Un po’ di nervosismo mi è passato.
Ieri sera ero a una cena d’addio, all’Hotel Aviz a Lisbona organizzata da un amico, il capitano Tavares de Almeida.
E una veggente non viene a parlarmi di una sciagura imminente?
Cavolo, lo sanno tutti che noi attori siamo superstiziosi.
Però mi è passata. Siamo in volo.
Sono le ore 12.00 del primo giugno 1943 e stiamo per sorvolare il Golfo di Biscaglia.
Sono partito questa mattina dall’aeroporto di Portela con un bimotore di linea Douglas DC-3.
Denominato Ibis.
E sono diretto a Londra.
Con me ci sono i sue piloti, il radiotelegrafista, la hostess e oltre a me, altri 12 passeggeri.
Tra questi il mio impresario Alfred Chenhalis. Un bel tipo. Avendo una straordinaria somiglianza con Churchill, lo imita in tutto. Nei modi, nella camminata con un sigaro in bocca.
Avana naturalmente.
E quando cammina, con la mano fa il classico segno V, come vittoria. Che burlone.
Non vedo l’ora di arrivare a Londra, la mia città, dove sono nato il 3 aprile 1893.
Ci vogliono ore alla velocità di 270 km orari.
Dimenticavo.
Mi chiamo Leslie Howard.
Come chi sono?
Johannes, mi avevi detto che mi conoscono tutti.
Che tutti hanno visto i miei bellissimi film.
E invece, quando ho detto il mio nome e cognome, ho avvertito un moto di sorpresa.
Come se nessuno mi conoscesse.
Ho capito. Rimedio io, va,
Mi chiamo Leslie Howard. E sono inglese.
Eppure, incredibile a dirsi, sono l’attore più amato dal pubblico americano.
Sono anche regista e produttore cinematografico.
La mia carriera ebbe inizio nel 1920 quando venni scritturato dall’impresario Gilbert Miller di New York.
Tanto teatro. E poi Hollywood.
"Attore elegante e malinconico" ho girato film come “Schiavo d’amore”, del 1934.
E "La foresta pietrificata” del 1936 con Bette Davis. Fui io a convincere la Warner Bros a scegliere Humphrey Bogart per il ruolo del killer evaso.
Fu talmente riconoscente con me che chiamò sua figlia come il sottoscritto. Leslie Howard Bogart.
Altri film che ho fatto?
“La primula rossa”, per esempio, del 1934. Un successo strepitoso.
E “Pigmalione” del 1938, da cui hanno tratto il musical teatrale "My Fair Lady".
E poi, rullo di tamburi, “Via col Vento”, del 1939, con Clark Gable e Vivien Leigh.
Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale sono rientrato a Londra per propagandare la causa alleata.
Sono le 12,45. Il tempo non passa più.
“Accidenti!!! E quelli da dove sono sbucati?”
Fu un attimo.
Da una nuvola sbucarono tre caccia Junkers 88 della Luftwaffe, caccia pesanti, al comando del maggiore Bellstedt.
Bastarono poche raffiche di mitragliatrice per ridurre l’indifeso DC-3 in un cerino acceso che si inabissava in mare.
L’ultimo messaggio dal pilota fu: ”Caccia tedeschi ci attaccano. La nostra posizione è quarantasei gradi nord, zero nove gradi ovest".
Nulla più.
Non ci fu nessun superstite.
Il DC-3 era una aereo civile.
Perché venne abbattuto dai tedeschi?
Uno dei piloti tedeschi, il maggiore Friedlein dirà in seguito.
”Quando decollai dalla base di Kerhouin-Basterd, quella maledetta mattina del 1° giugno 1943, mi ripugnava la sola idea d’intercettare e abbattere un aereo civile inerme…un aereo che da tre anni volava sicuro”.
“Perché era anche nostro interesse esportare spie tedesche a Londra partendo da un Paese neutrale come il Portogallo. Mi ripugnava. Ma l’ordine di abbattimento non veniva dal mio comando, il Quarantesimo stormo, ma dalla Cancelleria di Berlino”.
Già.
L’ordine proveniva non solo da Hitler in persona, ma da Goering e dal ministro della Propaganda Goebbels. Uccidere un uomo che c’era su quell’aereo era di fondamentale importanza per le sorti della Germania. Che era l’uomo in questione?
Era Winston Churchill.
