Per una semplice quanto potente e ineludibile omeostasi del rischio, un nuovo lockdown generalizzato non sortirebbe gli effetti voluti, senza contare l'impatto sociale, ancor prima che economico.
Dato che mi è stato chiesto, ora parto col pippone.
E se non vi va bene, la colpa è di @colvieux e altri.
Il primo lockdown ha potuto "godere" dell'effetto novità, della naturale (ed evolutivamente sensata) paura verso l'ignoto.
È stato, a mio avviso, una scelta sensata (e ne scrissi a suo tempo). Ma come facilmente prevedibile, è stato gestito malissimo.
Vogliamo parlare della scuola, dei gironi bancheschi e dei saltimbanchi di Stato?
Il primo lockdown, in termini di gestione del rischio, aveva un fondamento: bloccare l'esplosione dei contagi, preservare le strutture sanitarie (per evitare gli effetti di secondo ordine),
guadagnare tempo per capire. Andava fatto per un tempo limitato e cum grano salis, ma la pessima gestione Fontana/Gallera, la tragica conta dei morti, le immagini strazianti di Bergamo, le RSA da incubo hanno spinto il Governo a prolungarlo,
in cerca di una pietra filosofale che non c'è (alla politica piace non assumersi alcuna responsabilità).
Siamo entrati in una spirale emergenziale che continua ancora, in modo sempre più grottesco. Diversi politici hanno trovato la manna nell'emergenza, nello stato di eccezione.
Da buoni animali sociali e adattivi, abbiamo cominciato a convivere col Covid. I più intelligenti, o semplicemente i più prudenti, hanno capito che è meglio non rischiare, che è meglio attenersi alle regole di igiene, che la mascherina è un fastidio più che accettabile,
che stringersi le mani può essere evitato (e poi tanti non se le lavano dopo essere stati in bagno, quindi vediamo il lato positivo...), così come la calca eccessiva.
Di quelli che negano l'esistenza del problema non si può che accettarne l'esistenza
(gli idioti esistono, non è una grande scoperta), cercando di convincerli, e puntando sullo stigma sociale per contenerli. Senza facili manie castigatrici da cui si torna difficilmente indietro, però.
Ma anche tra i ligi alle regole, tra coloro che vedono il pericolo di una pandemia, tra "noi intelligenti", è innegabile che l'omeostasi del rischio entri in azione. Non è un processo razionale, anzi, il più delle volte è irrazionale.
Ci adattiamo al rischio, modifichiamo il nostro comportamento di conseguenza, in un certo senso lo accettiamo come naturale (e in fondo il rischio è naturalmente umano: qual è il rischio di un terremoto su Plutone?!), lo compensiamo.
Come ho già detto altrove: nessuno di noi uscirebbe di casa con il rischio di un bombardamento, ma i bambini siriani, libici, birmani o afgani giocano sotto le bombe. Perché? Sono forse stupidi? No, poverini: per loro i colpi di mortaio, le sparatorie sono parte del quotidiano.
L'uomo è un animale che si adatta benissimo, per questo abbiamo conquistato il mondo. Tutti noi ci siamo adattati e ci stiamo adattando al Covid, in modo più o meno cosciente.
Abbiamo tutti (va bene, tu, proprio tu che leggi no, tu sei un/a santo/a, un/a puro/a, lo sappiamo, non serve il commento) fatto qualcosa di "rischioso" questa estate: una stretta di mano, un saluto troppo vicino, siamo stati in un bar affollato,
abbiamo partecipato a una serata in discoteca, siamo stati stretti stretti sotto gli ombrelloni, o abbiamo votato politici come Emiliano (ma perché?! Oddio, lo so, l'alternativa era Fitto, ma santo cielo!).
Eppure sappiamo che il rischio non è svanito, che una seconda ondata è nelle cose, che ci sarà ancora sofferenza purtroppo. Il più delle volte siamo ligi alle regole: mascherina, gel disinfettante, distanza sociale.
Eppure, in certi casi ci lasciamo andare, come non avremmo mai fatto ad aprile. Perché? Assuefazione e fatalismo, è umano (troppo?). E l'egoistica miope visione che a noi non è successo nulla, che noi siamo fortunati (è un bias).
Tutto irrazionale, ma succede (e lo si studia da anni).
E abbiamo visto gli impatti del lockdown dal punto di vista economico, da noi e altrove. E non si parla di soldi, non solo, si parla di vite, di lavoro perso, di depressione, di visite saltate per malattie gravi e croniche.
Effetti che vedremo ancora di più nei prossimi mesi, nonostante le lotterie cash-back e le altre amenità del circo governativo.
Un nuovo lockdown generalizzato, date questa assuefazione e la conoscenza del primo lockdown, non potrà sortire gli stessi effetti del primo.
Tanti non accetteranno di chiudersi in casa, tanti non potranno (già!) chiudersi in casa. La soluzione facile sarebbe la militarizzazione, ma anche no, grazie. Anche solo immaginarlo, come qualcuno al Governo immagina e dichiara, è assurdo.
Non si parla di contenimenti localizzati, ben circoscritti e fondati. Quelli potrebbero (ma il condizionale è d'obbligo) funzionare e avere un senso.
Quindi nulla? No, quindi si continua a stare attenti il più possibile, con la mascherina, lavandosi le mani (quello anche dopo
il covid, che vi costa?!), evitando rischi eccessivi, non riaprendo gli stadi, cancellando i grandi eventi, spingendo perché il Governo pensi a soluzioni per i trasporti (locali in primis), a garantire la continuità economica delle attività, perché aiuti chi ha perso il lavoro
(in modo serio non meramente da mancia elettorale), perché la smettano di cincischiare con le assurdità alla Arcuri (che se andasse a casa non sarebbe male).
