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Dec 7, 2020 22 tweets 6 min read Read on X
“La scaltra volpe del Nord” mi definiva.
Che carino. Mai ricambiato.
Per me lui rimaneva sempre “quel vecchio rapinatore”.
Altri mi definivano un essere pigro, capriccioso e insopportabile.
Ambizioso e donnaiolo.
Non so. Troppi difetti per un uomo solo.
Io ero molto altro. Image
Sono nato a San Pietroburgo, capitale dell’Impero russo, nella notte del 16 settembre 1745.
Mia madre era una Beklemishevy, una famiglia nobile.
Morì quando ero ancora piccolo, dopo aver partorito altri due figli. Mi crebbe nonna.
Mio padre, Ilario Matveevich, aveva servito lo zar Pietro il Grande combattendo contro i turchi. Fu lui a portarmi a corte per conoscere la zarina Elisabetta. Strane abitudini.
Usciva dalla stanza solo la domenica e viveva di notte circondata da poeti, cantanti e amanti. Image
A quei tempi veniva imposto ad ogni figlio di nobile di entrare nell’esercito.
Non tutti però obbedivano.
Io, figlio di un generale, non potevo certo tirarmi indietro.
Ero bello e intelligentissimo.
E soprattutto modesto, vero?
Che volete.
Eccellevo in matematica, teologia, filosofia, storia, diritto, scienze sociali e fortificazioni. Inoltre parlavo correttamente il francese, il polacco, il tedesco, lo svedese, l’inglese e il latino.
Ho esagerato. Il latino sì, ma con qualche difficoltà.
Veloci.
Nel 1761 entrai ufficialmente nell’esercito. Bruciai le tappe. Nel 1762, già capitano, venni assegnato al reggimento di fanteria sotto il comando del grande Aleksandr Vasil'evič Suvorov. Mi feci notare in Polonia, quando inseguimmo i polacchi fino in territorio turco.
Nel 1768 la Turchia dichiarò guerra alla nuova Imperatrice Caterina II.
Ero già maggiore quando con le truppe russe occupammo Bucarest.
L’impero turco non era più quello di una volta, ma attaccavano sempre urlando, e quello spaventava i miei soldati. Image
Per meriti ero stato trasferito allo stato maggiore di Rumyantsev.
Lui aveva solo 43 anni, ma vi garantisco che era un genio nell’arte della manovra.
Mi insegnò che non bisogna mai dare battaglia se non si è sicuri di vincere.
Piuttosto arretrare, temporeggiare. Image
Una carriera folgorante la mia.
Ma la combinai grossa quella sera con gli amici in un locale di Bucarest.
Ero ubriaco e feci il verso a Rumyantsev.
La sua camminata legnosa e rigida.
Lo presi in giro, insomma.
E qualcuno glielo andò a riferire.
Giustamente mi scaricò
Finii alla Seconda Armata del principe Dolgorukov, che combatteva i Tartari.
Fu sulle coste della Crimea che venni ferito alla testa. Guarii in fretta, ma cominciai ad avere dei terribili mal di testa.
Devo andare più veloce.
Passerò oltre la peste del 1773, e il giro in Europa. A Berlino da Federico il Grande e a Londra, dove venni a sapere del Generale Washington.
(Dal 1774 al 1783 Washington combatterà quattordici grandi battaglie, vincendone solo sue. Ma vincerà la guerra)
In seguito mi torneranno in mente le parole di Rumyantsev.
Nel frattempo ero tornato sotto il comando di Suvorov in Crimea. Nel 1778 avevo sposato Ekaterina Bibikova che mi avrebbe dato sei figli.
Cinque femmine e un maschio, morto subito.
E poi la morte di Caterina II.
E la salita del trono di Paolo. Quello era pazzo. E non mi vedeva di buon occhio. Mi spedì lontano.
Ero comunque con lui a cena quando poi nella notte un gruppo di ufficiali lo uccise. Toccò quindi ad Alessandro. Image
Che mi odiava ancora di più.
Certo, gli rimproveravo di essere a conoscenza della congiura.
Del parricidio, intendo.
Dovetti fuggire in un remoto villaggio.
