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La narrazione del Nord virtuoso e del Sud parassita si regge sul nulla. Anzi è vero il contrario. Il Sud sottofinanziato dai tempi della Cassa del Mezzogiorno rispetto al Nord ha visto aumentare il divario col resto del Paese. Continuando a pagare parte della ricchezza del Nord.
A differenza di molti luoghi comuni, la Cassa per il Mezzogiorno assorbiva appena lo 0,5% del PIL italiano (mai più dello 0,7%), mentre gli investimenti pubblici al Nord ammontavano a circa il 3,5% del PIL. Questo dato da solo spiega in buona parte il divario di sviluppo.
Nel 2017 lo Stato ha speso 15.297 euro pro capite al Centro-Nord contro i 11.939 al Meridione. Ciascun cittadino del Sud ha ricevuto in media 3.358 euro in meno rispetto a un suo connazionale residente al Centro-Nord.
Dal 2000 al 2017 le otto regioni meridionali occupano i posti più bassi della classifica per distribuzione della spesa pubblica mentre le Regioni del Nord Italia si trovano costantemente nella parte alta.
Se si calcola quanto avrebbe dovuto ricevere il Sud in spesa pubblica rispetto alla sua popolazione sul totale, l‘ammanco rispetto a quanto effettivamente ricevuto è da capogiro: 840 miliardi di euro (circa 46,7 miliardi di euro l’anno dal 2000 al 2017).
Solo nel 2018 il gap occupazionale tra le due aree è stato di quasi 3 milioni di persone. Negli ultimi due trimestri del 2018 e nel primo del 2019 gli occupati al Sud «sono calati di 107mila unità (-1,7%)», viceversa al Centro-Nord «sono cresciuti di 48mila unità (+0,3%)».
Il calo della crescita del Sud è dovuto al crollo della domanda interna (minore capacità di spesa delle famiglie e dei fondi pubblici rispetto al Centro-Nord). Negli ultimi 10 anni la spesa pubblica è stata ridotta al Sud dell’8,6% mentre è aumentata dell’1,4% al Centro-Nord.
Accade così che un numero enorme di Comuni del Sud, nonostante vi risiedano più bambini, non ha diritto alla presenza di asili nido. È il caso di Altamura che con 1.800 bambini riceve 0 euro per gli asili. O di Reggo Calabria con i suoi 3 asili contro i 60 di Reggio Emilia.
Nel 2017, il settore della Previdenza ha assorbito il 34,6% della spesa pubblica totale. Al Centro-Nord il valore è stato di 5.439 euro per abitante, mentre al Mezzogiorno di 3.860. Un valore che, dal 2000 al 2017, è sempre stato diverso il favore del Nord.
Anche nella Sanità la sproporzione tra la spesa pubblica per il Centro-Nord e quella per il Mezzogiorno è notevole. Nel 2010 e nel 2014 la differenza ha raggiunto, rispettivamente, i 438 e 439 euro pro capite, mentre nel 2011 lo scarto ha addirittura sfiorato i 500 euro
Minore spesa pubblica che alimenta la cosiddetta mobilità sanitaria. Nel 2017 oltre 937.000 pazienti fra ricoveri ospedalieri e day hospital. Un fenomeno che sottrae ulteriori risorse al Sud andando ancora una volta ad arricchire il Nord: 4,6 miliardi di euro solo nel 2017.
Per quanto riguarda le amministrazioni locali, al Nord ci sono 1.471.000 dipendenti pubblici contro il 1.227.000 del Sud e delle Isole. Nel Nord-Est ci sono 4,9 dipendenti ogni 100 abitanti contro i 4,5 del Sud (la media nazionale è 4,6).
Tra il 2011 e il 2015 il Centro-Nord ha aumentato il numero di dipendenti pubblici di 26.000 unità, mentre il Sud è stato costretto a ridurlo di 14.000. Una forbice aumentata progressivamente nel corso degli ultimi 20 anni.
Il PIL del Nord dipende meno di quanto si creda dalle esportazioni all’estero e più di quanto non si pensi dalla vendita dei prodotti al Sud. La situazione di import-export tra Nord e Sud Italia è resa possibile proprio dai tanto discussi trasferimenti fiscali da Nord a Sud.
Detto ancora più semplicemente: se fossero annullati o anche solo ridotti (come all’atto pratico si concretizzerebbe con l’ottenimento dell’autonomia differenziata), il primo a farne le spese sarebbe proprio il Nord, che ne subirebbe le conseguenze peggiori.
Come dimostra uno studio della Banca d’Italia, i 45 miliardi di euro annui che in media, nel decennio 1995-2005, sono stati trasferiti da Nord a Sud sono tornati indietro con gli interessi grazie ai prodotti che il Nord gli ha nel frattempo venduto: 63 miliardi di euro all’anno.
Miliardi che diventano 70,5 l’anno se si aggiungono i soldi che il Nord incassa per i rimborsi della mobilità sanitaria di cui abbiamo parlato sopra. Ci sarebbe come trasferimento fiscale dal Sud al Nord anche la formazione dei giovani laureati che emigrano al Nord per lavorare.
Sempre secondo Bankitalia, l’aumento di 1 solo euro del PIL al Sud produca una crescita di 40 centesimi del PIL al Centro-Nord. Mentre non accade il contrario. L’aumento del PIL di 1 euro al Centro-Nord determina infatti una crescita per l’intero Paese di soli 10 centesimi.
Investire sulla crescita del Sud comporterebbe un guadagno per l’intero Paese 4 volte maggiore. Un aumento di spesa dei consumatori del Sud di 100 euro innalza la produzione al Centro-Nord di 51,8 euro (di 20,2 euro al Nord-Ovest, di 14,3 euro al Nord-Est e di 17,3 al Centro).
Secondo molti analisti e studiosi «se l’Italia dunque superasse le sue miopi illusioni di poter procedere a pezzi semi-separati, tornando a considerarsi Paese e sviluppando quindi anche il Sud, diverrebbe il Paese più competitivo d’Europa e forse del mondo».
FONTE

Dal 32esimo rapporto Eurispes, “Italia 2020”
eurispes.eu/ricerca-rappor…
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