Peccato che su quell’aereo non c’era Churchill, ma uno che gli assomigliava e che amava imitarlo in tutto. Lo aveva fatto anche quella mattina quando prima di imbarcarsi, con un sigaro in bocca, aveva salutato tutti con la mano col segno V di vittoria.
E lei lo aveva visto.
Lei si chiamava Margarita Bubich ed era una spia tedesca.
Non conosceva l’impresario di Howard e della sua incredibile somiglianza con Churchill.
Ha un problema da sempre.
I tedeschi pagano solo se la spiata porta a qualcosa veramente di concreto.
E lei non aveva ancora guadagnato niente dal suo lavoro di spia.
Le sembrò l’occasione sella vita.
Poi anche la conferma.
I tedeschi hanno intercettato un messaggio cifrato dell’Intelligence inglese (falso).
Dice:”Confermato. Il primo ministro ripartirà da Lisbona alle 09.30”
E aveva mandato ai tedeschi un messaggio cifrato, quando aveva visto Churchill imbarcarsi sul DC-3 Ibis. Partito alle 9.35 era stato abbattuto tre ore e dieci minuti dopo sul Golfo di Biscaglia.
Ora finalmente avrebbe guadagnato un bel po’ di soldi. Almeno così pensava.
Anche Hitler pensò finalmente di essersi sbarazzato del suo grande nemico.
Ma fu un pensiero che non durò molto.
Ben presto gli comunicarono che Churchill era vivo e vegeto.
Mandandolo su tutte le furie.
Questa è la tesi più probabile dell’abbattimento di quel Dc-3.
Resta da chiedersi come i tedeschi abbiano potuto credere che un personaggio come Churchill potesse usare un piccolo bimotore facendo scalo a Lisbona per tornare a Londra da chissà dove.
Si può spiegare solo con l’idiozia e la stupidità che regna in ogni regime dittatoriale.
(Churchill aveva incontrato ad Algeri Eisenhower per parlare dello sbarco in Normandia, ed era rientrato a Londra facendo un giro largo sull’Atlantico a bordo di un quadrimotore Avro York)
Ma la guerra non è solo stupidità e idiozia.
Spesso è anche lucida follia.
Fatta di scelte ben ponderate.
Ricordate il messaggio cifrato inviato ai tedeschi dalla spia per confermare che sul DC-3 c’era Churchill?
L’Intelligence inglese lo aveva intercettato e decrittato.
Sapevano esattamente a cosa stavano andando incontro quei diciassette passeggeri.
Potevano impedirne il decollo, potevano intercettare i caccia Junkers 88 della Luftwaffe. Potevano salvarli in qualche modo.
Invece non fecero niente.
Lasciarono quelle persone al loro destino.
Il motivo? Semplice.
Se lo avessero fatto i tedeschi avrebbero capito che i loro messaggi cifrati potevano essere decrittati.
E in un attimo avrebbero modificato il cifrario.
Con un danno incalcolabile per il proseguo della guerra.
Insomma.
Immolati alla "ragion di guerra".
La storia del sosia di Churchill è a oggi la teoria più diffusa.
Ma anche Leslie Howard era odiato dai tedeschi.
Allo scoppio della guerra era tornato a Londra per dare il suo contributo ed era stato protagonista di film che condannavano e mettevano in ridicolo il Terzo Reich.
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Qual è stata, nella storia, la durata media di una guerra?
Una risposta non semplice.
Nel mondo antico e in quello medioevale ci sono state guerre di durata lunghissima.
Nel mondo moderno ci sono state anche guerre lampo, in tedesco Blitzkrieg.
Nel mondo antico sono diverse le guerre di una certa durata.
La Guerra del Peloponneso per esempio.
Venne combattuta in Grecia e nel Mediterraneo tra le due città rivali, Atene e Sparta e i loro alleati.
Durò all'incirca 27 anni, dal 431 a.C. al 404 a.C.
Le Guerre Puniche, che si sono combattute tra Roma e Cartagine per la supremazia del Mediterraneo, sono durate complessivamente circa quarantatré anni.
Ventitré la prima (dal 264 al 241 a.C.), diciassette la seconda (dal 218 al 201 a.C.) e tre la terza (dal 149 al 146 a.C.)
L’epigrafe sulla mia tomba mi definisce “gloria del genere umano”.
Non so.
Avete presente un bambino su una spiaggia che trova, prima una pietra variegata, poi una conchiglia a più colori dinanzi ad un oceano ancora inesplorato?
Ecco, penso di essere stato solo quel bambino.
