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Feb 9, 2022 22 tweets 7 min read Read on X
Come vivevano nei campi di concentramento?
Nei lager non si vive, si sopravvive.
Avevano pochissimo da mangiare, un pugno di riso e un pezzo di pane duro.
E poi con tutte quelle epidemie di tifo non avevano nemmeno la forza di lavorare.
Le donne avevano paura di uscire dalle tende persino per fare i bisogni.
I guardiani picchiavano tutti continuamente.
Ogni scusa era buona per punire i prigionieri con la morte, costringendo gli altri ad assistere alle esecuzioni. Almeno una cinquantina ogni giorno.
Il 2 maggio 1931 era stato lui in persona, Graziani, a fare un censimento.
Nel lager di Marsa Brega c’erano 21.117 esseri umani. A Soluch 20.123. A Sidi Ahmed el Magrun 13.050. A El Agheila, 10.900 e a Agedabia 10.000. A el Abiar 3123.
In totale 78.313 prigionieri.
E questi erano solo alcuni dei 19 campi di concentramento installati a partire dal 1930 su disposizione del generale Rodolfo Graziani, chiamato a condurre le operazioni di repressione in Cirenaica.
La mia Cirenaica. I miei fratelli libici.
Mi chiamo Omar al-Mukhtār nato da una famiglia di contadini il 20 agosto 1858.
Avevo 16 anni quando mio padre morì.
Povero, senza soldi, riuscii a studiare per diversi anni nella scuola coranica di Giarabub.
Diventando un Imam. E un insegnante.
Iniziai la lotta il 5 ottobre 1911 quando Tripoli fu occupata dai marinai della Regia Marina italiana.
Mi seguirono nella lotta circa 3.000 guerriglieri.
Era la nostra terra.
Avevamo tutto il diritto di difenderla dall’ennesimo invasore.
Nel 1921 arrivò Giuseppe Volpi nominato Governatore della Tripolitania italiana.
E poi un bel giorno arrivò lui con le sue azioni di dura repressione.
Lui, il generale Rodolfo Graziani.
Nel frattempo io ero diventato un esperto di guerriglia anti coloniale.
Era stato Graziani a deportare le popolazioni della Cirenaica per privarmi del sostegno che mi davano da anni.
Donne, vecchi, bambini costretti a marciare per centinaia di chilometri in mezzo al deserto libico fino ai campi di concentramento.
Per impedirmi di ricevere aiuti dall’Egitto Graziani fece costruire un reticolato di filo spinato lungo 270 chilometri.
Senza viveri e munizioni e con soli 700 uomini e 300 cavalli non potevo ormai fare molto.
Per isolarmi ancora di più Graziani aveva cominciato ad occupare le nostre oasi.
Iniziando il 31 luglio 1930 dall'oasi di Taizerbo su cui l'aviazione italiana sganciò anche bombe all'iprite. Non potete nemmeno immaginare cosa fa l’iprite sulla pelle umana.
E’ un rapporto dello stesso Graziani indirizzato al Ministro delle Colonie a dire che il bombardamento fu effettuato "da quattro apparecchi Ro armati con 24 bombe da 21 chili, 12 bombe da 12 chili e 320 bombe da 2 chili, tutte ad iprite".
In tanti anni di guerriglia ero sfuggito centinaia di volte alla cattura.
Ma non quella volta.
Era l’11 settembre 1931 nella piana di Got-Illfù.
Mi ferirono ad un braccio e uccisero il mio cavallo. Venni catturato e trasferito a Bengasi, sul cacciatorpediniere Orsini
Perché non avevo tentato di sfuggire alla cattura, combattendo?
Perchè avevo 73 anni e gli ultimi dieci anni di guerriglia mi avevano sfiancato. Ma era la mia terra.
Non avevate nessun diritto di portarcela via.
Non avevate nessun diritto di internare il mio popolo.
Mi avete processato, è vero. Un processo burla visto l’ordine di uccidermi arrivato da Mussolini.
Ma prima Graziani mi aveva chiesto di far cessare, con la mia autorità, la guerriglia.
Gli risposi che era la mia terra.
Era la mia terra.
Ma lui non capiva.
Il processo durò poche ore.