Tra povertà e reumatismi. Con un occhio che non sopportava la luce e ontinui e pesanti mal di testa.
Ricordate all’inizio quando vi ho parlato del “vecchio rapinatore”.
Nel 1805 mosse le sue truppe da Boulogne contro la coalizione austro-russa. Con i suoi duecentomila uomini della Grande Armée progettava di sterminare gli austriaci prima dell’arrivo delle truppe russe. Image
Fu allora che Alessandro mi richiamò.
Diressi l’esercito russo velocemente verso l’ansa del Danubio chiedendo agli austriaci di aspettarmi. Invano.
Mack, con la sua armata di 51.000 austrici, volle fare da solo.
Finì con l’andare da Napoleone a firmare la resa. Patetico. Image
Mi ritirai allora lungo il Danubio.
Francesco I d’Austria si lamentò di me con Alessandro per essere scappato. Stupido. Riuscì a convincere Alessandro a spostare le truppe per combattere ad Austerlitz.
Due pazzi.
Sapevo esattamente come sarebbe andata. Image
Non avevo grandi poteri, ma non mi dimisi. Volevo restare nell’esercito.
Non essendo ascoltato assistetti alla sconfitta sprofondato in una poltrona.
Con tre giovani fanciulle.
Lo avevo detto ad Alessandro di non combattere. Perchè non mi aveva ascoltato?
Finii con l'andare in pensione.
Ricordo quel 23 giugno 1812 quando gli uomini della Grande Armée superarono il fiume Niemen dilagando nella Polonia russa.
E chi ti va a chiamare il simpatico Alessandro per salvare il salvabile?
Esatto. Il sottoscritto.
L’unico in grado di fermarlo.
Di fermare l’armata di Napoleone.
Come pensavo di batterlo? Napoleone non si poteva battere, poteva solo essere ingannato. Come prima mossa spostai l’esercito nei pressi del fiume Moscova dove sorgeva un piccolo villaggio chiamato Borodino.
Scrissi allo zar. “La mia posizione è delle migliori. Qualsiasi cosa accada difenderò Mosca”.
A Borodino disponevo di 128mila uomini e 640 cannoni.
Napoleone, 130mila uomini e 587 cannoni. Pronti per la battaglia.
Essendomi dilungato, la battaglia e il seguito ve li racconterò nel prossimo thread.
Non mi sono ancora presentato.
Mi chiamo Michail Illarionovič Goleniščev Kutuzov.
E nel giorno della battaglia, il 7 settembre 1812, stavo per compiere 67 anni. Image

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May 13
Come anticipato nel thread di ieri sera, che potete leggere nel link sotto, mi chiamo Michail Illarionovič Goleniščev Kutuzov.
Vi stavo raccontando che mi trovavo col mio esercito nel villaggio di Borodino pronto ad affrontare l’esercito di Napoleone.
bit.ly/4j4VsUB
Era un bel colpo d’occhio vedere i miei uomini schierati di fronte all’esercito francese lungo tutte le colline.
Con quei bei cannoni tutti neri.
Il morale alto.
Pronto a difendere la Santa Russia e "le mogli e i figli".
Il primo sparo?
Alle sei di mattina del 7 settembre 1812. Image
La forza della cavalleria francese era come un bulldozer.
Resistemmo fino all’impossibile.
Non ci voleva proprio il ferimento del principe Ivanovič Bragation che guidava l’ala sinistra, la mia seconda armata.
Un durissimo colpo
(Bragation morirà il 12 settembre) Image
Read 24 tweets
May 12
“La scaltra volpe del Nord” mi definiva.
Che carino.
Mai ricambiato.
Per me lui rimaneva sempre “quel vecchio rapinatore”.
Altri mi definivano un essere pigro, capriccioso e insopportabile.
Ambizioso e donnaiolo.
Non so.
Troppi difetti per un uomo solo.
Io ero molto altro. Image
Sono nato a San Pietroburgo, capitale dell’Impero russo, nella notte del 16 settembre 1745.
Mia madre era una Beklemishevy, una famiglia nobile.
Morì quando ero ancora piccolo, dopo aver partorito altri due figli.
Mi crebbe nonna.