Su quello che mi accadde nell’estate del 1666, nel giardino della mia casa natale di Woolsthorpe, Voltaire ed Eulero ci hanno ricamato sopra.
Una mela in testa, ma via.
In testa no di sicuro.
E quando mai.
Forse è il caso di raccontarvi un po’ della mia vita.
Dall’inizio.
Sono nato appunto a Woolsthorpe, nella Contea del Lincolnshire, il 25 dicembre del 1642.
Secondo il calendario giuliano.
Dieci giorni dopo, il il 4 gennaio 1643, secondo il calendario gregoriano.
Quello che forse non sapete, è che sono nato povero.
Molto povero.
E' il 26 giugno 1975.
Cristina sta per uscire di casa.
L'amico Marco è venuta a prenderla e con l'amica Emanuela hanno intenzione di andare in qualche locale a sentire un po' di musica.
Cristina, 18 anni, è figlia dell'imprenditore Mazzotti e abita in una villa a Eupilio (CO)
I tre amici hanno passato la serata in un bar di Erba.
Con la Mini Minor di Marco stanno per rientrare a casa.
Ridono, scherzano, quando all'improvviso una Fiat 125 taglia loro la strada.
Quattro uomini, col bavero alzato per nascondere la faccia, scendono dall'auto.
I 3 ragazzi vengono fatti salire sui sedili posteriori della Mini.
E partono.
A un tratto l'auto si ferma.
"Chi di voi è Cristina Mazzotti?"
"Sono io".
Le infilano un cappuccio in testa e la trasferiscono sulla 125.
Che ci faccio fuori dalla chiesa in Piazza Don Bosco nel quartiere Tuscolano a Roma?
Non mi lasciano entrare in chiesa.
O meglio.
Non ci lasciano entrare in chiesa.
Come è possibile?
È possibile sì.
Forse è meglio che vi racconto quando, e come tutto è cominciato.
Non ero mai stata a Roma.
Erano gli anni 70 e da San Candido in Alto Adige ero venuta in gita con la parrocchia.
E poi quel pomeriggio, libero per tutti.
Io ero sola.
Nessuna amica, niente fidanzato, nessun familiare.
Andare da sola per Roma non fu una bella idea.
Perdersi fu un attimo.
Ricordo che fu lui ad avvicinarsi.
Gli chiesi come arrivare a Piazza Venezia.
Fu il mio accento a tradirmi.
Tedesca?”, mi chiese.
No”, risposi, “vengo dall’Alto Adige”.
“Ah, dove prendete in giro gli italiani!”.
La nostra storia d’amore iniziò quel giorno.
Oggi il Torneo al Queen’s Club è riservato ai soli uomini, ma non era così ai miei tempi.
Era comunque considerato, come oggi, la migliore anticamera prima della partecipazione a Wimbledon, il mio obiettivo.
E la mia spalla non va ad infiammarsi giocando proprio quel torneo?
Una sfortuna sfacciata.
Ero arrivata da poco proprio per fare il grande salto.
Negli USA, la mia patria, avevo vinto molto, per quello avevo deciso di sbarcare in Europa.
E avevo iniziato vincendo i Tornei di Surbiton e Manchester come preparazione a Wimbledon.
Mi presento.
Mi chiamo Maureen Connolly e sono nata il 17 settembre 1934 a San Diego, in California.
Papà voleva un maschio, e per molti anni ho sempre creduto che fosse mia la colpa.
Del suo abbandono, dopo avermi promesso che sarebbe andato a comprarmi un gelato perché avevo la febbre.
Cosa darei per vincere questo torneo?
C’è gente che sarebbe disposta a tutto anche solo per essere presente come spettatore, figuriamoci come protagonista in campo.
Dicono che non posso vincere.
Sono d'accordo.
In conferenza stampa ho detto che darei una mano pur di riuscirci.
C’è sempre dell’ansia prima di entrare in campo.
Ci si veste, poi i soliti riti scaramantici, e infine qualche minuto seduto in attesa della chiamata.
Tra poco sfiderò in finale, sul manto erboso del Centre Court di Wimbledon, il vincitore dell’anno scorso.
Numero uno al mondo.
Non ci sopportiamo.
Vecchia ruggine per questioni di patriottismo.
Non avendo risposto a una chiamata della nazionale per giocare delle amichevoli lo avevo definito “antipatriottico”.
Una causa di risarcimento in corso.
Siamo diversi.
Non solo per il colore della pelle.