Ci mancava pure il film. Con tutti quegli Oscar poi.
Lo so che su Wikipedia è scritto chiaro “il film è tratto dall'omonima opera teatrale…”, ma sapete quanta gente pensa sia un film storico? Ma dai.
Dovevate scriverlo a chiare lettere: OPERA DI FANTASIA.
Tutta colpa di quel russo, Aleksandr Sergeevič Puškin, e del suo microdramma.
Da lì la pièce teatrale in due atti scritta da Peter Shaffer.
E ora questo film.
Tutto per cercare di convincere la gente che io quello lo odiavo. Tanto da ucciderlo.
Io provare invidia per quello? Ma quando mai.
Ero uno dei musicisti più importanti di tutta Europa. Quale autore scelse l’imperatrice Maria Teresa D’Austria per l’inaugurazione del Nuovo Regio Ducal Teatro nel 1778?
Il sottoscritto.
Con l'opera lirica "L'Europa riconosciuta"
Avevo ventotto anni. E quando avevo debuttato quale compositore alla corte viennese dell'impero asburgico? Nel 1770, otto anni prima.
E io avrei dovuto esse invidioso di quello lì?
Io, Antonio Salieri, uno dei musicisti più ricchi, acclamati e osannati del vecchio continente.
Ero arrivato a Vienna che avevo solo 17 anni.
E a 20 avevo debuttato alla corte di Vienna con la commedia per musica “le donne letterate”.
Un successo clamoroso, tanto che due anni dopo Gustavo III di Svezia mi offrì un impiego di tre anni. Fu Giuseppe II a negarmi il permesso.
Dopo la morte di Gassmann, Giuseppe II mi nominò al suo posto maestro di cappella e compositore di camera alla Corte Imperiale.
Non avevo neppure 24 anni.
E io dovevo essere invidioso di quello lì?
Certo, non mi è mai andata giù quella cosa.
Nel 1789 avevo abbandonato momentaneamente quel libretto del grande Lorenzo Da Ponte. Momentaneamente.
E quello lì cosa fece? L’anno seguente lo completò diventando l'opera buffa “Così fan tutte”.
Chi plagiò chi?
Ma dai.
La morte di Giuseppe II nel 1790 di certo non mi aiutò. Fu così che mi dedicai all’insegnamento.
Magari conoscete alcuni dei miei allievi. Un certo Beethoven lo conoscete? E Schubert?
E Liszt, Czerny, e Hummel? Pure lui fu un mio allievo, Franz Xaver Wolfgang, figlio di Mozart
L’unica cosa che mi consola è il fatto che mai Mozart pensò a me come ad una persona invidiosa del suo successo.
Lo dimostra la lettera del 1791, dopo la rappresentazione del “Flauto magico”.
Ero in compagnia di Caterina Cavalieri e lui scrisse questo alla moglie Costanza.
Mozart amava l’Italia.
Riteneva la musica italiana “la fonte a cui abbeverarsi”
“Quando avrò scritto l’opera per Napoli – scriveva Mozart al padre – mi si ricercherà ovunque (…) con un’opera a Napoli ci si fa più onore e credito che non dando cento concerti in Germania”.
Nel 1820 la mia salute peggiorò.
Mozart era morto da tempo.
E qualcuno cominciò a sostenere che io, in preda ad una forte agitazione, avevo confessato di averlo ucciso.
Invece dissi esattamente il contrario a Moscheles che era venuto a trovarmi.
Lo avevano testimoniato anche i due infermieri che mi avevano accudito.
In un documento del 1825 affermarono che “non abbiamo mai udito il Salieri dire ciò. Né fare minima menzione di cosa alcuna che vi si riferisse”.
Non bastava tutto questo? Non bastava?
Calunnie, solo calunnie.
E ancora oggi per molti sono solo un mediocre compositore divorato dall’invidia per quel genio.
Fino ad ucciderlo. Ridicolo.
Per completare l’opera, ci mancava pure il film“Amadeus”, diretto da Miloš Forman, per sostenere ancora quell'idea infame.
Sono oltre 140 le ipotesi formulate per la morte di Wolfang Amadeus Mozart.
Probabilmente non sarà mai possibile stabilire con certezza le cause della sua morte, visto che nessuno sa dove è stato sepolto.
Quel che è certo è che non sono stato io, Antonio Salieri, ad ucciderlo.
Sono passati quasi 200 anni e sicuramente ne avrete fatti di passi avanti.
Sicuramente nessuna informazione può circolare da voi senza prima essere stata verificata, vero?
Non sapete quanto siete fortunati.
Dimenticavo.
Mozart era mancino. Ditelo al quel regista
Sono morto a Vienna il 7 maggio 1825.
Al mio funerale, Schubert, mio allievo prediletto, diresse il Requiem in do minore che avevo scritto nel 1804 per la mia morte.
Come dite? Il Requiem di Mozart è molto più bello del mio?
Io quello lo uccido giuro.
Ma dai, sto scherzando.
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Nell'ultimo thread di qualche giorno fa, Johannes vi ha raccontato del problema della mancanza di carburante della Regia Marina Italiana durante la seconda guerra mondiale.
Almeno secondo l’opinione dell’ammiraglio Bragadin.
