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Sep 12, 2020 22 tweets 6 min read Read on X
Quando mio figlio decise di partire per gli Stati Uniti per laurearsi in informatica a New York un pochino preoccupata lo ero.
Come ogni madre. Ma per lui avrei fatto qualsiasi cosa. E quello di andare a studiare negli Stati Uniti era stato da sempre un suo sogno.
Mi chiamo Kadiatou Diallo sposata con Saikou. Guineani.
Amadou era nato il 2 settembre 1976 in Liberia. Avevo 16 anni e lui il mio primogenito. Avevamo una buona attività che ci permise di soddisfare il suo desiderio.
Dovevate vedere la sua felicità quando arrivò il passaporto.
“Grazie mille mamma, ti renderò fiera” mi disse prima di partire.
Arrivò a New York City che era il 1997.
So che il suo primo lavoro fu fare consegne in bicicletta. Poi aveva iniziato a fare il venditore ambulante vendendo guanti, calze e video.
Ricordo ancora quando mi chiamò il 31 gennaio 1999 da New York City.
“Sono così felice in questo momento, mamma! Mi sto per iscrivere al college".
Gli avevo chiesto se aveva bisogno del mio aiuto e lui mi aveva risposto: "No, ho solo bisogno delle tue preghiere".
Non avrei mai immaginato che quattro giorni dopo, il 4 febbraio 1999, il mio mondo, come lo conoscevo sarebbe cambiato per sempre, così come il mio ruolo di madre.
Capii il significato di parole come “ambulante” “immigrato” “africano”.
Fu un parente che si trovava a New York a chiamarmi.
Pensai subito che fosse successo qualcosa a mio figlio Amadou.
Stava bene? Era ammalato? Era forse in ospedale? Niente di tutto questo. Di peggio.
Piangendo mi disse che Amadou era stato ucciso.
La notizia mi sconvolse, ma ancora di più quando mi raccontò come era stato ucciso. Non poteva essere vero.
Dovevo sapere esattamente come erano andate le cose.
Per questo volai negli Stati Uniti.
Su tutti i giornali il nome di Amadou era associato al numero 41.
E il racconto.
Amadou stava rientrando a casa dopo una giornata di lavoro. Erano le 00:40 quando arrivò all’ingresso, al 157 di Wheeler Avenue, nella sezione Soundview del Bronx.
Nello stesso momento in cui quattro uomini scendevano da un’auto.
Sean Carroll, Richard Murphy, Edward McMellon, e Kenneth Boss. Questi i loro nomi. Agenti della “Street Crime Unit” unità anti-crimine in borghese con il compito di arrestare criminali armati dalle strade di New York.
Alla ricerca di uno stupratore seriale che viveva nella zona.
Fu quando mio figlio mise la mano nella tasca posteriore cercando di estrarre qualcosa che Sean Carroll urlò: “Pistola”.
41.
Quel numero era su tutti i giornali.
Il mumero dei colpi che avevano sparato.
19 andati a segno.
Mio figlio Amadou era morto sul colpo.
L’indagine successiva appurò che mio figlio non aveva nessuna pistola.
Lui non aveva mai avuto problemi con la legge.
L’unica cosa che giaceva accanto al suo corpo era un portafoglio.
La cosa che aveva provato ad estrarre dalla tasca.
Non riuscivo a comprendere come si potesse sparare 41 colpi contro uomo disarmato.
Me lo spiegarono.
La polizia americana non è preparata né addestrata per affrontare un nero innocente.
Se un nero mette una mano in tasca è solo per estrarre una pistola.
Era la politica che aveva portato avanti il sindaco Giuliani, "lo Sceriffo".
E loro si sentivano protetti. Sapevano di poter andare oltre senza pagare conseguenze. Sapevano di poter usare la razza, il colore o l’etnia per scatenare qualsiasi azione di polizia.
La morte di mio figlio scatenò numerose proteste nella città di New York.
Ma io non chiedevo vendette. Chiedevo giustizia, quella sì.
I quattro responsabili della morte di mio figlio erano stati incriminati.
Chiedevo solo giustizia, non vendetta.
Ricordo ogni parola del verdetto.

