Mi chiamo Werner e oggi sono stato scelto come immagine per un manifesto di reclutamento nella Wehrmacht.
Siamo nel 1939 e indosso la divisa tedesca, pronto a partire per l’invasione della Polonia.
Sono stato scelto come “il soldato tedesco ideale, puro ariano”.
Vi state forse chiedendo com'è fatto un perfetto soldato tedesco, ariano puro?
Come me.
Occhi azzurri, zigomi alti, mento cesellato, scatola cranica stretta e allungata.
E uno sguardo glaciale.
Niente a che vedere con quelli di razza inferiore riconoscibili dal naso adunco, bocca larga, capelli ricci rossi, labbra carnose e corpo villoso.
Almeno così sono identificati i tedeschi non ariani, di razza impura.
Se noi siamo sul gradino più alto, gli ebrei occupano quello più basso della razza umana.
Esseri animaleschi e abbietti. Dei primitivi.
Però in Germania si dice che quelli sono furbi, capaci di assoggettare il mondo come provato dai Protocolli di Sion.
Quando la mia Germania ha cercato di identificare gli ebrei sono però cominciati i primi problemi.
Per esempio con i matrimoni misti tra ariani ed ebrei e la loro discendenza.
Si sono chiesti.
Quale matrice genetica avrà prevalso?
L’ariana o l’ebraica?
Come distinguere con precisione quel tipo di ebreo?
Allora li hanno chiamati “Miscling”, le persone che hanno antenati sia ariani che ebraici.
Mezzosangue, ibridi insomma.
Sono state “le leggi di Norimberga” a stabilirlo.
Così si sono inventati il “mezzo ebreo”, ibrido di primo grado che ha 2 nonni su 4 ebrei.
Poi c’e l’ibrido di secondo grado che ha un nonno su quattro ebreo.
Ebreo per un quarto insomma.
Poi c'era quello per tre quarti. E poi quello per...
E' stata una tragedia pure per molti "ibridi".
Nemmeno sapevano di essere ebrei e non avevano nemmeno più contatti con le comunità ebraiche.
La maggior parte era cristiana e battezzata.
Loro si sentivano tedeschi e molti pure antisemiti.
Che hanno fatto allora?
Diciamo che i modi per “ripulirsi” del sangue ebraico sono stati diversi.
Circa 2.000 ebrei sono ridiventati ariani tramite raccomandazioni presso lo stesso Hitler.
Altro modo fu quello utilizzato per esempio dal Feldmaresciallo della Luftwaffe, Milch.
Di padre ebreo e madre ariana, quest’ultima firmò una dichiarazione dove affermava di aver generato il figlio con lo zio e non con il marito.
Poi c’era il classico modo.
Le sorelle di Wittgenstein diventarono “ariane” dopo aver pagato una fortuna ai nazisti.
Nel 1939 il censimento del Reich stabilì l’esistenza di 72mila “ibridi” di primo grado e 39mila di secondo grado.
Lo storico Rigg afferma che furono
almeno 160mila i soldati (ebrei per un quarto e spesso anche di più) che combatterono nelle file dell’esercito tedesco.
Ma torniamo a noi, anzi a me, Werner Goldberg.
Come vi ho detto il mio volto è stato usato sui poster destinati al reclutamento prima di partire per l’invasione della Polonia.
Non sono rimasto molto nell’esercito tedesco.
Sono entrato in un’azienda di uniformi per l’esercito.
Sono morto a Berlino il 28 settembre 2004, all'età di 84 anni con un sorriso stampato in volto.
Perché quel sorriso? E che dovevo fare. Ero stato scelto per gli occhi azzurri, zigomi alti, mento cesellato, scatola cranica stretta e allungata. E uno sguardo glaciale. Ed ero ebreo
Di più. Ebreo per le leggi tedesche, in quanto mio padre era ebreo e mia madre ariana, e non per gli ebrei in quanto il Talmud prevede che è ebreo solo chi è nato da madre ebrea.
E così ero ebreo per i tedeschi e non ebreo per gli ebrei.
E questa è la mia storia.
Adesso sapete quanto è assurdo considerare le persone per il sangue, per gli zigomi alti, il mento cesellato, il naso adunco, la bocca larga, i capelli ricci rossi e il corpo villoso, il colore della pelle, la razza ecc. ecc.
Ho saputo che nel 2015 A Tobolsk, in Russia, hanno utilizzato la mia immagine per un monumento.
Un monumento dedicato al perfetto soldato russo dell’Armata Rossa.
Occhi azzurri, zigomi alti, mento cesellato, scatola cranica...
Vabbè, ma allora ditelo.
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Mamma si chiamava Franzisca Grünwald, una bella infermiera di ventisei anni.
Papà un ufficiale medico di trentatré anni di nome Albert Salomon.
Il luogo? Un ospedale di fortuna sul fronte di guerra in Francia.
Come riuscì a conquistarlo?
Fu grazie a uno starnuto.
Quel giorno Albert stava operando un soldato, le mani occupate, poi uno starnuto e il naso che cola.