Fosse stato solo quello il problema.
L’ammiraglio Iachino lo mise nero su bianco, quando parlò di una guerra “più assurda che sfortunata”.
E uno dei motivi di quella guerra assurda riguardava proprio me che, laureato in ingegneria, lavoravo all'Istituto Superiore delle Trasmissioni.
Una guerra assurda, portata avanti da un irresponsabile.
Lui la Marina la voleva luccicante, una splendida Marina da parata e da propaganda.
E al diavolo se le navi da guerra non erano dotate di ecogoniometri per gli “avvistamenti” subacquei e di radar per quelli aeronavali.
Me la ricordo bene quella sera.
Era il 26 aprile 1942 e l’Ammiraglio Varoli Piazza mi convocò nel suo studio.
Lo faceva spesso con me, ufficiale della sezione “Attività del nemico”.
Per discutere sulle ultime notizie dei movimenti delle forze navali britanniche in Mediterraneo
La ricordo bene perché capii subito che qualcosa non andava.
Dall’espressione del viso, e poi da quel gesto di vivo sconforto.
Quando mi mostrò quel foglietto.
Solo in quel momento pronunciò quella frase.
“Guarda qui, siamo a zero”.
L’intestazione del foglio era: “Situazione giornaliera delle rimanenze di nafta”.
Cioè il combustibile per far muovere le nostre navi.
Mi si ghiacciò il sangue nelle vene quando lessi l’ultima cifra: 14.400 tonnellate.
Non era possibile.
Non era possibile.
Da tre anni eravamo al porto di Massaua, nel Mar Rosso, presso il Comando Navale dell'Africa Orientale Italiana in appoggio ai sommergibili.
Nel febbraio del 1941, l’Eritrea, dopo essere stata investita dalle forze britanniche, ormai era condannata.
Eravamo bloccati.
Ma qualche nave avrebbe potuto lasciare il Mar Rosso e salvarsi.
Tra queste la nave coloniale “Eritrea”, la mia nave. Duemilacento tonnellate di dislocamento, velocità massima sui 19 nodi, sei mitragliatrici e due coppie di cannoni da 120/50.
In totale 200 uomini d’equipaggio.
Mi chiamo Marino Iannucci, capitano di vascello e quella che sto per raccontarvi è la storia di un viaggio incredibile.
Una storia che meriterebbe maggior risalto.
Tutto ebbe inizio quando ricevetti l’ordine di abbandonare il Mar Rosso.
E mettere in salvo la nave.
Oggi è il 29 marzo 1941.
Ho scritto un ultimo messaggio alla mia famiglia.
Ho affidato poi il messaggio al mare, dentro una bottiglia.
Povera mamma mia.
Mi chiamo Francesco.
E sto per morire.
Ho solo il tempo di raccontarvi come siamo finiti in questo lembo del Mediterraneo Orientale.
Imbarcato sul Fiume, incrociatore pesante della Regia Marina italiana, classe Zara.
Lui, quello che ha fatto anche cose buone, era piuttosto contrariato per le continue delusioni e i ripetuti rovesci della nostra marina.
Prima la mazzata nella notte di Taranto dell’11 novembre del 1940.
La Cavour quasi colata a picco e la Littorio e la C. Duilio danneggiate.
3 gennaio 1942 – Oggi si sono arruolati nella Marina degli Stati Uniti, assegnati all'incrociatore leggero USS Juneau (CL-52).
Sono George, Frank, Joe, Matt e Al.
Hanno tra i 20 e i 27 anni.
Sono cinque fratelli.
I cinque fratelli Sullivan.
8 novembre 1942 – L’incrociatore USS Juneau (CL-52), con a bordo i cinque fratelli Sullivan, è assegnato alla Task Force 69 (TF 69) come scorta antiaerea della portaerei USS Enterprise.
Sono salpati dalla Nuova Caledonia con un convoglio diretto a Guadalcanal.
13 novembre 1942 – L’incrociatore USS Juneau è coinvolto nella prima battaglia navale di Guadalcanal. E' incaricato di fermare una squadra giapponese diretta a bombardare l'aeroporto di Henderson Field a Guadalcanal.
Un siluro giapponese lo colpisce sul lato sinistro
Oggi è il 31 gennaio 1944.
E non ho molto tempo.
Sta per toccare a me, quindi è il caso che mi sbrighi a raccontarvi la mia storia.
Sono nato a Solt, in Ungheria, il 16 aprile 1896.
A 15 anni iniziai a giocare a calcio nei ragazzi del Torekves.
A 17 ero già in prima squadra
Scusate, ma devo andare veloce.
Nella prima guerra mondiale partii volontario nell’esercito austro-ungarico e durante la 4a battaglia dell'Isonzo venni catturato da voi italiani e internato a Trapani.
Finita la guerra, tornai nella mia Ungheria, ricominciando a giocare a calcio
Tornai in Italia nel 1925 ingaggiato dall’Internazionale di Milano.
Giocai poco, troppi infortuni.
Smisi di essere un giocatore e, seppur giovane, l’Internazionale mi promosse allenatore.
Nel 1926-27 un quinto posto.
Ma l’anno successivo, dopo un settimo posto, venni licenziato.