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Dec 21, 2021 16 tweets 6 min read Read on X
E’ incredibile come all’interno di ogni storia si intreccino altre storie, altre vite, a volte altre tragedie.
Ricordate?
Siamo partiti dalla storia del calciatore cileno Carlos Caszelye e della partita fantasma disputata a Santiago su ordine di Pinochet.
In quella storia abbiamo accennato agli aerei Hawker Hunter di fabbricazione britannica che l’11 settembre 1973 sganciarono bombe incendiarie sul Palacio de la Moneda dove aveva sede il governo democratico di Salvador Allende.
Dentro quel palazzo non c’era solo Salvador Allende, ma anche la figlia “Tati”.
Da lì abbiamo raccontato la sua odissea, i suoi sforzi, il suo dolore, e il suo suicidio.
Come raccontato, Tati ebbe due figli.
Mayita, Maya Fernandez Allende, ex presidente della Camera dei Deputati
Quando Tati fuggì dal Palazzo Presidenziale era incinta di sette mesi.
A Cuba nacque Alejandro Salvador Allende Fernández.
Suo padre era un diplomatico cubano che si chiamava Luis Fernandez de Oña.
Perché il piccolo prese il cognome “Allende” prima di “Fernández”?
Fu Fidel Castro, andato in ospedale a trovare Tati, a “suggerirle” di mettere prima Allende.
Oltre a dire: "Questo bambino ha conosciuto i proiettili prima di nascere".
Dov’è ora quel bambino? Tati prima di morire lasciò una lettera a Fidel Castro.
Alejandro la lesse raggiunti i 15 anni di età.
Nella lettera Tati chiedeva di non lasciare i bambini al marito (alcolizzato e donnaiolo) ma a Mitzi, sorella di Miria Contreras, la segretaria personale di Salvador Allende. Miria Contreras: “La Payita”. La migliore amica di Tati.
Molto amica, pur essendo a conoscenza delle voci che davano “La Payita” come l’amante di suo padre, Salvador Allende.
E Alejandro Salvador Allende Fernández, figlio di Tati?
A 12 anni pensò di togliersi la vita.
Voleva emulare la mamma?
Assolutamente no.
Aveva capito che il suo futuro da omosessuale sarebbe stato difficile.
Andò in Cile, ma anche lì le cose non erano diverse.
Prese armi e bagagli e si trasferì in Nuova Zelanda lavorando per una compagnia di assicurazioni.
Come un sasso lanciato in uno stagno, le onde concentriche che si allargano sulla sua superficie potrebbero persino arrivare in Scozia.
Nel 2014 alcuni operai scozzesi hanno ricevuto la medaglia dell’ordine di Bernardo O'Higgins con "eterna gratitudine" a nome del popolo cileno.
Ricordate gli aerei Hawker Hunter di fabbricazione britannica che l’11 settembre 1973 sganciarono bombe sul Palacio de la Moneda?
Nello stesso momento a East Kilbride, in Scozia, i lavoratori della fabbrica Rolls-Royce guardavano con orrore quello che stava accadendo in Cile.
Gli operai della fabbrica sono sconvolti.
Non solo per quello che sta accadendo in Cile.
Ma per un motivo ben preciso.
Nella loro fabbrica si riparano i motori di quegli aerei.
Gli Hawker Hunter dell'aeronautica militare cilena.
Marzo 1974. Scozia. Bob Fulton, un ispettore di motori della Rolls-Royce, è turbato e ansioso.
Ha appena saputo che un motore 15607, per aerei Hawker Hunter, è appena entrato nello stabilimento.
Sull’ordine di riparazione la provenienza.
“Cile”
Lui è un sindacalista e la mente corre ai sindacalisti uccisi dal governo di Pinochet. Non ha esitazioni. Coinvolge i compagni di squadra. Insieme alzano la voce e presto tutti gli operai della fabbrica concordano.
Su quei motori viene applicata l'etichetta “BLACK”.
Nessuno può lavorare su quei motori.
Sanno di rischiare il licenziamento, ma non vogliono essere complici di quei crimini.
I motori non verranno mai aggiustati.
Quei motori rimarranno 4 anni sul piazzale, malgrado una causa legale intentata dal Cile per violazione del contratto
Il Cile le tentò tutte.
La Fach (Fuerza Aérea de Chile) provò ad acquistare i pezzi di ricambio in India e in altri Paesi.
Tentando di riparare manualmente i motori.
Fu un disastro.
Arrivarono anche a dire: "Un prigioniero in cambio di ogni motore". Inutilmente.
La storia di Bob Fulton, Robert Somerville, John Keenan, Stuart Barrie e degli altri operai che si rifiutarono di riparare i motori per gli aerei Hawker Hunter dell'aeronautica militare cilena è raccontata nel film documentario "NAE PASARAN".

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Feb 2
Thread n. 3 Ultimo
Nei due thread precedente vi ho raccontato come e perché Joe Valachi ha deciso di raccontare davanti alla Commissione McClellan cos’è Cosa Nostra.
E’ il primo mafioso a denunciare pubblicamente l’Organizzazione.
Tanto, morire per morire.
E ho concluso con l’incontro di Joe Valachi con Vito Genovese rinchiusi nello stesso carcere.
E del bacio che Don Vito dà a Joe.
