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May 15, 2020 19 tweets 6 min read Read on X
Quando scrivo una storia riguardo la Shoah mi pongo ogni volta la stessa domanda: “Quante storie, passate dai campi di sterminio e dai loro camini, sono state raccontate?
E quante invece dimenticate?
Quante?
“Scommetto che se tu dipingessi quello che hai nel cuore, finirebbe appeso in un museo” scrisse un giorno Chuck Palahniuk.
Io vi dirò di più.
Sono certa, che se ognuno potesse dipingere la propria vita, tutti i quadri finirebbero in un museo.
Perché in un museo ci sono finita anch’io.

In quel quadro c’è solo una bambina, è vero, ma dentro c’è la mia vita e quella dei miei figli. Vite che vanno raccontate.
E la mia, comincia proprio da quel quadro.
E da lui. Che lavorava su commissione.
Era stata mamma a conoscerlo e a chiedergli di dipingere me e le mie sorelline.
Mamma, Luisa de Morpurgo, triestina, che aveva sposato papà, il conte Louis Raphaël Cahen d'Anvers.
Famiglie di banchieri.
Entrambi ebrei.
Già, lui, Pierre-Auguste Renoir.
Fu lui che nel 1880 realizzò il mio ritratto.
Un dipinto a olio su tela che voi conoscete con il mio nome.
“Ritratto di Irene Cahen d'Anvers”.
Avevo otto anni all’epoca.
Renoir non dipinse solo me.
L’anno dopo dipinse anche le mie sorelline, Alice ed Elisabeth.
Alice, a sinistra aveva cinque anni. Elisabeth di anni ne aveva sei.
Il quadro lo conoscete come "Pink and Blue". Povera Elisabeth.
A differenza di Alice, che è vissuta fino al 1965 ed è morta a Nizza all'età di 89 anni, Elisabeth finì ad Auschwitz a causa della sua discendenza ebraica, malgrado si fosse convertita al cattolicesimo in giovane età.
E’ morta lì nel marzo del 1944.
Questi due quadri oggi voi li considerate dei capolavori. Non fu così per i miei genitori. Tanto che evitarono di esporli nei saloni di casa. Almeno io non li vidi mai.
Forse furono appesi negli alloggi dei domestici o chiusi in qualche armadio.
Per questo ritardarono il pagamento.
Renoir alla fine ricevette solo 1500 franchi, una miseria per l’epoca.

La mia vita? Nel lusso. Un fantastico via vai di letterati, diplomatici e politici.
Marcel Proust e Paul Bourget tra questi.
Se ho avuto figli? Certamente.
Dopo aver sposato nel 1891 il conte Moïse de Camondo, un banchiere e collezionista d'arte francese, avemmo due figli.
Nel 1892 nacque Nissim.
Due anni dopo, nel 1894, Béatrice.
Divorziammo nel 1897 quando scoprì la mia relazione con il conte Carlo Sampieri (che poi sposai).
Mio marito riponeva molte speranze in Nissim. Come erede del suo impero.
Ma Nissim si unì all'esercito francese per combattere nella Grande Guerra. Morì durante un’azione nel 1917
L’altra nostra figlia Beatrice, unica erede della sterminata fortuna ereditata dal padre, nel 1918, sposò il compositore Léon Reinach.
Ed ebbe due figli, Fanny e Bertrand.
Si sentiva al sicuro dopo l’arrivo dei nazisti a Parigi.
Aveva ereditato la nostra passione: i cavalli. Partecipava, portando una piccola stella gialla sulla sua giacca da cavallo, ai concorsi ippici cui prendevano parte anche gli ufficiali tedeschi che in quel momento occupavano il nostro Paese.
Avrebbe dovuto ascoltare suo marito quando le consigliò di lasciare la Francia portandosi dietro i loro figli.
Pensava che la sua posizione sociale fosse di fatto inattaccabile. Si sbagliava.
Era il maggio del 1942 quando arrestarono suo marito e i due figli.
“Perché non indossano la stella ebraica” scrissero i nazisti. “Presenta tipici caratteri ebraici” scrissero del marito di Beatrice. Furono portati nel campo di internamento e transito di Drancy. E poi, il 20 novembre 1943, al campo di concentramento di Auschwitz. Convoglio n. 62.
Béatrice fu arrestata e deportata più tardi. Partì per Auschwitz, sul convoglio 69, il 4 marzo 1944.
Fanny fu la prima a morire. Dopo solo una settimana. Nessuno di loro è mai tornato.
Io, Irene Cahen d'Anvers, la bambina dai capelli rossi dipinta da Renoir, fui l’unica superstite. Grazie al nome italiano del mio secondo marito riuscii a nascondere le mie tracce.
Sono morta nel 1963.
E il quadro con il mio ritratto?
Trafugato nel 1941 dai tedeschi e consegnato a Goering. Ricomparve nel 1946 In una mostra parigina intitolata "Capolavori delle collezioni francesi trovate in Germania". Acquisito da Emil Georg Bührle , un industriale svizzero, oggi si trova a Zurigo, nella Collezione Bührle.
Grazie a @A__Lamborghini per avermi chiesto di raccontare la storia di Irene Cahen d'Anvers e della sua famiglia.
Una delle tante storie di vittime della follia nazista.
Una delle tante storie che vanno raccontate.

