enuncia gli strumenti pratici che possono portare alla pace: disarmo e arbitrato, libertà dei mari, condono reciproco dei danni di guerra, restituzione dei territori occupati, esame delle questioni… twitter.com/i/web/status/1…

Un particolare poco noto è che la lettera non deve essere di dominio pubblico ma è riservata ai soli ambienti diplomatici dei governi.
La sua pubblicazione sul Times di Londra è quindi uno dei primi "leak", come vengono chiamati oggi, il cui scopo è ben chiaro anche allora.
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L'impatto che ha infatti soprattutto in Italia è molto forte, in particolar modo presso l'Esercito.
Alcuni generali inveiscono contro il Papa.
Uno dice che bisogna impiccarlo, mentre il generale Cadorna la commenta acido come «una pugnalata nella schiena dell’esercito».
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I comandi militari temono che le parole di Benedetto XV demoralizzino le truppe durante la battaglia della Bainsizza.
Cercano di impedire che i giornali raggiungano il fronte.
Ma ben presto la lettera «si diffuse in un baleno, invase d’impeto, a gran festa, l’intera fronte.»
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La stampa invero cerca di dare il minor risalto possibile alla Lettera.
Con qualche eccezione.
L'Avanti, l'organo del Partito Socialista, la definisce un «gesto coraggioso» con «un valore materiale, contingente, che noi riconosciamo e che i governi dovranno riconoscere».
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L’Azione Socialista, organo dei socialisti riformisti, guidati da Leonida Bissolati, la giudicano invece «manifestazione di propaganda banale e criminosa contro la guerra» temendo che questo «pacifismo disfattista» unisse i socialisti coi cattolici.
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Anche Mussolini dalle colonne del Popolo d'Italia attacca la Lettera papale chiamando il Papa "Pilato XV", uguale «al basso livello del legato romano» per la sua ostinata rinuncia a prendere posizione «nella più grande tragedia di tutti i tempi e di tutti i popoli».
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A questi giornali di emanazione politica si aggiunge anche il Corriere della Sera, nella persona del suo direttore Luigi Albertini, che trova le parole del Papa sulla guerra come «inutile strage» una «frase dolorosa» che nega il carattere di «crociata» del conflitto.
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La reazione del governo è affidata al ministro degli esteri Sidney Sonnino che alla Camera il 25 ottobre dice che la Lettera non ha «alcuna adeguata indicazione delle condizioni fondamentali della invocata pace» o basi per «una eventuale transazione».
Fuffa insomma.
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Queste reazioni negative decuplicarono al momento della disfatta di Caporetto alla fine del 1917.
Il corrispondente del Corriere della Sera Luigi Barzini afferma che soldati «incoscienti, allegri» scappano gridando «Viva il papa! Viva Giolitti! La pace è fatta!»
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Desiderosi di coprire la loro incapacità, i comandi militari addossano quindi la responsabilità della disfatta anche alla «influenza clericale pacifista» che attraverso «subdole preghiere» intrise del «veleno del pacifismo» hanno portato ad uno «sciopero militare».
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La polemica politica è ancora più esasperata. Inutile è la difesa da parte del Vaticano che, giustamente, afferma che la Lettera del Papa era destinata ai governi e che è eventualmente responsabilità di quello britannico di averla fatta trapelare alla stampa.
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Il 20 dicembre il deputato repubblicano di Ravenna Giovan Battista Pirolini, durante un discorso alla Camera, cita vari episodi che secondo lui dimostrano la connivenza con il nemico da parte del Vaticani e dei cattolici.
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Pirolini fa parte del "Fascio parlamentare di difesa nazionale", un raggruppamento di politici di diversi partiti, dai radicali ai repubblicani, dai nazionalisti ai liberali, nato per bloccare ogni iniziativa pacifista da parte di socialisti, giolittiani e cattolici.
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Infine per tutto il 1918, persino dopo la resa dell'Austroungheria, rimane in piedi nel discorso pubblico la narrazione del "tradimento" cattolico, cosa che avrà il suo influsso anche nelle dinamiche politiche del dopoguerra, in special modo nel movimento fascista.
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