Non si abbassa la guardia, ma non si grida al lupo al lupo del lockdown. Serve serietà; serietà, che magica parola.
Poi arriverà il vaccino, e forse finirà questa follia.
E magari impareremo a prepararci per la prossima, come avremmo dovuto fare dopo SARS (non solo su carta, più come a Taiwan), perché con SARS ci è andata solo bene.
Chiamasi culo, tecnicamente.
Ne ho scritto (a sei mani) anche in un articolo che uscirà a giorni sull'International Journal of Forecasting. Il preprint è qui: arxiv.org/pdf/2007.16096…
Fine del pippone.
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Tra il 1996 e il 2022, c'è stato un cambiamento statisticamente significativo nella distribuzione della ricchezza netta in Italia.
La curva di Lorenz si è spostata a destra, indicando una maggiore disuguaglianza.
Il Gini passa da circa 0.63 a 0.67 (H_0 uguaglianza rigettata).
La cosa "buffa" è che per quanto più diseguale nel tempo, l'Italia in termini di ricchezza netta resta uno dei paesi meno diseguali. Francia, Germania, UK, Svizzera, USA (ça va sans dire), sono tutti più diseguali e concentrati in termini di ricchezza netta (non di reddito!).
La cosa interessante è che le curve di Lorenz e i loro Gini ci raccontano una storia che già sappiamo.
Il ceto medio italiano si è impoverito, e i poveri tendono a essere relativamente più poveri.
Ma l'Italia è un paese che non cresce e non innova, e quindi anche i suoi ricchi
Ho visto un video nel quale il Signor Presidente del Consiglio si vanta della crescita della spesa sanitaria procapite, indicandola come segno di maggiori e migliori investimenti.
Beh, facciamo che la spesa oggi sia 100 e ci siano 100 persone. La spesa procapite è 1. Se domani
la spesa resta 100 ma le persone diminuiscono a 98, la spesa procapite diventa 1.02.
Se le persone restano 100, ma la spesa aumenta per inflazione a 104, la spesa procapite sale a 1.04.
Se la spesa sale per inflazione a 104 e le persone scendono a 98, la spesa procapite è 1.06.
Se la spesa scende a 98, ma le persone scendono a 95, la stessa procapite cresce comunque a 1.03.
E possiamo continuare con calcoli più raffinati, e scenari più complessi.
La spesa procapite potrebbe infatti aumentare nonostante una riduzione dei servizi! Se alcuni servizi
Torna carsica la polemica pelosa sui numeri della povertà in Italia.
Polemica in cui l'opposizione del momento accusa il governo del momento di non fare nulla per aiutare i più poveri.
Sulla misurazione della povertà, attività fondamentale per cercare di gestirla, esiste
una ricca letteratura, purtroppo chiaramente ignota alla classe politica.
Per capire i numeri della povertà in Italia, occorre capire come ISTAT si muove per quantificarla.
ISTAT calcola 3 statistiche principali: povertà assoluta, povertà relativa, rischio di esclusione sociale.
La povertà assoluta è una valutazione che considera esclusivamente la situazione economica, senza tener pienamente conto delle dimensioni del nucleo familiare o del contesto geografico. È una misurazione che si trova quasi solo in Italia, non comune altrove.
Inizio il thread come promesso.
Dato che ci metterò un po' a collezionare e mostrarvi le perle, per il momento chiudo i commenti.
Appena finito con le sciccherie, li riapro.
Si inizia subito con l'assoluta modestia di Giorgia e l'imparzialità di Sallusti.
Ah, ovviamente non posso mettere tutto, per non violare il diritto d'autore, quindi mi limiterò ai passaggi più psichedelici, assurdi e trash. Perché sì, questo libro è un capolavoro del trash. Complimenti agli autori!
Non sentite il tepore di un caminetto, i violini in sottofondo e un'abbondante salivazione?
E la povera Giorgia coi piedi gonfi?!
Vi risparmio i commenti sulla tappezzeria damascata.
Ciao @Cr1st14nM3s14n0, ecco la lunga risposta promessa.
Quando si ha a che fare con un sistema complesso bisogna distinguere il livello al quale lo si approccia.
Prendiamone tre, forzando un po': teorico, empirico, gestione del rischio (se serve, se il sistema ne genera).
A livello teorico devi puntare al modello che meglio descrive il sistema nelle sue componenti principali e, per quanto possibile, in quelle minori. E non è detto che il modello sia o debba essere esso stesso complesso/complicato/difficile (scegli tu).
Prendi tanti automi cellulari: il modello di sviluppo è spesso banale e deterministico, ma generano cose di difficoltà allucinante anche nel semplice caso unidimensionale.
Il problema è che ricostruirlo dalle realizzazioni non è banale, e spesso finisci con un modello
Il primo Governo che voglia davvero iniziare a ridurre povertà e disagio sociale dovrà far funzionare (non solo annunciare) un database unico dell'assistenza sociale, con l'aiuto del terzo settore.
Chi è in condizioni di necessità deve essere noto allo Stato, e ricevere
automaticamente gli aiuti, senza dover ogni volta chiedere e certificarsi. Dove? Su un banale conto corrente gratuito, senza tessere e tesserine riconoscibili, senza file alle Poste stile anni 30.
Il database unico aiuterebbe anche a prevenire abusi, a sapere esattamente chi
riceve cosa da chi (Stato, associazioni, etc.), in modo da rendere l'assistenza più efficace, raccogliendo dati utili a sviluppare e ottimizzare politiche sociali sensate, senza spiccioli (neanche soldi) a pioggia come oggi.
Naturalmente un database unico di questo tipo deve