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Nov 22, 2019 15 tweets 5 min read Read on X
“Le donne sono inadatte a scalare montagne. Devono stare tranquille in casa a servire il tè e fare le pulizie.”
Fu per quello che nel 1969 fondai il "Ladies Climbing Club" (LCC) i cui membri erano tutte donne.
Non la presero bene.
I maschietti, intendo.
Perché io ero una donna.
E nella società giapponese la donna doveva limitarsi ad accudire la casa e a crescere i figli. Una cosa nuova, vero?
Mi chiamo Junko Tabei, Ishibashi il cognome da ragazza, nata nel 1939 a Miharu, nella prefettura di Fukushima.
Sono cresciuta in una famiglia relativamente povera, condizionata dalla II guerra mondiale. Un famiglia molto numerosa, la più giovane di sette figli.
Quando nacque la mia passione per l’alpinismo?
A 10 anni, durante una gita scolastica sul monte Asahi a 2300 metri di altezza
Ero un vero macho. Alta, grossa...
Dai, non è vero, sto scherzando.
Ero uno scricciolo, alto un metro e cinquantadue e un problema congenito ai polmoni che mi provocava spesso febbre alta. Non ero una grande atleta, ma mi allenavo quotidianamente.
E avevo tanta, tanta volontà.
Studiai per diventare insegnante laureandomi in letteratura inglese a Tokyo.
Ma la passione per le montagne non mi abbandonava.
Fu per quello che fondai quel club per sole donne nel 1969.
“Andiamo a fare una spedizione all’estero, da sole".
Il sogno di ogni alpinista?
Lei, la montagna più alta del mondo.
Il posto più pericoloso al mondo.
Volevo salire sull'Everest, seguendo la stessa via del neozelandese Edmund Hillary del 29 maggio 1953.
Nel 1970 ero stata la prima donna a raggiungere i 7.555 metri della terza vetta del massiccio dell'Annapurna.
Fu subito dopo che diedi vita al progetto "donne giapponesi per la spedizione sull'Everest" riuscendo ad ottenere dal Nepal il permesso per guidare 15 donne.
Ci allenammo cinque anni e nel maggio del 1975 iniziammo la scalata. Eravamo a 6.300 metri quando fummo travolte da una valanga. Nessuna ci rimise la pelle, anche se io svenni per qualche minuto. Ripresi la salita,accompagnata solo dallo sherpa, Ang Tsering. Tutto a posto? Magari
Eravamo arrivati a 8.763 metri.
Il mio caro sherpa non mi aveva avvisata.
Per arrivare alla vetta, 8.848 metri, avrei dovuto superare un costone che formava il confine tra il Nepal e la Cina.
Sbagliando potevo precipitare per 5.000 metri in Cina o 4.700 metri in Nepal
Ma ce la feci e diventai la prima donna a scalare l’Everest.
Io Junko Tabei, lo scricciolo.
Era il 16 maggio 1975, 12 giorni dopo la valanga.
Riuscirono a scrivere lo stesso cattiverie. “Scala la vetta e lascia a casa sua figlia con il padre”.
Mio marito era un alpinista.
Junko Tabei, nel 1991, raggiunse la vetta del Monte Vinson: la cima più alta dell'Antartide. Nel giugno del 1992, salendo il Puncak Jaya in Indonesia, divenne la prima donna a completare le Seven Summits, le montagne più alte per ciascuno dei sette continenti della Terra.
Nel 2000 completò uno studio all'università di Kyushu sul degrado ambientale dell'Everest, causato dai rifiuti abbandonati dalle spedizioni.
Dalla prima spedizione sull’Everest, al primo campo base a 5.364 metri di quota, gli scalatori hanno scaricato 1,03 milioni/litri di urina
Nessun, problema, se non fosse che gli abitanti dei villaggi ai piedi dell’Everest dipendono dalle acque del disgelo.

Dal 2008 lo sherpa Dawa Steven guida una spedizione annuale per raccogliere tutti i rifiuti.
Ha recuperato già circa 15 tonnellate di rifiuti.
Junko Tabei, direttrice dell'Himalayan Trust of Japan, ha realizzato un inceneritore per eliminare i rifiuti sull’Everest.
E’ morta il 20/10/2016 a 77 anni.
Qualche mese prima di morire, guidò, sul monte Fuji, un gruppo di giovani, sfollati a seguito del disastro di Fukushima.
Grazie a @Ulyfey per avermi chiesto di raccontare la storia di Junko Tabei, che tutti volevano a casa a fare le pulizie.
Lei invece aveva una sola filosofia: vivere la vita al massimo.
Sempre.
Tanto le pulizie possono aspettare.

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Jun 25
So la fatica che hai fatto, Johannes.
Poche informazioni, niente biografia, niente ritratto, la mia figura dimenticata, scomparsa nel nulla.
E quella data poi.
La mente va sempre alla rivoluzione industriale, o alle prime leghe emiliane.
Ma tutto ebbe inizio molto tempo prima.
«Lo so.
Qualche secolo prima.
Torniamo al 1333, un anno importante per Firenze.
Con i suoi centomila abitanti festeggiava il compimento di un’opera straordinaria come la cerchia muraria.
