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Jul 16, 2020 25 tweets 6 min read Read on X
«È bruttino, ma ha una bella espressione».
La prima impressione non fu certo tra le migliori. Ma io non ero brutto. Avevo solo orecchie più lunghe del normale. Tutto qui.
Ma la capivo. Pedro era Pedro.
Ed io solo un eventuale sostituto.
Per mamma Elena Pedro, bellissimo, lo era sempre stato. Fin da piccolo. Anche quando, pur rimanendo sempre magro, si era accorta che cresceva prima in altezza e poi in lunghezza. Avrebbe desiderato tanto averlo vicino in un giorno come oggi.
In quella sala consiliare del municipio di Cassago Brianza, Elena e Riccardo si stavano per sposare. Un giorno speciale quel 28 ottobre 2017. Per loro.
Quello che ancora non sapevo era che lo sarebbe stato anche per me.
Riccardo glielo aveva detto proprio quella mattina.
«Ieri ho fatto un giro tra i veterinari. E a Montevecchia ho trovato un cucciolo».
Lei si era messa a piangere.
Perché proprio quel giorno, il giorno del compleanno di Pedro?
Come Pedro era stato un regalo di Natale, io sarei stato il suo regalo di nozze?
Pedro era ovunque. Persino sui sedili dell’auto. Tutti quei peli che difficilmente se ne sarebbero andati. Come i ricordi.
Le passeggiate al mare col suo carrellino, le sue ultime sofferenze.
L’eutanasia, un atto d’amore? Stentava a crederlo.
E poi la decisione. E il ritorno a casa con la cuccia vuota. Ma lei lo continuava a vedere. Continuava a parlare con lui. Sentiva persino le sue zampe quando le saltava addosso e la riempiva di baci e di leccate. Pedro non se n’era andato. Era sempre lì.
E poi Riccardo aveva trovato me. Brando all’anagrafe. Avevo solo tre mesi. Venivo dalla Calabria. In stallo a Merano, da un’amica della veterinaria, Martina, che mi aveva chiamato Rocket. In attesa di sistemazione.
Ero rimasto solo io. La mia mamma e i miei otto fratellini già sistemati. Qualcuno si sarebbe preso cura di me? Mai avrei pensato che proprio in quel momento quel qualcuno si stava per sposare.
Sarebbero andati in viaggio di nozze?
Ci erano andati. Niente viaggi esotici però. Nella casa al mare, a Levanto.
«Cosa stiamo a fare a Cassago? Veniamo ad abitare al mare, a Levanto. Passeggiate sulla spiaggia tutto l’anno, camminate tra i bricchi, tutti i toni del verde sulle colline, il profumo di salsedine».
Elena non smetteva di pensare a Pedro.
Fu Riccardo a distoglierla da quel pensiero fisso. «E se lo chiamassimo… Giatt?» le propose. Stava parlando di me.
«Visto che lui è tutto orecchie lo chiameremo Giatt, da Uregiatt!».
Uregiatt, dotato di grandi orecchie.
Pur di trovare una famiglia ero disposto ad accettare anche quel nome.
«Ma dai, Giatt non è un nome».
«Perché no? Sarà il suo nome, lo avrà solo lui al mondo».
Se devo essere sincero, ne avevo viste di tutti i colori e quel balletto tra Brando/Rocket/Giatt non era niente al confronto.Certo, confuso ero confuso. Credi di essere Brando e ti chiamano Rocket.E poi un domani Giatt. Avrei voluto almeno qualche certezza. Che fine avrei fatto?
Poi avevo sentito Martina al telefono chiedere «quando?» mentre mi accarezzava la pancia. «Quando che?Era un buon segno?Un regalo di nozze? Che regalo? Cosa stanno tramando? Meglio che mi faccia un pisolino, via».
Sentii un soffio nell’orecchio.
«Oggi sarebbe il mio compleanno»
«Chi aveva parlato? Non c’era nessuno vicino a me».
«Si sono voluti sposare oggi, come se io fossi con loro e mai sarei mancato».
«Oh, ma che scherzo è? Chi sei?»
«Starai bene, vedrai, sei fortunato».
«Vieni fuori, non facciamo scherzi. Non è che sto diventando matto?»
E poi Elena e Riccardo erano andati dalla volontaria, Martina.
«Cos’è questa confusione? Chi sono quei due? Non voglio guardare, non voglio vedere. Mammaaaa!!! Io mi chiamo Brando, non Giatt. Che vuoi? No, non esco. Lasciami stare!
No, non voglio! Aiuto! Mamma!»
E poi l’arrivo a casa. «Mi spiace per questo piccolino, ma ho ancora Pedro nel cuore e un dolore profondo, fitte atroci solo a pensarlo».
Io mi sono rannicchiato sul tappeto della cucina. Questa dovrebbe essere la mia nuova casa. Sto tremando, ma controllo tutti i loro movimenti.
«Ecco, adesso si ragiona. Questo è il rumore di crocchette che cadono nella ciotola. Ottimo».

