Johannes Bückler Profile picture
Oct 30, 2021 19 tweets 6 min read Read on X
Un dilettante.
Eppure avete avuto nei confronti della sua vicenda parole di ammirazione.
“Bellissima storia”, “storia geniale”, “carinissima storia”, “fantastica storia”.
Della mia di vicenda, vi garantisco, è stato detto ben altro.
Non ricordo nessuna ammirazione. Anzi.
Va bene, prendo atto, ma per quanto mi riguarda vi garantisco di non avere nessuna colpa per quello che è avvenuto durante la mia vita lavorativa.
Mi ritengo solo fortunata, quello sì.
Una fortuna iniziata fin dalla nascita.
Nella pampa argentina, nei pressi di Bahia Blanca.
Dove sono nata il 2 ottobre 1887, prima di nove figli. Mi chiamo Violet Constance Jessop.
I miei genitori venivano dall’Irlanda.
Ero ancora piccola quando la mia vita venne segnata da due disgrazie: la tubercolosi e la morte di mio padre, un allevatore di pecore.
I medici mi diedero per spacciata, ma ebbi fortuna, riuscii a guarire.
Per poter tirare avanti senza l’apporto di papà, ritornammo in Inghilterra.
Quando anche mamma si ammalò fui costretta ad abbandonare la scuola per cercarmi un lavoro.
Ero brava come cameriera, e a ventun anni cominciai a lavorare come “cameriera di cabina” presso la Royal Mail Line.
Paga pessima e turni massacranti, ma fu grazie a quel lavoro che tre anni dopo venni assunta dalla White Star Line, la più famosa compagnia navale britannica.
Il mio primo incarico? Sul transatlantico Olympic. Attraversare l’oceano non mi entusiasmava, ma avevo bisogno di quell’impiego.
Fu così che il 20 settembre 1911 salpammo da Southampton con destinazione New York. Andavamo spediti quando all’altezza dell’Isola di White, il botto.
L’incrociatore HMS Hawke virò a sinistra.
Le nostre 46mila tonnellate accartocciarono la prua dello Hawke (di 8mila tonnellate) distruggendola completamente, ma anche noi riportammo danni seri. Uno squarcio sulla fiancata tale da allagare due compartimenti. In più l’elica rotta.
Fummo costretti a tornare nei cantieri di Belfast per le riparazioni.
Ormeggiati al fianco del gemello dell’Olympic.
La White Star Line aveva investito un mucchio di soldi nella costruzione di tre transatlantici gemelli, per questo dovevamo riprendere il mare in fretta.
Presero i pezzi di ricambio dal transatlantico gemello, in costruzione, e nel novembre del 1911 ricominciammo la navigazione.
Fino al febbraio del 1912, quando, in mare aperto, l’Olympic rallentò improvvisamente per poi fermarsi del tutto. Rottura dell’elica e addio traversata.
Sbarcai, preoccupata per aver perso quell’occasione. Fortunatamente la compagnia mi propose di salire a bordo del gemello dell’Olympic, ormai ultimato, come addetta ai passeggeri di prima classe.
Erano le sei del mattino del 10 aprile 1912 quando salii la scaletta del Titanic.
Diciassette ore di lavoro al giorno per 3 sterline e 10 scellini al mese.
La paga non era un granché, ma avevo bisogno di lavorare.
E non era poi così male lavorare in prima classe.
Il viaggio sarebbe dovuto durare otto giorni, con arrivo il 17 aprile al molo 59 di New York.
Ricordo che eravamo in navigazione da pochi giorni, quando sentii lo schianto.
Fu un iceberg a squarciarci la fiancata.
Capii all’istante che saremmo colati a picco, ma, come la legge del mare impone: prima le donne e i bambini.
Salii sulla scialuppa numero 16.
E mi salvai.
Prima l’Olympic, e poi il Titanic.
Gli amici mi suggerirono di cambiare mestiere, ma io non ero spaventata. Per questo ritornai sull’Olympic.
Fino al 25 aprile del 1914, quando decisi di rimanere a terra per frequentare un corso da infermiera.
Ne uscii in qualità di "nurse qualificata", pronta a fare la mia parte durante la guerra.
E l’occasione capitò.
Quando il Britannic, transatlantico gemello dell’Olympic e del Titanic, venne requisito e trasformato in nave ospedale.
E così mi imbarcai.
Era il 12 novembre 1916 quando salpammo da Southampton verso Lemnos, in Grecia.
Dopo aver fatto rifornimento a Napoli, superammo lo stretto di Messina per arrivare all’altezza dell’isola di Kea.
Quando una tremenda esplosione scosse la nave.
Era il 21 novembre 1916.
Il Britannic aveva appena urtato una mina navale tedesca, ed era scoppiato l’inferno.
Gli ci volle poco meno di un’ora per affondare.
Alcune scialuppe vennero sbriciolate dalle eliche che le avevano risucchiate.
Io riuscii a salvarmi. Ancora una volta.
Lo so, alcuni di voi stanno considerando il mio “fattore C".
E ci sta. Altri invece staranno pensando come procurarsi un amuleto.
Tranquilli.
Mi sono imbarcata di nuovo nel 1920, effettuando trentatré traversate sull’Olympic, e trentasei sul Majestic.
Per poi tornare a terra, ma solo per 7 mesi. Amavo troppo il mare. Presi di nuovo il largo e per anni ho lavorato a bordo del Belgenland.
Poi, dopo la Seconda guerra mondiale, 7 traversate sulla Andes.
Per andare infine in pensione in un cottage inglese ad allevare galline.
Ho trascorso otto lustri in mare, e sono morta di insufficienza cardiaca nel 1971 all’età di ottantatré anni.
Sono sepolta nel piccolo cimitero di Hartest, nel Suffolk.