Valachi sa che quel bacio è la sua condanna a morte e fa una cosa che un soldato non deve mai fare al suo comandante.
Valachi continua a raccontare.
"Perso per perso ricambiai il bacio a Don Vito".
Uno sgarro che nessuno aveva mai fatto prima a un comandante.
Il primo.
Perché il secondo sarà la sua confessione davanti alla Commissione.
In Tv, davanti agli americani. Image
Read 22 tweets
Feb 1
Thread n. 2/3
Ieri sera vi ho raccontato di come e perché Joe Valachi ha deciso di parlare davanti alla Commissione McClennan.
Per raccontare cosa è “Cosa Nostra”, anche in Tv.
E’ il primo mafioso a denunciare pubblicamente l’Organizzazione.
Tanto, morire per morire. Image
Joe ha raccontato della sua iniziazione.
Il padrino gli punse il dito facendo uscire del sangue. “Questo sangue significa che ora siamo una sola famiglia”.
Ma cos’è questa famiglia?
Gli americani non vedono l’ora che arrivi una nuova audizione.
Gli americani sono ai suoi piedi, come il Presidente della Commissione.
E lui spiega come un professore agli allievi.
Racconta che Cosa Nostra è composta da tante famiglie.
Negli Stai Uniti sono una dozzina.
Al vertice c’è il Capo di tutti i Capi.
Sotto di lui una dozzina di capi
Read 25 tweets
Jan 31
Thread 1/3
22 giugno 1962.
Da un paio di giorni non mangia, la paura di essere avvelenato è troppa.
Sa che i suoi ex colleghi lo hanno condannato a morte.
Lui, il detenuto n. 82811, sa che la sentenza può essere eseguita anche nel carcere.
Conosce i metodi.
In genere sono tre. Image
Stricnina nel cibo, e per questo non mangia.
Poi c’è la bastonatura mortale nella doccia, il luogo scelto per queste esecuzioni.
E poi una pugnalata occasionale nel corso di una rissa.
Niente cibo quindi e niente docce per lui.
Ha paura, è nervoso, convinto che tra poco impazzirà
Ha saputo chi sarà il suo boia.
E’ un altro detenuto.
Si chiama Joe Di Palermo, ma tutti lo chiamano Joe Beck.
Il Capo dei Capi, Vito Genovese, anche lui nello stesso carcere, lo ha assoldato per ucciderlo.
E’ in cortile, ha fame, si regge a malapena in piedi.
Quando... Image
Read 25 tweets
Jan 29
Il 13 agosto 1913 fu un giorno memorabile.
Quando io, Halim Eddine, fui incoronato re d’Albania.

Ismail Qemal Bej aveva chiesto l’indipendenza dell’Albania l’anno prima e gli albanesi avevano chiesto a me, nipote del Sultano, di raggiungere il Paese per essere incoronato re. Image
E così avevo fatto.
Ero arrivato in città su un cavallo bianco.
E i primi cinque giorni furono per me indimenticabili.
Salito al trono con il nome di Otto I mi avevano persino assegnato un harem con 25 fanciulle.
Tra un piacere e l’altro dichiarai guerra al Montenegro.
Perché ho parlato di soli cinque giorni?
Beh, non so come dirvelo.
Giudicate voi.
Ero nato in Germania il 16 ottobre 1872.
A otto anni ero già un fenomeno.
Nel senso che esordii come domatore di leoni in un circo.
Per diventare poi un acrobata.
Read 11 tweets
Jan 28
Qualcuno ha detto recentemente, riguardo la mafia, che "In Sicilia servono compromessi, tutti lo sanno”.
Si sbaglia.
Perchè se vuoi sconfiggere la mafia non puoi scendere a compromessi.
Se lo fai sei solo complice.
Con la mafia non si tratta.
Mai. Image
Lo so bene.
Lo sapevamo bene.
Intendo io e mio padre.
Lo dimostra il fatto che nel settembre 2014, a Siracusa, hanno danneggiato la lapide che commemorava proprio mio padre.
L'hanno tolta dal supporto metallico su cui si ergeva e l'hanno distrutta in mille pezzi.
Mi chiamo Giuseppe Francese.
Mio padre Mario era nato a Siracusa il 6 febbraio 1925, terzo di quattro figli.
Finito il ginnasio si era trasferito a Palermo a casa di una zia, la sorella della madre.
Ciò per poter completare il liceo e poi frequentare l'Università. Image
Read 18 tweets
Jan 26
Prima o poi doveva succedere.
È stato un percorso lungo, ma ho preso la mia decisione.
E mentre aspetto di scendere in campo per l’ultima volta la mia mente corre a quando tutto è iniziato.
A quel “soldo di cacio” che crebbe mangiando gnocchi, lasagne e salsicce. Image
Mio padre Joe lo chiamavano “Jellybean”, caramella di gelatina, perché lui era sempre sorridente e scherzava di continuo, in campo e fuori.
Voleva trasmettere la sua allegria a chi gli stava intorno.
«Alcune volte clown, altre volte giocatore di basket» scrivevano i giornali.
Mai veramente apprezzato, lasciò gli USA per approdare in Italia.
Precisamente a Rieti, nella Sebastiani.
Abitavamo in via Pierluigi Mariani al numero 33, ed è lì che cominciai a tirare la palla nel bidone della spazzatura all’angolo della villetta.
E poi gli inizi nel minibasket
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