Fu mamma, la bella infermiera, a estrarre il suo fazzoletto per pulirgli il naso.
E fu in quel preciso momento che lui si accorse di lei. E se ne innamorò.
Un breve fidanzamento e nel 1916 il matrimonio a Berlino.
Una cerimonia religiosa ebraica e poi il ritorno al fronte per lui. Per lei una casa vuota.
Papà tornò dal fronte giusto in tempo per vedermi nascere. Era il 16 aprile 1917.
Oggi ci rido sopra.
E forse un sorriso verrà anche voi alla fine della storia, ma vi assicuro che ho rischiato di brutto.
Ma proprio brutto brutto.
E’ un miracolo che oggi, che di anni ne ho ottantasette, sia qui a raccontare cosa accadde in quei giorni. Partendo dall’inizio.
Era il 1928 quando i coniugi Levinsons, cantanti lirici dell'Opera di Riga, in Lettonia, si trasferirono a Berlino.
Ormai famosi, la Deutsche Oper aveva offerto loro un contratto principesco che mai avrebbero potuto rifiutare.
E fu a Berlino, il 17 marzo 1934 che nacque Hessy, a due passi dalla Porta di Brandeburgo.
Per i miei genitori una bambina bellissima.
E sinceramente anch’io sono d'accordo.
E non lo dico solo perché quella bambina, Hessy, ero io. Ero bella, dai. Ma proprio bella bella.
Perché non ho mai vinto le Olimpiadi? Bella domanda. So solo che a ogni partecipazione era sempre la solita storia: “non corrisponde agli schemi tradizionali”.
Mi chiedo, ma quale progresso puoi ottenere seguendo solo schemi tradizionali, facendo sempre le solite cose?
Se parliamo di sport.
Dick Fosbury ha seguito uno schema tradizionale? Ulrich Salchow, svedese, primo campione Olimpico nel 1908, ha seguito uno schema tradizionale facendo il primo salto Salchow nel 1909? Ma per piacere. Chi sono?
Sono Surya Bonaly. E questa è la mia storia.
Sono nata sull’isola della Riunione, nell'oceano Indiano.
Papà e mamma giravano il mondo con un furgone.
In India e in Pakistan avevano visto tutta quella miseria.
Potevano avere figli, ma loro decisero diversamente.
Avevo 18 mesi quando mi adottarono.
Un dilettante.
Eppure avete avuto nei confronti della sua vicenda parole di ammirazione.
“Bellissima storia”, “storia geniale”, “carinissima storia”, “fantastica storia”.
Della mia di vicenda, vi garantisco, è stato detto ben altro.
Non ricordo nessuna ammirazione. Anzi.
Va bene, prendo atto, ma per quanto mi riguarda vi garantisco di non avere nessuna colpa per quello che è avvenuto durante la mia vita lavorativa.
Mi ritengo solo fortunata, quello sì.
Una fortuna iniziata fin dalla nascita.
Nella pampa argentina, nei pressi di Bahia Blanca.
Dove sono nata il 2 ottobre 1887, prima di nove figli. Mi chiamo Violet Constance Jessop.
I miei genitori venivano dall’Irlanda.
Ero ancora piccola quando la mia vita venne segnata da due disgrazie: la tubercolosi e la morte di mio padre, un allevatore di pecore.
Già. Alla fine sono stato chiamato “l’inaffondabile”.
E sinceramente, se mi hanno affibbiato quel nomignolo, un fondo di verità c’è.
Ma è proprio grazie a quell’appellativo che oggi posso raccontarvi la mia storia.
Non ricordo chi mi imbarcò nel mio primo viaggio in mare sulla nave da battaglia Bismarck.
Era il maggio del 1941.
La Bismarck era battezzata così in onore del cancelliere Otto von Bismarck.
Una nave tedesca, varata il 14 febbraio 1939.
C’erano tutti ad assistere al suo varo.
Hitler, Raeder, Keitel, Göring, Goebbels, Hess, Ribbentrop, Himmler, Bormann e von Schirach.
Un vessillo della nuova potenza nazista.
Veloce, ben corazzata, con grande autonomia.
Mi chiamo Emma.
E in quei giorni d’inverno del 1943 continuavano a ripetermi di scappare, di fuggire, ma io non ne volevo sapere.
Chi mai avrebbe voluto fare del male a una donna di sessantasette anni e a sua figlia Anna, trent’anni, con una rara e grave forma di epilessia?
Abitavamo a Este, in via Macello.
E quella mattina eravamo uscite di casa come al solito, incamminandoci verso il nostro negozio di merceria in via Roma.
Ricordo che era un sabato.
E di sabato a Este c’è il mercato.
Poche bancarelle, tempi magri per il commercio.
La guerra durava ormai da tre anni.
Però il Natale si avvicinava.
«Forse ci scappa qualche soldo», per questo avevamo abbellito la vetrina con le statuine del presepe.
Avevamo appena aperto, quando un carabiniere entrò nel negozio.
Vedemmo subito che era impacciato.