Io, Violet Constance Jessop, Miss Unsinkable, la ‘signorina inaffondabile’.

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Jun 2
Nell'ultimo thread di qualche giorno fa, Johannes vi ha raccontato del problema della mancanza di carburante della Regia Marina Italiana durante la seconda guerra mondiale.
Almeno secondo l’opinione dell’ammiraglio Bragadin.
Fosse stato solo quello il problema. Image
L’ammiraglio Iachino lo mise nero su bianco, quando parlò di una guerra “più assurda che sfortunata”.
E uno dei motivi di quella guerra assurda riguardava proprio me che, laureato in ingegneria, lavoravo all'Istituto Superiore delle Trasmissioni. Image
Una guerra assurda, portata avanti da un irresponsabile.
Lui la Marina la voleva luccicante, una splendida Marina da parata e da propaganda.
E al diavolo se le navi da guerra non erano dotate di ecogoniometri per gli “avvistamenti” subacquei e di radar per quelli aeronavali. Image
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May 31
Me la ricordo bene quella sera.
Era il 26 aprile 1942 e l’Ammiraglio Varoli Piazza mi convocò nel suo studio.
Lo faceva spesso con me, ufficiale della sezione “Attività del nemico”.
Per discutere sulle ultime notizie dei movimenti delle forze navali britanniche in Mediterraneo
La ricordo bene perché capii subito che qualcosa non andava.
Dall’espressione del viso, e poi da quel gesto di vivo sconforto.
Quando mi mostrò quel foglietto.
Solo in quel momento pronunciò quella frase.
“Guarda qui, siamo a zero”.
L’intestazione del foglio era: “Situazione giornaliera delle rimanenze di nafta”.
Cioè il combustibile per far muovere le nostre navi.
Mi si ghiacciò il sangue nelle vene quando lessi l’ultima cifra: 14.400 tonnellate.
Non era possibile.
Non era possibile.
Read 25 tweets
May 30
Da tre anni eravamo al porto di Massaua, nel Mar Rosso, presso il Comando Navale dell'Africa Orientale Italiana in appoggio ai sommergibili.
Nel febbraio del 1941, l’Eritrea, dopo essere stata investita dalle forze britanniche, ormai era condannata.
Eravamo bloccati. Image
Ma qualche nave avrebbe potuto lasciare il Mar Rosso e salvarsi.
Tra queste la nave coloniale “Eritrea”, la mia nave. Duemilacento tonnellate di dislocamento, velocità massima sui 19 nodi, sei mitragliatrici e due coppie di cannoni da 120/50.
In totale 200 uomini d’equipaggio. Image
Mi chiamo Marino Iannucci, capitano di vascello e quella che sto per raccontarvi è la storia di un viaggio incredibile.
Una storia che meriterebbe maggior risalto.
Tutto ebbe inizio quando ricevetti l’ordine di abbandonare il Mar Rosso.
E mettere in salvo la nave. Image
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May 28
Oggi è il 29 marzo 1941.
Ho scritto un ultimo messaggio alla mia famiglia.
Ho affidato poi il messaggio al mare, dentro una bottiglia.
Povera mamma mia.
Mi chiamo Francesco.
E sto per morire.
Ho solo il tempo di raccontarvi come siamo finiti in questo lembo del Mediterraneo Orientale.
Imbarcato sul Fiume, incrociatore pesante della Regia Marina italiana, classe Zara. Image
Lui, quello che ha fatto anche cose buone, era piuttosto contrariato per le continue delusioni e i ripetuti rovesci della nostra marina.
Prima la mazzata nella notte di Taranto dell’11 novembre del 1940.
La Cavour quasi colata a picco e la Littorio e la C. Duilio danneggiate. Image
Read 24 tweets
May 26
3 gennaio 1942 – Oggi si sono arruolati nella Marina degli Stati Uniti, assegnati all'incrociatore leggero USS Juneau (CL-52).
Sono George, Frank, Joe, Matt e Al.
Hanno tra i 20 e i 27 anni.
Sono cinque fratelli.
I cinque fratelli Sullivan. Image
8 novembre 1942 – L’incrociatore USS Juneau (CL-52), con a bordo i cinque fratelli Sullivan, è assegnato alla Task Force 69 (TF 69) come scorta antiaerea della portaerei USS Enterprise.
Sono salpati dalla Nuova Caledonia con un convoglio diretto a Guadalcanal. Image
13 novembre 1942 – L’incrociatore USS Juneau è coinvolto nella prima battaglia navale di Guadalcanal. E' incaricato di fermare una squadra giapponese diretta a bombardare l'aeroporto di Henderson Field a Guadalcanal.
Un siluro giapponese lo colpisce sul lato sinistro
Read 10 tweets
May 15
Oggi è il 31 gennaio 1944.
E non ho molto tempo.
Sta per toccare a me, quindi è il caso che mi sbrighi a raccontarvi la mia storia.
Sono nato a Solt, in Ungheria, il 16 aprile 1896.
A 15 anni iniziai a giocare a calcio nei ragazzi del Torekves.
A 17 ero già in prima squadra
Scusate, ma devo andare veloce.
Nella prima guerra mondiale partii volontario nell’esercito austro-ungarico e durante la 4a battaglia dell'Isonzo venni catturato da voi italiani e internato a Trapani.
Finita la guerra, tornai nella mia Ungheria, ricominciando a giocare a calcio Image
Tornai in Italia nel 1925 ingaggiato dall’Internazionale di Milano.
Giocai poco, troppi infortuni.
Smisi di essere un giocatore e, seppur giovane, l’Internazionale mi promosse allenatore.
Nel 1926-27 un quinto posto.
Ma l’anno successivo, dopo un settimo posto, venni licenziato. Image
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