“Avete raggiunto il verdetto?”
“Si, Vostro Onore”.
“Risponda al cancelliere”.

“Riguardo all’imputato Kenneth Boss, qual è il verdetto per l’accusa di omicidio di secondo grado per il primo capo d’accusa?”

“Non colpevole”.
“Riguardo all’imputato Edward McMellon qual è il verdetto per l’accusa di omicidio di secondo grado per il primo capo d’accusa?”
“Non colpevole”.

E così via.

E poi per gli altri capi d’accusa…
“Qual è il verdetto sull’accusa di condotta negligente di primo grado per il terzo capo d’accusa”

“Non colpevole”.
“Non colpevole”.
“Non colpevole”.
“Non colpevole”.
Quel 25 febbraio 2000 Kadiatou Diallo, mamma di Amadou, non ha avuto giustizia. Tutti assolti. Dopo aver sparato 41 colpi ad un ragazzo disarmato di 23 anni.

Da allora la mamma è diventata “un simbolo della lotta contro l'abuso di potere della polizia”
Nell'aprile dello stesso anno la famiglia ha intentato una causa per omicidio colposo contro la città, chiedendo $ 61 milioni di danni, $ 20 milioni per dolore e sofferenza e $ 1 milione per ciascuno dei 41 proiettili sparati.
Ha ottenuto solo 3 milioni di dollari.
Una parte del denaro è stata utilizzata per creare la Fondazione Amadou Diallo e una parte per creare un fondo per borse di studi. Amadou Diallo è sepolto in Guinea.

bit.ly/3bPmpLa
A seguito di quella sparatoria, e dopo un'indagine federale, la “Street Crime Unit”,unità anti-crimine in borghese del dipartimento di polizia di New York, è stata sciolta.
Con il divieto di usare la razza, il colore o l’etnia per qualsiasi azione di polizia.
Bruce Springsteen ha composto la canzone "American Skin (41 Shots)" ispirandosi alla storia di Amadou.
Durante i suoi concerti è stato spesso contestato e boicottato dalla polizia locale e da simpatizzanti delle forze dell'ordine.