Per Elena fu uno sforzo notevole. Giatt non era il suo cane, non ancora. Elena cercava Pedro e lui non c’era, c’era un altro.
Toccarlo non le dava le stesse sensazioni.
«Non sono tranquillo. Preferisco conoscerli meglio. Perché continuano a toccarmi? Oddio che rumore, cos’è? Ma chi è questa. La zia Mari? All’erta!! Pericolo!!».

«Ciao, Giatt, vieni dalla zia»

«Chi sei? Che vuoi? Perché dici che Pedro era più bravo di me?. Pussa via.»
«Ciao Giatt».
«Oddio, e tu chi sei?»
«Sono Pedro. Stai tranquillo. Andrà tutto bene. Qui starai benissimo. Io lo so. Ci ho vissuto anni meravigliosi».
«E adesso dove sei?»
«Sul ponte dell’arcobaleno. Con tanti amici».
Ho scritto questo thread dopo aver letto un bellissimo libro. Si intitola “Io ho sempre parlato” di Amelia Belloni Sonzogni @fattukk. A molti di noi è capitato di perdere un amico peloso. Come dice l’autrice la storiella del ponte dell’arcobaleno è bellissima, ma consola poco. Image
Sostituirlo con un nuovo amico non è sempre facile. Ci vuole il tempo necessario. In realtà nessuno può sostituire l’amico che se n’è andato.
Ma come dicono i protagonisti Elena e Riccardo... “però il proposito è quello di salvarne un altro dal canile”. Image
Amelia Belloni Sonzogni nel libro fa parlare i cani. Noi, che con loro passiamo la vita, lo sappiamo benissimo che loro ci parlano in continuazione. Non usando solo la bocca, ma ogni parte del corpo, possiamo affermare senza ombra di dubbio che sono degli autentici chiacchieroni.
Una cosa importante. Tutto il ricavato delle vendite di questo libro andrà al canile “Il rifugio di Francy” a Palermo. @francycognato. Uno dei rifugi più popolosi e poveri di Palermo, tenuto in piedi da una sola persona, Francesca Cognato.
Un motivo in più per acquistarlo. Image
Nelle foto contenute in questo thread potete vedere l’autrice del libro col suo cane.
Lui si chiamava Pedro. Sì, proprio lui, il Pedro del libro. Che le parla ancora oggi. ImageImage
«Scusa Johannes, stai invecchiando? Non hai dimenticato qualcuno? Va beh, devo fare tutto io. Vi informo che quello nella foto sono io, Giatt. Sì, quel Brando/Rocket/Giatt. Chissà se Johannes si ricorderà di farmi gli auguri. Domani è il mio compleanno».