Mio padre, Ilario Matveevich, aveva servito lo zar Pietro il Grande combattendo contro i turchi.
Fu lui a portarmi a corte per conoscere la zarina Elisabetta.
Con strane abitudini.
Usciva dalla stanza solo la domenica e viveva di notte circondata da poeti, cantanti e amanti. Image
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May 7
Ieri Johannes ha dato voce ad Alexander Selkirk, il pirata la cui storia, secondo alcuni, è la stessa raccontata da me nel libro “Robinson Crusoe”.
(Leggete qui )
Non è così.
Per cui ritengo giusto portare alla vostra conoscenza la mia versione. bit.ly/4k5qo81Image
E’ vero, andai da Alexander per sentire dalla sua voce quella storia che girava ormai da anni.
I suoi quattro anni e quattro mesi passati sull’isola Juan Fernández.
Il mio Robinson è quindi Alexander Selkirk?
Una definizione avventata, e in quanto tale, assolutamente inesatta.
Come avrete capito mi chiamo Daniel Defoe.
E vi farò una confessione.
Dalla vicenda di Alexander, che avevo conosciuto attraverso gli scritti di Rogers e dello Steele, e approfondita durante l’incontro con lo stesso Alexander, ho preso solo lo spunto.
Nulla più. Image
Read 25 tweets
May 6
Fui sicuramente uno dei primi a leggere quel romanzo, uscito esattamente il 25 aprile 1719.
E non potei fare a meno di rilevare un sacco di inesattezze.
Per me era chiaro.
Quello che lo aveva scritto non aveva mai vissuto ai tropici.
C’erano un sacco di errori e imprecisioni.
Come quel personaggio inseguito dai selvaggi che non sapeva nuotare.
Assurdo.
E cosa dire del protagonista che, in un’isola del Sudamerica, si era messo a costruire una palizzata per proteggersi dalle bestie feroci?
Altra assurdità.
E poi foche, pinguini, alle foci dell’Orinoco.
A quei tempi ero sottotenente sulla nave Weymouth della marina di S.M. britannica.
Non mi intendevo di cose letterarie, avevo letto si e no la Bibbia, ma in quel caso avevo diritto più di chiunque altro di esprimere la mia opinione.
Perché il protagonista di quel libro, ero io.
Read 25 tweets
May 4
E' il 7 luglio 1929.
A Roma, allo Stadio Nazionale del PNF, si assegna il campionato di calcio, ultimo campionato a gironi.
Se lo contendono il Bologna e il Torino.
3-1 all’andata per il Bologna, 1-0 per il Torino al ritorno.
Niente differenza reti all’epoca.
E’ spareggio. Image
Image
Sinceramente a me interessava poco quella partita.
Non fosse altro per i miei 10 anni.
Con i miei amichetti avevo deciso di andare all’Adda a fare il bagno.
Noi ragazzi poveri di Cassano d’Adda ci divertivamo così, malgrado fossimo a conoscenza della pericolosità del fiume. Image
Con noi portavamo sempre il “Ciapìn”, ferro di cavallo, un ragazzino di sei anni chiamato così perché portava fortuna.
Avevamo tutti un nomignolo.
Io ero il “Tulèn”, perché prendevo a calci tutto quel che trovavo per strada, pallone di stracci o barattoli di latta.
Read 20 tweets
May 2
“Morire sì, tocca a tutti prima o poi.
Ma morire così: schernito, umiliato, con il marchio di criminale e vecchio libidinoso.
Mi avessero detto prima di nascere che sarebbe finita così, avrei senz’altro declinato l’invito: no grazie, avanti un altro. Io aspetto tempi migliori…”
Oggi è il 2 giugno del 1942.
E sono 77.
I giorni passati in cella dopo la condanna, intendo.
E Irene?
Non ho sue notizie dal giorno della sentenza.
Ho saputo che è rinchiusa in un carcere femminile di massima sicurezza, insieme a ladre, assassine, prostitute e comuni criminali.
Chissà se è vero che la testa continua a vivere per qualche tempo, dopo che è stata tagliata dal corpo.
Perché sto per essere ghigliottinato?
Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?
Niente.
Ma è una lunga storia.
Iniziata nel 1932.
Read 25 tweets

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