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Oct 21, 2021 19 tweets 6 min read Read on X
Lo so, sono cose che non dovrebbero accadere. Però è successo. Cosa avrei dovuto fare? Urlare al mondo l’ingiustizia subita? Quello fu solo la logica conseguenza. Ai miei tempi il sistema scolastico cercava persino di scoraggiare le ragazze dallo studio delle materie scientifiche
E se qualcuna si impuntava e voleva assolutamente iscriversi all’università, le venivano richiesti voti più alti rispetto ai maschietti. Assurdo, vero?
Comunque. Cominciamo dall’inizio.
Sono nata a Belfast il 15 luglio 1943.
E sono una di quella ragazze che puntarono i piedi.
Il mio interesse per l’astronomia? Lo devo a papà.
No, non era un astronomo, e non mi aveva nemmeno trasmesso una sua passione. Era solo un architetto. Speciale però, perché aveva partecipato alla costruzione dell’Osservatorio di Armagh, nell’Irlanda del Nord.
Era il 1965 quando mi trasferii in Inghilterra per laurearmi in Astronomia.
L’università? Quella di Cambridge. Il professore? L’astrofisico Antony Hewish.
Con lui seguii la costruzione del gigantesco radiotelescopio presso il Laboratorio Cavendish.
Ero euforica.
Ero solo una studentessa, una delle sue dottorande di ricerca, ma il professor Hewish scelse me per osservare le quasar, oggetti celesti appena scoperti, che emettono energia come una galassia.
Quasar, contrazione di ‘sorgente radio quasi stellare’.
Iniziai quel lavoro nel luglio del 1967. Dimenticavo.
Mi chiamo Jocelyn Bell.
Se non sapete come funziona vi dico in parole semplici che un radiotelescopio è fermo.
Sotto di esso c’è un pennino che lavora come un sismografo, registrando l’intensità del flusso radio.
Ecco, io avevo il compito di analizzare gli oltre trenta metri di carta che ogni giorno l’apparecchio produceva.
Passarono pochi mesi quando vidi quei segnali insoliti. Sempre nello stesso punto del cielo.
Segnali che non riuscivo a definire.
Quando ne parlai col professor Hewish mi consigliò di aumentare la risoluzione del segnale. Fu così che nel novembre del 1967 li notai. Una serie di impulsi ogni 1,3 secondi. Corsi dal professore. Restai delusa. Mi disse che si trattava sicuramente di interferenze di natura umana
Io sapevo che non era come diceva.
Perché apparivano sempre nello stesso momento? Quei segnali non erano affatto di origine umana.
La distanza dell’emettitore periodico? Mille anni luce. Vi giuro che il primo pensiero andò a una civiltà extraterrestre.
Mi sbagliavo.
Perché in un diverso punto del cielo scoprii un altro segnale. Ogni 1,2 secondi.
E poi un altro, e un altro ancora.
Quattro segnali in arrivo da quattro punti diversi.
Era arrivato il momento di pubblicare il tutto.
Cosa che avvenne nel febbraio del 1968 su Nature.
“Sorgenti radio pulsante”, le chiamammo inizialmente. Voi oggi le conoscete come “pulsar”.
Stelle di neutroni ad altissima densità e dotate di un forte campo magnetico.
È presumibile che siano residui di supernove, stelle dotate di eccezionale splendore.
Presa la laurea mi sposai.
Andai a lavorare a Southampton, presso il
Laboratorio di Scienze Spaziali Mullard.
Dal 1974, dopo il primo figlio, nel Laboratorio di Holmbury St. Mary nel Surrey.
Ma non a tempo pieno.
Dal 2018 sono rettore dell’Università di Dundee.
Ricordate l’inizio della storia? « Lo so, sono cose che non dovrebbero accadere. Però è successo. Cosa avrei dovuto fare? Urlare al mondo l’ingiustizia subita?». Invece non urlai, quando nel 1974 diedero il Nobel per la Fisica al mio professore Hewish e al britannico Martin Ryle.
Perché il Nobel?
«Per il loro ruolo nella scoperta delle pulsar».
Già.
Lo so cosa state pensando.
"Ma non era una tua scoperta? Perché diavolo hanno dato il Nobel a due uomini? Dovevano darlo a te.
Hewish era solo il tuo superiore".
Non so. Forse il mondo non era pronto.
A un contributo decisivo allo sviluppo dell’astrofisica da parte di una giovane donna, intendo.
Io non me la sono presa.
«Se vinci un Nobel passi una settimana fantastica e poi nessuno ti premia con nient’altro.
A me invece ogni anno danno un premio.
Molto più divertente»
Nel 2018 Jocelyn ha ricevuto lo Special Breakthrough Prize in Fundamental Physics: un premio che vale tre Nobel, in termini economici. Tre milioni di dollari che ha interamente donato per facilitare l’accesso delle donne, delle minoranze e dei rifugiati alle carriere scientifiche
Nel 2021 Jocelyn ha ottenuto la medaglia Copley.
Il premio più antico del mondo, istituito nel 1731 dalla Royal Society di Londra.
Nel corso di quasi tre secoli la medaglia è stata assegnata a due sole donne: la cristallografa Dorothy Crowfoot Hodgkin (1976) e a Jocelyn Bell.
"Io ero una studentessa di dottorato, e in quei tempi si credeva, si percepiva, si dava per assodato, che la scienza fosse fatta e guidata da grandi uomini. E che questi uomini avessero una pattuglia di servi che facevano ogni cosa su indicazione, senza pensare".
