Ha ragione Bersani: nessuno racconta mai cos'è la vita dei poveri. Quei 5 milioni e rotti che in Italia vivono "sotto la soglia di povertà" che significa non avere la sicurezza di un tetto sulla testa, non potersi curare, non poter mangiare tre volte al giorno tutti i giorni,
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non avere la possibilità di comprare il necessario ai figli compreso il materiale scolastico, che significa mandare quei figli nella zona esclusione sociale e poi tocca pure sentire i tromboni che "in Italia si fanno pochi figli" sono diventati ormai un luogo comune,
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qualcosa di cui si parla en passant per far finta di occuparsene ma poi la realtà ci dice altro e cioè che la vera arma di distrazione di massa di oggi è la povertà che rende le persone fragili, incapaci di alzare la testa dai loro problemi.
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In questo clima il potere può fare quello che vuole e lo fa.
Tipo entrare in una guerra con tutto ciò che questo comporta e inserire in una legge un emendamento che anziché estendere i diritti li toglie. #13luglio
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renzi ha fatto dimettere le sue 'ministre' due settimane dopo il bel discorso di capodanno di Mattarella sulla responsabilità politica.
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Se non fosse arrivata la pandemia con la sua gravità, i suoi lutti e la crisi avrebbe fatto cadere Conte dieci mesi prima sulla prescrizione: una sua ossessione fin dal 2014.
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A maggio del 2020 Bonino fece la mozione di sfiducia a Bonafede accusandolo di voler mettere tutti in galera [e non era vero], salvini e Meloni appoggiarono perché dicevano che scarcerava i mafiosi [e non era vero],
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"Non voglio sostituirmi alla polizia o ai giudici, certo è una persona che in termini romaneschi se l'andava cercando".
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Così Giulio Andreotti, sette volte presidente del consiglio, prescritto per mafia, punto di riferimento di sedicenti democratici, tuttora venerato come uno statista
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su Giorgio Ambrosoli, ucciso l'11 luglio 1979 da quattro colpi di pistola sparati da un sicario per conto del banchiere della mafia Sindona. #GiorgioAmbrosoli #11luglio
Dopo il colpo di stato fallito al quale #Erdogan reagì con una massiccia risposta repressiva che provocò centinaia di morti e migliaia di arresti, tutta l'Europa e la comunità internazionale dei cosiddetti stati democratici tirarono un sospiro di sollievo.
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Obama e la Merkel si affrettarono a far sapere al mondo che sostenevano il governo "democraticamente eletto", la Nato schierandosi con #Erdogan dichiarò che "bisognava rispettare le istituzioni democratiche e la costituzione turca".
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Gentiloni, all'epoca ministro degli esteri telefonò al suo omologo turco per esprimere “soddisfazione per il prevalere della mobilitazione popolare a difesa delle istituzioni”.
Renzi, vabé. Inutile specificare da che parte si collocò anche in quella occasione.
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Lo scorso anno #Erdogan ha cancellato la Turchia dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne perché, disse: "le leggi contro la violenza sulle donne minano la stabilità della famiglia".
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A parte i soliti piagnistei ipocriti dei difensori dei diritti a corrente alternata nessuno ha alzato il sopracciglio.
Nel 2020 in Turchia sono morte di violenza oltre 300 donne.
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Draghi e il governo stringono alleanze con un paese dove non si rispettano i diritti umani per le solite questioni di affari ma immagino che stavolta non ci saranno nemmeno i piagnistei ipocriti.
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Immagino quelli del contradditorio che vanno dal medico perché hanno un problema e alla domanda "dottore, che ho?" quello gli risponde: "e no, prima dobbiamo ascoltare Tizio, Caio e Sempronio".
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Il contraddittorio è una scemenza che serve a far proliferare l'ignoranza, perché ci sono temi che richiedono solo il parere di chi ha le competenze per esprimersi.
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Invece le nuove frontiere della comunicazione/informazione sono quelle che mettono di fronte lo scienziato, l'esperto al buffone di corte di turno che, guarda caso, fa sempre gli interessi contrari a quelli che potrebbero risolvere i problemi.
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Ieri sera ho visto il quarto episodio della miniserie sul sequestro Dozier. Per chi volesse approfondire qui c'è uno spaccato dell'Italia prima del G8 di Genova, di Federico Aldrovandi, di Stefano Cucchi
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