«All'alba del 26 settembre siamo stati svegliati dal rumore di violente esplosioni: sono i mortai e le artiglierie tedesche che battono Sassoleone. Il bombardamento dura circa due ore, poi più nulla. Rimaniamo con il respiro sospeso, si vedono in lontananza le piccole belve nere
delle S.S. che si aggirano per il paese, poi si ode un grande collettivo urlo che non ha più nulla di umano, seguito da alcune raffiche di mitragliatrice, quindi di nuovo silenzio.
Un quarto d'ora dopo ricominciano le esplosioni tutto il cielo è rossastro e un gran polverone si
alza da Sassoleone: i tedeschi hanno minato il paese. Fra uno scoppio e l'altro, mentre la polvere si dirada, case, chiesa, edifici pubblici appaiono al nostro sguardo, completamente distrutti. Ma gli assassini tedeschi non son ancora soddisfatti, dopo qualche minuto grandi
fiamme si alzano dai ruderi di Sassoleone; i briganti delle S.S. hanno appiccato il fuoco alle rovine del paese. Giungono intanto gli ultimi fuggiaschi che raccontano come quaranta fra vecchi, donne, ammalati, e bambini si fossero rifugiati nel campanile e come le bestie
teutoniche, entrate nel paese, li avessero fatti uscire dal loro rifugio, allineati lungo il muro della Chiesa e finiti a colpi di mitraglia, incuranti delle grida e dei lamenti delle vittime».
Così scrive una Partigiana, e noi che leggiamo, piene di raccapriccio e di orrore le
parole che descrivono la distruzione di un tranquillo paese e di una enorme popolazione, vorremmo chiudere gli occhi e gridare: Basta!
Queste parole ci fanno troppo male. Noi sappiamo che purtroppo altri paesi stanno seguendo ora la stessa sorte di Sassoleone, altre popolazioni
stanno ora soffrendo pene inaudite, distruzioni, tormenti, uccisioni; ecco di che sono capaci i tedeschi, ecco la conseguenza di questa guerra fascista che ci ha messo in balìa delle belve germaniche, ma noi lo abbiamo gridato il nostro «basta», lo grideremo ancora più forte;
sarà il ricordo di tante vittime innocenti, di tanti nostri fratelli assassinati che ci darà la forza di lottare ancora per liberare la nostra Patria.
Fratelli caduti vittime della barbarie tedesca, noi vi vendicheremo!
Articolo tratto da: LA VOCE DELLE DONNE Organo del
Comitato Centrale dei « Gruppi di Difesa della Donna e per l'assistenza ai Combattenti della Libertà » del 15 marzo 1945.
La cronaca dell'eccidio
Il 23 settembre1944 i partigiani della 62a brigata Camicie rosse Garibaldi attaccano un camion tedesco nei pressi dell’abitato di
Sassoleone (Casalfiumanese).
Almeno 4 militari restano uccisi e 2 feriti. Il 24 un reparto di SS tedesche rastrella una cinquantina di persone: vecchi, donne e bambini.
Di queste, 23 o 24 sono trucidate a colpi di mitraglia, insieme a don Settimio Patuelli il quale, «dietro
invito dei Superiori», aveva dovuto lasciare la sua parrocchia ad Osta ed assumere provvisoriamente quella di Sassoleone perché il titolare don Cassiano Ferri l’aveva abbandonata senza giustificazione.
La maggior parte delle persone viene uccisa nei pressi della chiesa e le
altre vicino alle abitazioni. La chiesa e alcuni stabili sono fatti saltare. I resti delle vittime vengono sepolti qualche settimana dopo, quando Sassoleone fu liberato dagli alleati.
Un cippo ricorda i martiri:
Giovanni Arcangeli
Margherita Cella in Wolf
Maria Dal Monte
Elsa Domenicali
Emilia Fiumi,
Fiorina Fiumi
Colomba Galassi
Luigi Gambetti
Giuseppina Ghini
Maria Lelli
Francesca Monti
Margherita Morini Fortuzzi
Mario Morini Fortuzzi
don Settimio Patuelli
Clotilde Poli
Vincenzo Prosperi
Giuseppe Scala
Angela Suzzi
Attilio Suzzi
Anna Maria Tarlazzi
Ettore Tonni
Onesta Turrini
Gisella Wolf in Morini Fortuzzi.
• • •
Missing some Tweet in this thread? You can try to
force a refresh
10 gennaio 1945 Dordia (Parma). Reparti militari tedeschi e fascisti risalgono in forza le alti valli del Taro, del Ceno e dello Stirone. Al loro passaggio i soldati lasciano dietro di sé distruzione e violenza di ogni genere contro chiunque appartenga alla Resistenza o che
solo sia sospettato di collaborare con essa. Numerosi partigiani riescono a sottrarsi alla cattura, una parte cade invece nelle mani dei rastrellatori, come capita a diciotto giovani a Varano Melegari che si sono rifugiati in un cascinale appartato in località Ca’ Cornali.
