Qualche giorno fa è uscita la notizia che il Ministro Università e Ricerca Maria Cristina Messa avrebbe anticipato una riforna per cui “a certificare l’abilitazione scientifica nazionale (#ASN) sarà l’#IntelligenzaArtificiale”
Tutto si baserebbe su una presentazione fatta ad un convegno in cui è stato diffusa questa scheda.
Ha creato scompiglio la frase:
“Indicatori sui requisiti a controllo automatizzato (parole chiave e IA)”
Non ci vuole un esperto per capire che detta così non vuol dire niente e un riferimento all’IA (verosimilmente improprio) di quel tenore serve solo a dare dignità e ammantare di scientificità e soprattutto di hype, una scelta come un’altra nel processo valutativo.
Quando si parla di IA e PA il dibattito (in dottrina e in giurisprudenza) oggi risolto è se una determinazione imputabile alla PA, fondata su una decisione a sua volta frutto di una elaborazione basata su algoritmi, possa qualificarsi sia come vincolata che come discrezionale.
In altre parole se il ricorso a processi automatizzati sulla base di algoritmi sia possibile nel solo caso di decisione amministrativa vincolata ovvero anche a quella discrezionale.
La giurisprudenza (ad es Cons. Stato, sez. VI, 13 aprile 2019, n. 8472) ci dice che l'algoritmo può governare anche la decisione discrezionale seppure in funzione servente all'azione del funzionario (umano).
“L'utilizzo nel procedimento amministrativo di una procedura informatica che attraverso un algoritmo conduca direttamente alla decisione finale deve ritenersi ammissibile, in via generale, nel nostro ordinamento, anche nell'attività amministrativa connotata da
ambiti di discrezionalità, a condizione che siano osservati: a) la piena conoscibilità del modulo; b) l'imputabilità della decisione all'organo titolare del potere, cui competono tutte le responsabilità correlate; c) il carattere non discriminatorio dell'algoritmo utilizzato”.
In altre parole una decisione discrezionale assunta mediante sistemi automatizzati presuppone un apporto umano a monte della decisione: l’individuazione dei parametri e il giudizio di valore non può che essere attività umana, a valle della quale vi è la decisione automatizzata.
Si pone semmai una questione di trasparenza -la conoscibilità delle caratteristiche dell’algoritmo- per poterne verificare la corrispondenza e la coerenza alla regola a monte prevista dal decisore umano.
Va poi distinta -semplificando- la decisione algoritmica semplice e quella dell’IA.
La decisione algoritmica semplice si basa su una sequenza finita di istruzioni, ben definite e non ambigue, così da poter essere eseguite meccanicamente e tali da produrre un determinato risultato
Nell’IA propriamente invece l'algoritmo contempla meccanismi di machine learning e crea un sistema che non si limita ad applicare le regole preimpostate ma elabora costantemente nuovi criteri di inferenza tra dati e assume decisioni secondo un processo di apprendimento automatico
La criticità in questo caso consisterebbe nel fatto che ci si discosterebbe dal modello input - output, è un potenziale rischio opacità, o invisibilità, o imperscrutabilità del processo logico-deduttivo che potrebbe ledere il principio di trasparenza.
Non è necessariamente così
Tra decisione automatizzata e decisione autonoma della macchina non c’è un abisso: la “macchina” può anche parzialmente sostituire il proprio modo di “sentire” la scelta d'interesse pubblico a quello umano, ma non per questo il potere speso diventa titolarità della macchina.
Venendo alle anticipazioni del ministro e alla levata di scudi che ne è conseguita, da un lato, viene il sospetto che sia la classica tempesta in un bicchier d’acqua e che il riferimento all’IA sia del tutto improprio e messo lì per semplificazione o come già detto per puro hype
Semmai sarà rilevante la qualità e la pertinenza degli input immessi nella macchina e le caratteristiche e l’affidabilità del sistema automatizzato di valutazione. Fermo il rispetto dei tre parametri richiamati dal Consiglio di Stato nella sopra citata decisione.
