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Jan 1, 2022 15 tweets 5 min read Read on X
Da Pelè a Zico, da Ronaldo a Ronaldinho, da Kakà a Neymar. Quando si parla di calcio brasiliano sono questi i nomi più gettonati.
Eppure sono io, nel mondo del calcio brasiliano, il giocatore più conosciuto al mondo.
Il miglior 171 nella storia del calcio.
Non ci credete?
Ho giocato dieci anni tra i dilettanti prima di passare tra i professionisti.
Nel Botafogo, Fluminense, Puebla in Messico, El Paso in Usa, America di Rio, Bangu, Vasco e Ajaccio.
E vi garantisco che ognuna di queste squadre mi pagò regolarmente lo stipendio.
MI chiamo Carlos Henrique Raposo detto il “Kaiser”, perché avevo il fisico di Beckenbauer.
Se giocavo come lui? Insomma, non proprio.
Diciamo che avevo un problema, non so quanto importante per giocare a calcio.
Il pallone.
Lo ammetto. Sono l’unico giocatore al mondo che ha giocato vent'anni, praticamente senza mai sporcare le scarpe da calcio.
Non sapevo giocare al pallone, ma avevo una dote fondamentale.
Quella di essere amico di gente che contava.
Che volete, ognuno ha il suo talento.
Io ero diventato il punto di riferimento per i calciatori brasiliani nelle notti di Rio de Janeiro.
Fu il mio amico d’infanzia Mauricio, giocatore amato e stimato da tifosi e dirigenti del Botafogo, a convincerli ad acquistarmi dal Puebla.
Va bene, direte voi, primo allenamento, prima partita e addio calcio. Non andò così.
Al primo allenamento una “storta” mi tenne lontano dai campi per venti giorni. Era il 1980.
Niente risonanze magnetiche.
E di storta in storta (tutte inventate) in pratica non giocai mai.
E poi altro amico calciatore della movida, altra contropartita tecnica nella trattativa.
Naturalmente ero sempre fuori forma e trotterellavo intorno al campo come mi aveva raccomandato il mio personal trainer.
Che non esisteva naturalmente.
Che ridere quando firmai il cartellino per l'Ajaccio, squadra francese.
C’erano migliaia di tifosi sugli spalti alla presentazione.
Mi chiesero palleggi. Che non sapevo fare. Presi quindi tutti i palloni e li scagliai in tribuna, avvolto nella bandiera della Corsica.
Un tripudio
Conquistai la tifoseria, ma come già accaduto con le altre squadre, non giocai nemmeno un minuto.
Eppure sono sempre stato il giocatore più amato dai miei compagni.
In campo sempre con la stessa media.
Zero partite, zero gol.
Ogni volta che entravo in campo, un giocatore con un fallaccio mi mandava subito in infermeria.
I dottori firmavano un certificato medico falso e io la facevo franca ogni volta.
Lo so cosa vi state chiedendo.
Come facevo a convincere giocatori e medici a stare al mio gioco.
Semplice.
Ero il miglior organizzatore di feste del Brasile.
Compagni, medici, giornalisti, venivano ricompensati ogni volta con festini, donne e soldi.
Certo, le donnine per i miei compagni, portate in albergo durante il ritiro, mi costavano parecchio.
Di squadra in squadra arrivai al Bangu, dove i giornali mi accolsero con titoli come "Bangu ha già il suo re: Carlos Kaiser".
Ero in panchina quando il patron della squadra Castor de Andreade, magnate delle scommesse illegali, disse al mio allenatore di farmi scendere in campo
E ora che faccio, mi domandai.
Impiegai un attimo per individuare l’avversario giusto, iniziando con lui una rissa con relativa espulsione.
In fondo dovevo mantenere la media.
Lo so, non avevo talento, ma vi assicuro che tutti mi volevano bene.
Come vi ho detto all’inizio, e come avete capito leggendo la mia storia, sono stato il miglior 171 della storia del calcio.
No, non era il numero di maglia.
Era il numero di codice usato dalla polizia in Brasile per il crimine di “impostore”.
Uno.sette-uno, Carlos, il "Kaiser"
“Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre” diceva Abraham Lincoln.
Perché non aveva ancora conosciuto il sottoscritto, Carlos Henrique Raposo, detto il Kaiser,

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May 15
Oggi è il 31 gennaio 1944.
E non ho molto tempo.
Sta per toccare a me, quindi è il caso che mi sbrighi a raccontarvi la mia storia.
Sono nato a Solt, in Ungheria, il 16 aprile 1896.
A 15 anni iniziai a giocare a calcio nei ragazzi del Torekves.
A 17 ero già in prima squadra
Scusate, ma devo andare veloce.
Nella prima guerra mondiale partii volontario nell’esercito austro-ungarico e durante la 4a battaglia dell'Isonzo venni catturato da voi italiani e internato a Trapani.
Finita la guerra, tornai nella mia Ungheria, ricominciando a giocare a calcio Image
Tornai in Italia nel 1925 ingaggiato dall’Internazionale di Milano.
Giocai poco, troppi infortuni.