Sorpresi da un reparto militare lungo il sentiero innevato che da Vianino porta al gruppo di case situate nella piccola valle del Dordia, vengono condotti lungo un secondo sentiero che porta verso la provinciale. A metà strada sono fatti fermare e sono fucilati senza pietà.
21 novembre 1920: Bologna, 500 fascisti danno l’assalto, sparando e lanciando bombe a mano, a palazzo D'Accursio dove si festeggia l’insediamento dell’amministrazione
socialista e del sindaco Ennio Gnudi, provocando nove morti e più di 50 feriti. Negli scontri muore anche il
consigliere della minoranza l'ex comattente avvocato Giulio Giordani. Il governo scioglie l’amministrazione comunale. Le elezioni amministrative erano state un
trionfo per i socialisti che, nonostante il clima di violenza, avevano conquistato 54 comuni su 61 e gli altri sette
erano andati al Partito popolare. La lista "Comitato pace, libertà e lavoro", composta da esponenti delle associazioni industriali e dei commercianti, ex
combattenti, nazionalisti e fascisti, subì una pesante sconfitta. Ma già alla vigilia elettorale avevano espresso chiaramente
19 novembre 1944 Eccidio di Villa Cavazzoli (RE).
Nella sera precedente cinque uomini decidono di recarsi insieme presso la locale cooperativa di consumo che funge anche da bar. Il locale è situato sulla via Emilia a poco più di cento metri dalle abitazioni dei cinque uomini.
Motivo di questa piccola riunione è di avere notizie, presso il locale pubblico, della situazione della guerra e del suo evolversi; in quel momento gli alleati sono fermi al di là della Linea Gotica.
Un gruppo di fascisti, che saranno successivamente individuati come
appartenenti alla famigerata Banda Ferri, rastrella i cinque lungo il loro tragitto come rappresaglia al ferimento di un milite avvenuto nel pomeriggio e li porta in città presso Villa Cucchi. Questa villa, situata all’interno del centro città, è sede della milizia fascista e
Luciano Proni, nome di battaglia "Kid". Prestò servizio militare in Albania e in URSS. Fece parte del gruppo dirigente della FGSI di Bologna e fu uno dei promotori della brigata Matteotti Città. Il 23 settembre 1943, con Leandro e Vincenzo Monti, recuperò parte delle armi
abbandonate nella caserma di via Agucchi che servirono per la brigata. Fu uno dei massimi dirigenti della brigata sino al luglio 1944 quando, per la delazione di una donna, furono arrestati numerosi militanti della FGSI.
Quando le brigate nere si recarono ad arrestarlo, nella
sua abitazione in via del Carro 9, riuscì a fuggire fortunosamente in mutande, passando lungo i tetti da un'abitazione all'altra. Si recò sull'Appennino bolognese, tra Pianoro e Monterenzio, ed entrò a far parte della 62ª brigata Camicie rosse Garibaldi. Divenutone il comandante,
26 ottobre 1944 eccidio del Senio a Lugo (RA).
Il 20 ottobre 1944, nella zona tra Lugo e Cotignola, Brigatisti Neri e Nazisti organizzano un rastrellamento senza che azioni recenti contro di loro diano il pretesto della rappresaglia viene catturato un gruppo di giovani
partigiani delle frazioni di Barbiano, Zagonara e del sud del Lughese.
La mattina del 25 ottobre uno di loro, Carlo Landi, viene trovato massacrato sulla scalinata d'ingresso della Rocca. Poi i brigatisti, dopo aver rapinato tutto il denaro contante della Banca d'Italia,
consegnarono gli ostaggi ai tedeschi e si danno alla fuga verso Nord. Mentre le famiglie dei ragazzi, convinte che fossero stati presi dalla TODT, continuavano ancora a portare cibo e vestiti di ricambio al custode delle carceri, all'alba del 26 ottobre i tedeschi conducono i
Alle ore 21.00 del 21 settembre 1941, giorno che coincideva con il capodanno ebraico, una squadraccia fascista capeggiata da Asvero Gravelli si recò in via Mazzini 25 e qui diede l’assalto ai due locali che la Comunità, ormai molto ridimensionata, adibita alternativamente al
culto: il Tempio di rito tedesco, a cui si accede per la scala principale ed il cosiddetto "Oratorio Fanese" che è in cima ad una modesta scala a sinistra dell’ingresso.
Forse a conoscenza della festività, i fascisti pensavano di trovare i locali pieni di fedeli (una funzione
particolarmente solenne era finita solo una mezz'ora prima) e delusi in questa loro aspettativa sfondarono le porte, ma, trovando i locali disabitati, non rimase che distruggere marmi, vetri, mobilio, anticipando le devastazioni del 1943-1944.
Il rabbino capo, Leone Leoni,