Ad Omar al-Mukhtār furono mossi 16 capi d’accusa, dalle azioni di guerra ai furti di bestiame.
Il difensore d’ufficio, il capitano Roberto Lontano, per la sua arringa “troppo difensiva” fu punito con dieci giorni di rigore.
Fu l’interprete Nasri Hermes a tradurgli la sentenza di morte.
«Da Dio siamo venuti e a Dio dobbiamo tornare», rispose.
Il 16 settembre 1931 Omar al-Mukhtār venne trasferito nel lager di Soluch e alle 9 impiccato davanti a 20.000 libici fatti affluire dai vicini lager.
Le cifre ufficiali raccontano che furono internati nei campi di concentramento 90.761 civili libici.
La propaganda del regime fascista li definiva dei posti bellissimi.
Nei lager di Soluch e di Sidi Ahmed el-Magrun c’erano oltre 33.000 reclusi. E un solo medico.
Nel lager c’erano anche tutti i loro animali.
La loro unica ricchezza.
Alla fine morì il 90% degli ovini e l'80% dei cavalli e dei cammelli di tutta la Cirenaica.
I campi vennero chiusi nel settembre del 1933.
Nel frattempo erano morte nei lager oltre 40.000 persone.
Nelle sue memorie Graziano definì Omar al-Mukhtār “un uomo senza cultura e nessuna idea del vivere civile. Fanatico quanto mai. Ed ignorante: sapeva appena vergare la sua firma”.
In realtà Omar al-Mukhtār era un uomo molto intelligente e possedeva un’eccellente cultura.
Nel 1981 “Il leone del deserto” del regista Mustafa Akkad raccontò la vita di Omar al-Mukhtar.
Il film venne censurato impedendone la distribuzione in Italia, in quanto ritenuto "lesivo all'onore dell'esercito italiano", disse Andreotti.
Verrà trasmesso la prima volta nel 2009.
Nel giugno del 2009 Il leader libico Muammar Gheddafi iniziò la sua visita in Italia.
Tutti videro la fotografia che Muammar Gheddafi portava sul petto.
La foto di Omar al-Mukhtar il «leone del deserto» in catene.
L’eroe della resistenza libica contro il colonialismo italiano.
Quanti si saranno accorti invece di quel vecchio sceso a stento dall’aereo con Gheddafi?
Lui era Mohammed Omar Al-Mukhtar, figlio di Omar al-Mukhtar, il «leone del deserto».

Mohammed Omar Al-Mukhtar è morto a Bengasi nel 2018 all’età di 97 anni.

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Jun 25
So la fatica che hai fatto, Johannes.
Poche informazioni, niente biografia, niente ritratto, la mia figura dimenticata, scomparsa nel nulla.
E quella data poi.
La mente va sempre alla rivoluzione industriale, o alle prime leghe emiliane.
Ma tutto ebbe inizio molto tempo prima.
«Lo so.
Qualche secolo prima.
Torniamo al 1333, un anno importante per Firenze.
Con i suoi centomila abitanti festeggiava il compimento di un’opera straordinaria come la cerchia muraria.
Mancava ancora il campanile al nuovo duomo, ma la sua costruzione stava per iniziare». Image
Dante era morto e Giotto era su con gli anni, ma non erano gli artisti i protagonisti della vita pubblica di Firenze.
Erano altri.
Il loro motto?
“In nome di Dio e di guadagno”.
Li chiamavano “gli uomini dai piedi polverosi”, perché erano sempre in giro per il mondo: i mercanti. Image
Read 25 tweets
Jun 23
Mi avevano chiesto di salire sul palco con lui quel 28 agosto 1963.
Mi rifiutai e mi accomodai in prima fila.
Da un anno preparavano quell’evento e in fondo io non avevo fatto nulla.
“I have a dream” il discorso.
Sul palco lui, Martin Luther King. Image
Fu un colpo durissimo quando venni a sapere della sua morte.
Mi ritrovai a commemorarlo davanti a centinaia di giovani.
Dissi loro: “Qualcuno ha detto che tra 40 anni questo Paese potrebbe avere un Presidente nero. Credo che con questo clima, di anni ce ne vorranno 400”.
Image
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Negli anni della lotta per i diritti civili di noi afroamericani mi sono sempre impegnato ed esposto in prima persona.