«Scusa Giatt. Auguri». Image

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Aug 22
Lo sapevamo bene in quei giorni.
Che saremmo finiti in quel modo.
E lo sapeva bene anche chi ci aveva mandato tra i reticolati, sotto il crepitare di una mitragliatrice o il fuoco della fucileria.
Finiti dilaniati, intendo.
Tra bombardamenti e spietati assalti alla baionetta. Image
Ora siamo qua.
Molti di noi giovani, poco più che ventenni, riposiamo tutti insieme nel Sacrario del Monte Grappa.
22.910 soldati, di cui 12.615 italiani e 10.295 austroungarici. Solo 2.283 italiani sono stati identificati.
Di noi austroungarici?
Solo 295.
Tra cui io. Image
Per questo mi posso definire fortunato.
Di non essere finito nell’elenco di quei tanti ragazzi senza nome e senza storia.
E questo grazie al giornalista Ferdinando Celi, che mi ha poi raccontato in un libro, e alla Croce Nera Austriaca, che si occupa di sepolture militari. Image
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Aug 19
Il problema più grande?
Come entrare in contatto con Helen.
Le sue erano resistenze insormontabile con i metodi tradizionali.
Per quello cercai con lei un approccio diverso.
Io sapevo bene cosa si provava ad avere quella disabilità.
Io lo sapevo bene. Image
Era stata un’infezione batterica della cornea a rendermi quasi cieca.
Avevo 5 anni.
Fu terribile, ma mai quanto perdere la mamma 3 anni dopo.
Per completare la tragedia papà spedì me e il mio fratellino Jimmie in un orfanotrofio.
Ci rimasi tre anni.
Per vedere Jimmie morire.
Riuscii a entrare alla Perkins School for the Blind, prima scuola dedicata all'insegnamento per le persone ipovedenti.
Lì imparai l'alfabeto manuale.
Nel 1886 ottenni il diploma come miglior studentessa del corso.
Recuperando la quasi totalità della vista dopo diverse operazioni. Image
Read 17 tweets
Aug 15
Non credo di aver fatto niente di straordinario.
Mi riferisco al premio International Fair Play (per l'adesione ai principi del fair play) che ho ricevuto nel 2001 dalle mani del presidente del Comitato Olimpico Internazionale.
Tra l’altro lei era mia amica.
Mi chiamo Irina Karavayeva e sono nata il 18 maggio del 1975 nella città russa di Krasnodar.
Perché ho cominciato a praticare la ginnastica acrobatica?
Provate voi a nascere in una città come Krasnodar, con tutto quel freddo. Image
Comunque ho lasciato quasi subito l’acrobatica per passare al trampolino elastico.
Il motivo?
Perché volevo volare.
Volevo vedere il mondo dall’alto in basso e dal basso in alto e in quella disciplina lo potevo fare senza essere definita una pazza. Image
Read 18 tweets
Aug 12
Credete alle fiabe?
No?
Nemmeno a quella del brutto anatroccolo che si trasforma in cigno?
Male.
Perché quella che sto per raccontavi è proprio una favola di quel tipo.
La storia di una brutto anatroccolo diventato cigno.
Almeno per un certo periodo.
La mia storia. Image
Ero nato in una famiglia di immigrati taiwanesi.
Cresciuto nella Bay Area di San Francisco, mi ero iscritto al college.
E lì erano cominciate le prime difficoltà.
Giocavo a basket e avevo mandato i miei video a molti college per una borsa di studio.
Inutilmente.
Image
Image
Niente borsa di studio.
Solo “walk-on”, la possibilità di diventare un membro della squadra ma senza reclutamento né borsa di studio per atleti.
Dicevano che ero scarso.
E poi un cittadino di origine cinese e taiwanese che vuol fare il professionista del basket, via.
Non sia mai
Read 21 tweets
Aug 10
Ieri sera vi ho raccontato la storia di Antonino Cassarà e del suo sacrificio.
Vi avevo promesso di raccontarvi la storia dell'unico sopravvissuto a quell'attentato.
Una storia incredibile, assurda, a tratti allucinante.
La storia di Natale Mondo. Image
Natale Mondo era nato a Palermo il 21 ottobre del 1952.
Si era arruolato in Polizia nel 1972, prestando servizio presso un reparto del ministero dell'interno, in seguito alla questura di Roma, poi di Siracusa e infine a Trapani.
E' lì che aveva conosciuto Antonino Cassarà. Image
Cassarà se l’era portato a Palermo ed era diventato non solo il suo autista, ma il suo braccio destro.
Torniamo ora a quel 6 agosto del 1985.
Ricordate?
Natale è scampato miracolosamente all’attentato.
Cassarà e l’altro agente Roberto Antiochia invece sono morti. Image
Read 16 tweets
Aug 9
Anno 1985 - Antonino di anni ne ha 38.
Da qualche anno è alla squadra mobile di Palermo a dirigere una squadra investigativa, la Catturandi.
Ne fanno parte solo volontari, uomini che non hanno paura di sfidare la mafia.
A Palermo ormai è una mattanza continua. Image
Bombe, mitra, pistole, un vero arsenale da guerra per lo scontro tra clan mafiosi che insanguina la città.
Dal 1979 al 1986, un bilancio terribile.
Alla fine del 1986 saranno oltre mille i morti, 500 vittime per strada, altre 500 rapite e scomparse.
Antonino, ottimo investigatore, sa di essere a rischio.
Sono stati uccisi dalla mafia poliziotti come Boris Giuliano e giudici come Costa, Terranova, Chinnici.
Il Presidente della regione Piersanti Mattarella, Pio la Torre, il prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa.
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