"Stavo combattendo per trovare qualcuno che potesse aiutarmi nel badare a mio figlio per proseguire la carriera.Tutte quelle cose con cui la mia generazione dovette lottare prima che ci fossero asili sui posti di lavoro, prima che fosse accettabile l’idea che una donna lavorasse"

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Jun 22
«Si metta vicino alla parete e osservi attentamente la stanza».
La cosa gli era sembrata perlomeno strana.
Le aveva parlato dei suoi problemi, di quel periodo buio dal quale non riusciva a uscire.
Cos’era?
Un nuovo gioco?
Comunque obbedì.
«Ora osservi tutto quello che si trova in questa stanza e si concentri sulle cose di colore nero».
Vabbè, di cose nere ce n’erano parecchie.
La scrivania ne era piena, la libreria, i vasi e poi soprammobili di tutti i tipi.
«Forse sta testando la mia memoria», pensò l’uomo.
Cominciò ad osservare e memorizzare tutte le cose di colore nero e la loro posizione.
Non era poi così difficile.
Aveva sempre avuto una memoria fuori dal comune. Dunque.
Alcuni libri, l'elefantino, un porta vaso, la stilografica...
Era pronto.
L’avrebbe stupita.
Read 7 tweets
Jun 20
Siamo sempre stati abituati ai cataclismi.
Normale se vivi su un’isola dove i terremoti sono all’ordine del giorno da secoli.
Se al centro si eleva il monte Aso, il più vasto vulcano attivo del mondo.
Per non parlare del vulcano Kirishima e a sud quello di Sakurajima. Image
Eravamo abituati ai cataclismi, noi dell’isola di Kyushu, la Sicilia nipponica.
Sapevamo cosa fosse la paura, vivevamo da sempre con la paura.
Perché proprio a noi?
Perché quella nostra suggestiva città adagiata sulla costa ovest di Kyushu ricca di templi buddisti? Image
La città dove Pierre Loti aveva vissuto la sua avventura con Madama Crisantemo e in seguito pure quella del tenente Pinkerton con Butterfly.
Una città stupenda.
Sviluppata intorno alla baia dove confluiscono come una sorta di Y azzurra, quei due fiumi, l’Urakami e il Doza. Image
Image
Read 18 tweets
Jun 2
Nell'ultimo thread di qualche giorno fa, Johannes vi ha raccontato del problema della mancanza di carburante della Regia Marina Italiana durante la seconda guerra mondiale.
Almeno secondo l’opinione dell’ammiraglio Bragadin.
Fosse stato solo quello il problema. Image
L’ammiraglio Iachino lo mise nero su bianco, quando parlò di una guerra “più assurda che sfortunata”.
E uno dei motivi di quella guerra assurda riguardava proprio me che, laureato in ingegneria, lavoravo all'Istituto Superiore delle Trasmissioni. Image
Una guerra assurda, portata avanti da un irresponsabile.
Lui la Marina la voleva luccicante, una splendida Marina da parata e da propaganda.
E al diavolo se le navi da guerra non erano dotate di ecogoniometri per gli “avvistamenti” subacquei e di radar per quelli aeronavali. Image
Read 25 tweets
May 31
Me la ricordo bene quella sera.
Era il 26 aprile 1942 e l’Ammiraglio Varoli Piazza mi convocò nel suo studio.
Lo faceva spesso con me, ufficiale della sezione “Attività del nemico”.
Per discutere sulle ultime notizie dei movimenti delle forze navali britanniche in Mediterraneo
La ricordo bene perché capii subito che qualcosa non andava.
Dall’espressione del viso, e poi da quel gesto di vivo sconforto.
Quando mi mostrò quel foglietto.
Solo in quel momento pronunciò quella frase.
“Guarda qui, siamo a zero”.
L’intestazione del foglio era: “Situazione giornaliera delle rimanenze di nafta”.
Cioè il combustibile per far muovere le nostre navi.
Mi si ghiacciò il sangue nelle vene quando lessi l’ultima cifra: 14.400 tonnellate.
Non era possibile.
Non era possibile.
Read 25 tweets
May 30
Da tre anni eravamo al porto di Massaua, nel Mar Rosso, presso il Comando Navale dell'Africa Orientale Italiana in appoggio ai sommergibili.
Nel febbraio del 1941, l’Eritrea, dopo essere stata investita dalle forze britanniche, ormai era condannata.
Eravamo bloccati. Image
Ma qualche nave avrebbe potuto lasciare il Mar Rosso e salvarsi.
Tra queste la nave coloniale “Eritrea”, la mia nave. Duemilacento tonnellate di dislocamento, velocità massima sui 19 nodi, sei mitragliatrici e due coppie di cannoni da 120/50.
In totale 200 uomini d’equipaggio. Image
Mi chiamo Marino Iannucci, capitano di vascello e quella che sto per raccontarvi è la storia di un viaggio incredibile.
Una storia che meriterebbe maggior risalto.
Tutto ebbe inizio quando ricevetti l’ordine di abbandonare il Mar Rosso.
E mettere in salvo la nave. Image
Read 25 tweets
May 28
Oggi è il 29 marzo 1941.
Ho scritto un ultimo messaggio alla mia famiglia.
Ho affidato poi il messaggio al mare, dentro una bottiglia.
Povera mamma mia.
Mi chiamo Francesco.
E sto per morire.
Ho solo il tempo di raccontarvi come siamo finiti in questo lembo del Mediterraneo Orientale.
Imbarcato sul Fiume, incrociatore pesante della Regia Marina italiana, classe Zara. Image
Lui, quello che ha fatto anche cose buone, era piuttosto contrariato per le continue delusioni e i ripetuti rovesci della nostra marina.
Prima la mazzata nella notte di Taranto dell’11 novembre del 1940.
La Cavour quasi colata a picco e la Littorio e la C. Duilio danneggiate. Image
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