D’altronde ero nato in Louisiana nel 1934.
Non certo il posto ideale per un nero.
I rapporti con i bianchi scarsi.
Quasi sempre traumatici. Image
Read 15 tweets
Jun 21
Oggi il Torneo al Queen’s Club è riservato ai soli uomini, ma non era così ai miei tempi.
Era comunque considerato, come oggi, la migliore anticamera prima della partecipazione a Wimbledon, il mio obiettivo.
E la mia spalla non va ad infiammarsi giocando proprio quel torneo?
Una sfortuna sfacciata.
Ero arrivata da poco proprio per fare il grande salto. Negli USA, la mia patria, avevo vinto molto, per quello avevo deciso di sbarcare in Europa.
E avevo iniziato vincendo i Tornei di Surbiton e Manchester come preparazione a Wimbledon.
Mi presento.
Mi chiamo Maureen Connolly e sono nata il 17 settembre 1934 a San Diego, in California.
Papà voleva un maschio, e per molti anni ho sempre creduto che fosse mia la colpa.
Del suo abbandono, dopo avermi promesso che sarebbe andato a comprarmi un gelato perché avevo la febbre. Image
Read 21 tweets
Jun 20
Mi chiamo Luigi Corsi, maggiore commendatore, specializzato in opere di artiglieria per la Regia Marina Borbonica.
Vedo che non mi avete dedicato nemmeno una pagina su Wikipedia.
Sinceramente la cosa non mi stupisce.
Eppure sono tante le onorificenze ricevute.
Croce di cavaliere di Francesco I di 1a classe;
commenda di 1a classe;
commenda del Pontefice Pio IX;
croce con Crochot di Carlo III di Spagna;
croce di cavaliere di 1a classe di S. Valdimiro di Russia; croce di cavaliere di S. Ludovico di Parma;
croce dei SS. Maurizio e Lazzaro.
Mi chiamo Luigi Corsi e sono arrabbiato.
Ma non per Wikipedia.
E neppure perché qualcuno ha tolto la mia epigrafe dalla statua.
Sono arrabbiato perché la fabbrica che guidavo fin dalla sua nascita (1840), ero il punto di riferimento del comparto metallurgico delle Due Sicilie.
Image
Image
Read 17 tweets
Jun 18
Una statua.
Nel 2019 mi hanno dedicato una statua al Greenwich Village a New York.
Per il 50° anniversario.
E’ stata collocata esattamente in fondo alla strada dove si trova quel famoso bar.
Chi sono e perché quella statua in mio onore nei pressi di un bar?
Un lunga storia. Image
Sono nata a New York il 2 luglio 1951.
E a chi ha origini portoricane e venezuelane può capitare di nascere in un taxi di fronte al Lincoln Hospital.
Ma gli può capitare anche di peggio.
Per esempio essere abbandonato dal padre appena nato.
Josè Rivera credo si chiamasse.
“Però almeno una mamma l’avevi”.
Insomma.
Solo fino a tre anni, quando mia madre versò del veleno per topi in due bicchieri di latte.
Dopo averne bevuto uno mi disse di bere l'altro.
Dopo pochi sorsi rifiutai di finire il bicchiere perché il latte aveva un cattivo sapore.
Read 23 tweets
Jun 17
Siamo prossimi alla partenza del TT, il Tourist Trophy.
Nessun straniero ha mai vinto, solo vittorie di motociclisti del Regno Unito, anche se la Guzzi, la mia moto, questa corsa l’ha già vinta due anni fa, nel 1935.
In due categorie.
Ma mai non con un pilota italiano.
A vincere nella 250 e nella classe 500 su Guzzi era stato il pilota irlandese Stanley Woods.
Correvo anch’io sulla stessa moto quell’anno, il 1935, ed ero anche favorito dopo aver stabilito nelle prove un incredibile 30’10” sul giro.
Un vero record. Image
Ero per gli inglesi “The Black Devil” per il colore della mia tuta e per gli americani il “corridore atomico”.
Ci tenevo a vincere.
Invece con la mia Guzzi 250 era finito in un banco di nebbia, con un corvo in mezzo alla strada e relativa caduta.
Con due vertebre rotte.
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