Colpisce invece l’aprioristico rifiuto della tecnologia da parte dei critici quando il principale differenziale tra decisione automatizzata e umana è il circoscrivere il tasso di emotività (nelle sue accezioni positive… e spesso negative) del decisore.
Non aiuta il riferimento (emozionale) nell’articolo di ROARS citato in principio, alla vicenda del sistema di IA di Google cui l’ingegner Lemoine, che ci interloquiva, ha attribuito la caratteristica di “sentient” (si tratta di una vicenda inutilmente pompata mediaticamente).
Piuttosto vediamo se verrà pubblicato il paper accademico su se stesso scritto da un sistema di intelligenza artificiale, attualmente sotto peer review
Notavo che il sistema di IA autore del paper ha dichiarato di non versare in situazioni di conflitto di interessi.
Si vede che gli input umani sul punto vanno affinati.
A ben vedere anche per i sistemi di valutazione ASN mi preoccuperei più dell’input umano che della tecnologia
Quirico scrive oggi su La Stampa “L’Occidente ha creato Putin e adesso cerca di cancellarlo”.
Articolo del filone le colpe dell’Occidente.
Già detto che l’Occidente non ha l’autorità morale per impartire lezioni alla Russia, oggi la domanda è “e se Putin fosse colpa nostra?”
Putin lo abbiamo creato, accettato, lusingato perché sapevamo che non ci era estraneo.
Poi al momento dell’invasione ci siamo visti riflessi nel suo specchio e abbiamo avuto orrore.
Oggi cerchiamo di mandare in frantumi lo specchio sperando che sparisca ogni traccia di somiglianza.
Quirico mostra ambizioni di narratore.
Il presidente dell '"Assemblea degli ufficiali panrussi" il colonnello generale Ivashov Leonid Grigoryevich ha scritto un discorso al presidente e ai cittadini della Federazione Russa "La vigilia della guerra":
Cari Gruber @OttoemezzoTW Floris @diMartedi Caracciolo @limesonline volendo Formigli @PiazzapulitaLA7 : è pienamente legittimo che vengano intervistati personaggi organici alla propaganda o, se del caso, financo il cane di Putin.
Rientra, vivaddio, nella libertà del giornalista.
Credo sia altrettanto legittimo per lo spettatore giudicare il lavoro giornalistico svolto in questo modo insoddisfacente: che valore aggiunto informativo ha l’interlocuzione con autoproclamati megafoni di un autocrate?
Portate piuttosto le voci dissonanti: ben vengano quelle (dissonanti) nazionali (per quanto la rappresentazione narcisistica dei talk show abbia reso alcuni delle caricature), ma non pensate sia utile ascoltare le voci critiche dell’altro fronte?
Ad esempio oggi:
Intervista davvero interessante con Matthias Hartwig, avvocato e consulente presso il Max Planck Institute for Comparative Public Law and International Law di Heidelberg.
È un problema democratico che “quelli contrari alle armi” per come attestati dai sondaggi (non tutti, vedi @EurobarometerEU ) non abbiano “voce in capitolo”?
“Quelli contrari alle armi” hanno voce in capitolo eccome nella rappresentazione mediatica del dibattito sulla guerra: lo dimostra la prof.ssa Di Cesare stessa con la sua presenza costante nei programmi televisivi di approfondimento e sulla stampa
Un accordo di pace in cui una delle due parti fosse costretta ad accettare le condizioni imposte dall’altra sotto la minaccia o proprio a seguito dell’uso della forza -come conseguenza di una invasione illegale- sarebbe valido? E poi garantirebbe davvero la pace?
I commentatori che meritoriamente invocano la pace e invitano le parti a sedersi al tavolo delle trattative comunemente si mostrano irridenti verso il diritto internazionale. Pragmaticamente si aspettano che alla Russia vadano fatte delle significative concessioni.
Considerano i trattati nel migliore dei casi roba da azzeccagarbugli. E allora si arriva a sostenere che i crimini di guerra siano fisiologici (e non patologia a dispetto delle convenzioni sottoscritte dalle nazioni). Per loro la distinzione tra aggressore ed aggredito è speciosa