bit.ly/32hBEcv

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May 13
Come anticipato nel thread di ieri sera, che potete leggere nel link sotto, mi chiamo Michail Illarionovič Goleniščev Kutuzov.
Vi stavo raccontando che mi trovavo col mio esercito nel villaggio di Borodino pronto ad affrontare l’esercito di Napoleone.
bit.ly/4j4VsUB
Era un bel colpo d’occhio vedere i miei uomini schierati di fronte all’esercito francese lungo tutte le colline.
Con quei bei cannoni tutti neri.
Il morale alto.
Pronto a difendere la Santa Russia e "le mogli e i figli".
Il primo sparo?
Alle sei di mattina del 7 settembre 1812. Image
La forza della cavalleria francese era come un bulldozer.
Resistemmo fino all’impossibile.
Non ci voleva proprio il ferimento del principe Ivanovič Bragation che guidava l’ala sinistra, la mia seconda armata.
Un durissimo colpo
(Bragation morirà il 12 settembre) Image
Read 24 tweets
May 12
“La scaltra volpe del Nord” mi definiva.
Che carino.
Mai ricambiato.
Per me lui rimaneva sempre “quel vecchio rapinatore”.
Altri mi definivano un essere pigro, capriccioso e insopportabile.
Ambizioso e donnaiolo.
Non so.
Troppi difetti per un uomo solo.
Io ero molto altro. Image
Sono nato a San Pietroburgo, capitale dell’Impero russo, nella notte del 16 settembre 1745.
Mia madre era una Beklemishevy, una famiglia nobile.
Morì quando ero ancora piccolo, dopo aver partorito altri due figli.
Mi crebbe nonna.
Mio padre, Ilario Matveevich, aveva servito lo zar Pietro il Grande combattendo contro i turchi.
Fu lui a portarmi a corte per conoscere la zarina Elisabetta.
Con strane abitudini.
Usciva dalla stanza solo la domenica e viveva di notte circondata da poeti, cantanti e amanti. Image
Read 22 tweets
May 7
Ieri Johannes ha dato voce ad Alexander Selkirk, il pirata la cui storia, secondo alcuni, è la stessa raccontata da me nel libro “Robinson Crusoe”.
(Leggete qui )
Non è così.
Per cui ritengo giusto portare alla vostra conoscenza la mia versione. bit.ly/4k5qo81Image
E’ vero, andai da Alexander per sentire dalla sua voce quella storia che girava ormai da anni.
I suoi quattro anni e quattro mesi passati sull’isola Juan Fernández.
Il mio Robinson è quindi Alexander Selkirk?
Una definizione avventata, e in quanto tale, assolutamente inesatta.
Come avrete capito mi chiamo Daniel Defoe.
E vi farò una confessione.
Dalla vicenda di Alexander, che avevo conosciuto attraverso gli scritti di Rogers e dello Steele, e approfondita durante l’incontro con lo stesso Alexander, ho preso solo lo spunto.
Nulla più. Image
Read 25 tweets
May 6
Fui sicuramente uno dei primi a leggere quel romanzo, uscito esattamente il 25 aprile 1719.
E non potei fare a meno di rilevare un sacco di inesattezze.
Per me era chiaro.
Quello che lo aveva scritto non aveva mai vissuto ai tropici.
C’erano un sacco di errori e imprecisioni.
Come quel personaggio inseguito dai selvaggi che non sapeva nuotare.
Assurdo.
E cosa dire del protagonista che, in un’isola del Sudamerica, si era messo a costruire una palizzata per proteggersi dalle bestie feroci?
Altra assurdità.
E poi foche, pinguini, alle foci dell’Orinoco.
A quei tempi ero sottotenente sulla nave Weymouth della marina di S.M. britannica.
Non mi intendevo di cose letterarie, avevo letto si e no la Bibbia, ma in quel caso avevo diritto più di chiunque altro di esprimere la mia opinione.
Perché il protagonista di quel libro, ero io.
Read 25 tweets
May 4
E' il 7 luglio 1929.
A Roma, allo Stadio Nazionale del PNF, si assegna il campionato di calcio, ultimo campionato a gironi.
Se lo contendono il Bologna e il Torino.
3-1 all’andata per il Bologna, 1-0 per il Torino al ritorno.
Niente differenza reti all’epoca.
E’ spareggio. Image
Image
Sinceramente a me interessava poco quella partita.
Non fosse altro per i miei 10 anni.
Con i miei amichetti avevo deciso di andare all’Adda a fare il bagno.
Noi ragazzi poveri di Cassano d’Adda ci divertivamo così, malgrado fossimo a conoscenza della pericolosità del fiume. Image
Con noi portavamo sempre il “Ciapìn”, ferro di cavallo, un ragazzino di sei anni chiamato così perché portava fortuna.
Avevamo tutti un nomignolo.
Io ero il “Tulèn”, perché prendevo a calci tutto quel che trovavo per strada, pallone di stracci o barattoli di latta.
Read 20 tweets
May 2
“Morire sì, tocca a tutti prima o poi.
Ma morire così: schernito, umiliato, con il marchio di criminale e vecchio libidinoso.
Mi avessero detto prima di nascere che sarebbe finita così, avrei senz’altro declinato l’invito: no grazie, avanti un altro. Io aspetto tempi migliori…”
Oggi è il 2 giugno del 1942.
E sono 77.
I giorni passati in cella dopo la condanna, intendo.
E Irene?
Non ho sue notizie dal giorno della sentenza.
Ho saputo che è rinchiusa in un carcere femminile di massima sicurezza, insieme a ladre, assassine, prostitute e comuni criminali.
Chissà se è vero che la testa continua a vivere per qualche tempo, dopo che è stata tagliata dal corpo.
Perché sto per essere ghigliottinato?
Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?
Niente.
Ma è una lunga storia.
Iniziata nel 1932.
Read 25 tweets

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