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Feb 1
Thread n. 2/3
Ieri sera vi ho raccontato di come e perché Joe Valachi ha deciso di parlare davanti alla Commissione McClennan.
Per raccontare cosa è “Cosa Nostra”, anche in Tv.
E’ il primo mafioso a denunciare pubblicamente l’Organizzazione.
Tanto, morire per morire. Image
Joe ha raccontato della sua iniziazione.
Il padrino gli punse il dito facendo uscire del sangue. “Questo sangue significa che ora siamo una sola famiglia”.
Ma cos’è questa famiglia?
Gli americani non vedono l’ora che arrivi una nuova audizione.
Gli americani sono ai suoi piedi, come il Presidente della Commissione.
E lui spiega come un professore agli allievi.
Racconta che Cosa Nostra è composta da tante famiglie.
Negli Stai Uniti sono una dozzina.
Al vertice c’è il Capo di tutti i Capi.
Sotto di lui una dozzina di capi
Read 25 tweets
Jan 31
Thread 1/3
22 giugno 1962.
Da un paio di giorni non mangia, la paura di essere avvelenato è troppa.
Sa che i suoi ex colleghi lo hanno condannato a morte.
Lui, il detenuto n. 82811, sa che la sentenza può essere eseguita anche nel carcere.
Conosce i metodi.
In genere sono tre. Image
Stricnina nel cibo, e per questo non mangia.
Poi c’è la bastonatura mortale nella doccia, il luogo scelto per queste esecuzioni.
E poi una pugnalata occasionale nel corso di una rissa.
Niente cibo quindi e niente docce per lui.
Ha paura, è nervoso, convinto che tra poco impazzirà
Ha saputo chi sarà il suo boia.
E’ un altro detenuto.
Si chiama Joe Di Palermo, ma tutti lo chiamano Joe Beck.
Il Capo dei Capi, Vito Genovese, anche lui nello stesso carcere, lo ha assoldato per ucciderlo.
E’ in cortile, ha fame, si regge a malapena in piedi.
Quando... Image
Read 25 tweets
Jan 29
Il 13 agosto 1913 fu un giorno memorabile.
Quando io, Halim Eddine, fui incoronato re d’Albania.

Ismail Qemal Bej aveva chiesto l’indipendenza dell’Albania l’anno prima e gli albanesi avevano chiesto a me, nipote del Sultano, di raggiungere il Paese per essere incoronato re. Image
E così avevo fatto.
Ero arrivato in città su un cavallo bianco.
E i primi cinque giorni furono per me indimenticabili.
Salito al trono con il nome di Otto I mi avevano persino assegnato un harem con 25 fanciulle.
Tra un piacere e l’altro dichiarai guerra al Montenegro.
Perché ho parlato di soli cinque giorni?
Beh, non so come dirvelo.
Giudicate voi.
Ero nato in Germania il 16 ottobre 1872.
A otto anni ero già un fenomeno.
Nel senso che esordii come domatore di leoni in un circo.
Per diventare poi un acrobata.
Read 11 tweets
Jan 28
Qualcuno ha detto recentemente, riguardo la mafia, che "In Sicilia servono compromessi, tutti lo sanno”.
Si sbaglia.
Perchè se vuoi sconfiggere la mafia non puoi scendere a compromessi.
Se lo fai sei solo complice.
Con la mafia non si tratta.
Mai. Image
Lo so bene.
Lo sapevamo bene.
Intendo io e mio padre.
Lo dimostra il fatto che nel settembre 2014, a Siracusa, hanno danneggiato la lapide che commemorava proprio mio padre.
L'hanno tolta dal supporto metallico su cui si ergeva e l'hanno distrutta in mille pezzi.
Mi chiamo Giuseppe Francese.
Mio padre Mario era nato a Siracusa il 6 febbraio 1925, terzo di quattro figli.
Finito il ginnasio si era trasferito a Palermo a casa di una zia, la sorella della madre.
Ciò per poter completare il liceo e poi frequentare l'Università. Image
Read 18 tweets
Jan 26
Prima o poi doveva succedere.
È stato un percorso lungo, ma ho preso la mia decisione.
E mentre aspetto di scendere in campo per l’ultima volta la mia mente corre a quando tutto è iniziato.
A quel “soldo di cacio” che crebbe mangiando gnocchi, lasagne e salsicce. Image
Mio padre Joe lo chiamavano “Jellybean”, caramella di gelatina, perché lui era sempre sorridente e scherzava di continuo, in campo e fuori.
Voleva trasmettere la sua allegria a chi gli stava intorno.
«Alcune volte clown, altre volte giocatore di basket» scrivevano i giornali.
Mai veramente apprezzato, lasciò gli USA per approdare in Italia.
Precisamente a Rieti, nella Sebastiani.
Abitavamo in via Pierluigi Mariani al numero 33, ed è lì che cominciai a tirare la palla nel bidone della spazzatura all’angolo della villetta.
E poi gli inizi nel minibasket
Read 24 tweets
Jan 24
Un dilettante.
Eppure avete avuto nei confronti della vicenda del gatto Oscar parole di ammirazione.
“Bellissima storia”, “carinissima storia”, “fantastica storia”.
Della mia di vicenda, vi garantisco, è stato detto ben altro.
Non ricordo nessuna ammirazione.
Anzi.
Va bene, prendo atto, ma per quanto mi riguarda vi garantisco di non avere nessuna colpa per quello che è avvenuto durante la mia vita lavorativa.
Mi ritengo solo fortunata, quello sì.
Una fortuna iniziata fin dalla nascita.
Nella pampa argentina, nei pressi di Bahia Blanca. Image
Dove sono nata il 2 ottobre 1887, prima di nove figli.
Mi chiamo Violet Constance Jessop.
I miei genitori venivano dall’Irlanda.
Ero ancora piccola quando la mia vita venne segnata da due disgrazie: la tubercolosi e la morte di mio padre, un allevatore di pecore.
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