Lo avevate richiesto in tanti e finalmente è arrivato. Quando ho iniziato a scrivere storie avevo un dubbio e una certezza.
Il dubbio era: Twitter è il posto ideale per scrivere storie? Quello che mi convinse fu però la certezza. Le storie piacciono a tutti, grandi e piccini.
Ed ora è nato questo libro, “Non esistono piccole storie”. Nato soprattutto grazie a voi. Che pian piano, malgrado il frastuono della vita quotidiana, avete trovato un momento per leggere, provare e condividere emozioni. E siete tanti.
Grazie a @CarloLucarelli6 , l’unico vero maestro della narrazione, che ha scritto la prefazione del libro. E non poteva che essere una bellissima prefazione
Grazie a @RobertoBurioni per avermi fatto conoscere l’Associazione cui andrà il mio compenso. E’ l’ultima storia del libro e lì troverete tutti i riferimenti per ulteriori aiuti.
Nel caso grazie, ci tengo molto.
«Sono sei miglia al largo di Arenzano, altezza duemila piedi. Posso scendere?»
«Non c’è traffico. Scendete pure»
Sono quasi le 19.
E’ una bella domenica e ho approfittato per fare un volo d'addestramento a bordo di questo stupendo Augusta Bell 205.
L'Augusta Bell 205 è un elicottero nuovo e moderno rispetto al vecchio Agusta Bell 47 G 3B-1 con cui ho operato per tanto tempo.
Quante missioni abbiamo compiuto insieme.
E quante vite ho salvato nelle oltre 3.500 ore di volo
Le ricordo tutte, sapete?
Quante vite di preciso?
Parecchie.
Basta contare gli omini stilizzati sulla carlinga del mio vecchio elicottero.
Dicono che sono un pioniere dell’elisoccorso in Italia. Vero.
Le prime tecniche di salvataggio di persone in mare sono mie.
E' il 7 luglio 1929.
A Roma, allo Stadio Nazionale del PNF, si assegna il campionato di calcio, ultimo campionato a gironi.
Se lo contendono il Bologna e il Torino. 3-1 all’andata per il Bologna, 1-0 per il Torino al ritorno.
Niente differenza reti all’epoca.
E’ spareggio.
Sinceramente a me interessava poco quella partita.
Non fosse altro per i miei 10 anni.
Con i miei amichetti avevo deciso di andare all’Adda a fare il bagno.
Noi ragazzi poveri di Cassano d’Adda ci divertivamo così, malgrado fossimo a conoscenza della pericolosità del fiume.
Con noi portavamo sempre il “Ciapìn”, ferro di cavallo, un ragazzino di sei anni chiamato così perché portava fortuna.
Avevamo tutti un nomignolo.
Io ero il “Tulèn”, perché prendevo a calci tutto quel che trovavo per strada, pallone di stracci o barattoli di latta.
Scendemmo giù a Curenna, frazione di Vendone, la vigilia di Natale del 1943.
Sapevamo che gli abitanti ci appoggiavano, infatti ci fecero trovare due pentoloni di castagne e pranzo assicurato anche per il giorno successivo.
Il loro regalo di Natale.
Con il parroco sempre in prima fila.
Per quello aspettammo il suo ”andate, la messa è finita” per intonare quella nuova canzone.
Una esecuzione un po’ stonata lo ammetto, ma era una bella canzone.
Era la nostra canzone.
Sibilla Giacomo, nome di battaglia Ivan.
Era stato lui a scegliere la musica.
Lui, operaio di professione che non abbandonava mai la sua chitarra.
Durante la solita serata attorno al fuoco aveva chiesto al comandante: ”perché noi non abbiamo una canzone?”
Domani, 1° maggio, ricorre il 30° anniversario della morte di Ayrton Senna, che ha perso la vita durante il Gran Premio di San Marino del 1994.
Lui era il primo della classe, giusto così.
Giusto che la gente commemori un campione come lui.
Anche mio figlio Roland aveva rincorso quel sogno, esattamente come lui.
Ed era riuscito a realizzarlo.
Anche se solo a trentaquattro anni.
Mi chiamo Rudolf e lui era mio figlio.
Roland era nato a Salisburgo il 4 luglio 1960.
Già da piccolo ci diceva che da grande voleva fare il pilota di Formula 1.
Gli passerà, ripetevo a mia moglie cercando di tranquillizzarla.
Salve a tutti.
Mi chiamo Angela Gozzi.
O meglio, Maria Angela Gozzi.
Lo so cosa state pensando.
Questo nome non vi dice niente.
Siete perdonati.
Di me si è parlato solo per qualche giorno, più di cinquant’anni fa.
Sapete com’è fatto Johannes.
Ama raccontare queste storie.
Mi chiamo Angela Gozzi.
E questo ve l’ho già detto.
Comasca, nata a Erba, comune di origine anche della mia famiglia.
Col tempo ci eravamo trasferiti a Bergamo, in una palazzina nel rione di Torre Boldone.
All’epoca dei fatti frequentavo le scuole magistrali in città.
Quello che oggi è il liceo pedagogico Secco Suardo, tra i primi in Italia ad aver introdotto la carriera alias per gli studenti e le studentesse che non si riconoscono nel proprio genere biologico.
Se ci fosse stata questa attenzione forse non avrei fatto la fine che ho fatto.
Se sono arrabbiato? Se sono arrabbiato?
No, tranquilli, non sono arrabbiato, SONO INFURIATO!!!
Ma cosa vi è venuto in mente di dare a quella storia quell’assurdo significato?
La mia storia voleva renderlo uno spauracchio, da cui stare lontani.
Altro che incentivo.
Me l’aveva raccontata, simile alla mia, un mio arciere, Pellegrino si chiamava, mentre a cavallo percorrevamo insieme la strada che da Gradisca porta a Udine.
Forse per distrarmi, forse per convincermi che in fondo se ne poteva fare a meno, perché nascono solo guai e disastri.
Nel 1524 vivevo, seppur nobile conte, una vita da invalido, dopo aver servito nell’esercito della Repubblica Veneta.
Ero riuscito a raggiungere il grado di capitano dei cavalleggeri, ma le troppe ferite mi avevano costretto a ritirarmi nella mia villa di Montorso.