Mancava ancora il campanile al nuovo duomo, ma la sua costruzione stava per iniziare». Image
Dante era morto e Giotto era su con gli anni, ma non erano gli artisti i protagonisti della vita pubblica di Firenze.
Erano altri.
Il loro motto?
“In nome di Dio e di guadagno”.
Li chiamavano “gli uomini dai piedi polverosi”, perché erano sempre in giro per il mondo: i mercanti. Image
Read 25 tweets
Jun 23
Mi avevano chiesto di salire sul palco con lui quel 28 agosto 1963.
Mi rifiutai e mi accomodai in prima fila.
Da un anno preparavano quell’evento e in fondo io non avevo fatto nulla.
“I have a dream” il discorso.
Sul palco lui, Martin Luther King. Image
Fu un colpo durissimo quando venni a sapere della sua morte.
Mi ritrovai a commemorarlo davanti a centinaia di giovani.
Dissi loro: “Qualcuno ha detto che tra 40 anni questo Paese potrebbe avere un Presidente nero. Credo che con questo clima, di anni ce ne vorranno 400”.
Image
Image
Negli anni della lotta per i diritti civili di noi afroamericani mi sono sempre impegnato ed esposto in prima persona.
D’altronde ero nato in Louisiana nel 1934.
Non certo il posto ideale per un nero.
I rapporti con i bianchi scarsi.
Quasi sempre traumatici. Image
Read 15 tweets
Jun 21
Oggi il Torneo al Queen’s Club è riservato ai soli uomini, ma non era così ai miei tempi.
Era comunque considerato, come oggi, la migliore anticamera prima della partecipazione a Wimbledon, il mio obiettivo.
E la mia spalla non va ad infiammarsi giocando proprio quel torneo?
Una sfortuna sfacciata.
Ero arrivata da poco proprio per fare il grande salto. Negli USA, la mia patria, avevo vinto molto, per quello avevo deciso di sbarcare in Europa.
E avevo iniziato vincendo i Tornei di Surbiton e Manchester come preparazione a Wimbledon.
Mi presento.
Mi chiamo Maureen Connolly e sono nata il 17 settembre 1934 a San Diego, in California.
Papà voleva un maschio, e per molti anni ho sempre creduto che fosse mia la colpa.
Del suo abbandono, dopo avermi promesso che sarebbe andato a comprarmi un gelato perché avevo la febbre. Image
Read 21 tweets
Jun 20
Mi chiamo Luigi Corsi, maggiore commendatore, specializzato in opere di artiglieria per la Regia Marina Borbonica.
Vedo che non mi avete dedicato nemmeno una pagina su Wikipedia.
Sinceramente la cosa non mi stupisce.
Eppure sono tante le onorificenze ricevute.
Croce di cavaliere di Francesco I di 1a classe;
commenda di 1a classe;
commenda del Pontefice Pio IX;
croce con Crochot di Carlo III di Spagna;
croce di cavaliere di 1a classe di S. Valdimiro di Russia; croce di cavaliere di S. Ludovico di Parma;
croce dei SS. Maurizio e Lazzaro.
Mi chiamo Luigi Corsi e sono arrabbiato.
Ma non per Wikipedia.
E neppure perché qualcuno ha tolto la mia epigrafe dalla statua.
Sono arrabbiato perché la fabbrica che guidavo fin dalla sua nascita (1840), ero il punto di riferimento del comparto metallurgico delle Due Sicilie.
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Read 17 tweets
Jun 18
Una statua.
Nel 2019 mi hanno dedicato una statua al Greenwich Village a New York.
Per il 50° anniversario.
E’ stata collocata esattamente in fondo alla strada dove si trova quel famoso bar.
Chi sono e perché quella statua in mio onore nei pressi di un bar?
Un lunga storia. Image
Sono nata a New York il 2 luglio 1951.
E a chi ha origini portoricane e venezuelane può capitare di nascere in un taxi di fronte al Lincoln Hospital.
Ma gli può capitare anche di peggio.
Per esempio essere abbandonato dal padre appena nato.
Josè Rivera credo si chiamasse.
“Però almeno una mamma l’avevi”.
Insomma.
Solo fino a tre anni, quando mia madre versò del veleno per topi in due bicchieri di latte.
Dopo averne bevuto uno mi disse di bere l'altro.
Dopo pochi sorsi rifiutai di finire il bicchiere perché il latte aveva un cattivo sapore.
Read 23 tweets
Jun 17
Siamo prossimi alla partenza del TT, il Tourist Trophy.
Nessun straniero ha mai vinto, solo vittorie di motociclisti del Regno Unito, anche se la Guzzi, la mia moto, questa corsa l’ha già vinta due anni fa, nel 1935.
In due categorie.
Ma mai non con un pilota italiano.
A vincere nella 250 e nella classe 500 su Guzzi era stato il pilota irlandese Stanley Woods.
Correvo anch’io sulla stessa moto quell’anno, il 1935, ed ero anche favorito dopo aver stabilito nelle prove un incredibile 30’10” sul giro.
Un vero record. Image
Ero per gli inglesi “The Black Devil” per il colore della mia tuta e per gli americani il “corridore atomico”.
Ci tenevo a vincere.
Invece con la mia Guzzi 250 era finito in un banco di nebbia, con un corvo in mezzo alla strada e relativa caduta.
Con due vertebre rotte.
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