Smisi di essere un giocatore e, seppur giovane, l’Internazionale mi promosse allenatore.
Nel 1926-27 un quinto posto.
Ma l’anno successivo, dopo un settimo posto, venni licenziato. Image
Read 19 tweets
May 14
Basta sfogliare l’Annuario Pontificio 2023, che include Papa Francesco, per sapere che ci sono stati 266 regni dei pontefici.
Se non l’avete letto vi confiderò un segreto.
Ci sono stati 266 regni dei pontefici, ma non ci sono stati 266 Papi.
Poffarbacco, e come mai? Image
Perché nell’elenco io compaio ufficialmente per ben tre volte, tutte riconosciute come valide.
Non solo.
Voi pensate che Benedetto XVI sia stato l’unico Papa a dimettersi.
Invece si dimisero anche Clemente I, Ponziano, Celestino, Gregorio XII e…il sottoscritto. Image
Non solo.
Lo sapevate che nel 1046, caso unico, quattro Papi occuparono contemporaneamente il trono di San Pietro?
Furono Silvestro III, Gregorio VI , Clemente II e…il sottoscritto.
Dimenticavo.
Sono Papa Benedetto IX, nato Teofilatto. Image
Read 25 tweets
May 13
Come anticipato nel thread di ieri sera, che potete leggere nel link sotto, mi chiamo Michail Illarionovič Goleniščev Kutuzov.
Vi stavo raccontando che mi trovavo col mio esercito nel villaggio di Borodino pronto ad affrontare l’esercito di Napoleone.
bit.ly/4j4VsUB
Era un bel colpo d’occhio vedere i miei uomini schierati di fronte all’esercito francese lungo tutte le colline.
Con quei bei cannoni tutti neri.
Il morale alto.
Pronto a difendere la Santa Russia e "le mogli e i figli".
Il primo sparo?
Alle sei di mattina del 7 settembre 1812. Image
La forza della cavalleria francese era come un bulldozer.
Resistemmo fino all’impossibile.
Non ci voleva proprio il ferimento del principe Ivanovič Bragation che guidava l’ala sinistra, la mia seconda armata.
Un durissimo colpo
(Bragation morirà il 12 settembre) Image
Read 24 tweets
May 12
“La scaltra volpe del Nord” mi definiva.
Che carino.
Mai ricambiato.
Per me lui rimaneva sempre “quel vecchio rapinatore”.
Altri mi definivano un essere pigro, capriccioso e insopportabile.
Ambizioso e donnaiolo.
Non so.
Troppi difetti per un uomo solo.
Io ero molto altro. Image
Sono nato a San Pietroburgo, capitale dell’Impero russo, nella notte del 16 settembre 1745.
Mia madre era una Beklemishevy, una famiglia nobile.
Morì quando ero ancora piccolo, dopo aver partorito altri due figli.
Mi crebbe nonna.
Mio padre, Ilario Matveevich, aveva servito lo zar Pietro il Grande combattendo contro i turchi.
Fu lui a portarmi a corte per conoscere la zarina Elisabetta.
Con strane abitudini.
Usciva dalla stanza solo la domenica e viveva di notte circondata da poeti, cantanti e amanti. Image
Read 22 tweets
May 7
Ieri Johannes ha dato voce ad Alexander Selkirk, il pirata la cui storia, secondo alcuni, è la stessa raccontata da me nel libro “Robinson Crusoe”.
(Leggete qui )
Non è così.
Per cui ritengo giusto portare alla vostra conoscenza la mia versione. bit.ly/4k5qo81Image
E’ vero, andai da Alexander per sentire dalla sua voce quella storia che girava ormai da anni.
I suoi quattro anni e quattro mesi passati sull’isola Juan Fernández.
Il mio Robinson è quindi Alexander Selkirk?
Una definizione avventata, e in quanto tale, assolutamente inesatta.
Come avrete capito mi chiamo Daniel Defoe.
E vi farò una confessione.
Dalla vicenda di Alexander, che avevo conosciuto attraverso gli scritti di Rogers e dello Steele, e approfondita durante l’incontro con lo stesso Alexander, ho preso solo lo spunto.
Nulla più. Image
Read 25 tweets
May 6
Fui sicuramente uno dei primi a leggere quel romanzo, uscito esattamente il 25 aprile 1719.
E non potei fare a meno di rilevare un sacco di inesattezze.
Per me era chiaro.
Quello che lo aveva scritto non aveva mai vissuto ai tropici.
C’erano un sacco di errori e imprecisioni.
Come quel personaggio inseguito dai selvaggi che non sapeva nuotare.
Assurdo.
E cosa dire del protagonista che, in un’isola del Sudamerica, si era messo a costruire una palizzata per proteggersi dalle bestie feroci?
Altra assurdità.
E poi foche, pinguini, alle foci dell’Orinoco.
A quei tempi ero sottotenente sulla nave Weymouth della marina di S.M. britannica.
Non mi intendevo di cose letterarie, avevo letto si e no la Bibbia, ma in quel caso avevo diritto più di chiunque altro di esprimere la mia opinione.
Perché il protagonista di quel libro, ero io.
Read 25 tweets

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