Lo confesso, all’inizio avevo accettato il suo amore e l’avevo pure ricambiato.
Mi raccontò di avermi amata fin da subito, da quando durante una tregua di guerra mi aveva vista al campo dei Gepidi, il mio popolo.
Ma lui era sposato con Clotsuinda, figlia del re dei Franchi.
Costretto per motivi politici. Nessun amore.
Tanto che non versò una lacrima quando la fragile moglie morì di parto.
E non avendomi dimenticata si era presentato a mio padre, re Cunimondo re dei Gepidi, a chiedere la mia mano.
Questo avrebbe significato anche un’alleanza.
Erano in guerra da anni, ma mio padre rifiutò di darmi in sposa a lui, al terribile Alboino, Re dei Longobardi.
Alboino allora mi rapì, senza il mio consenso e con ira e sdegno da parte di mio padre.
Che smosse mari e monti fino ad arrivare all’Imperatore d’Oriente Giustiniano.
Mio padre minacciò di riprendere la guerra e Alboino mi riportò a casa.
Ma lui era il decimo re dei Longobardi, figlio di Audoino.
Non si sarebbe mai arreso.
Le genti barbare di mezza Europa cantavano nei loro poemi la sua gloria.
«Era più di un re, più di un eroe; era un mito»
E così pose fine alla guerra ormai ventennale con il mio popolo.
Nel senso che in una battaglia campale circondò tutti i Gepidi e li massacrò uno per uno.
Non solo.
Uccise personalmente mio padre facendo realizzare col suo cranio una coppa da usare per bere.
A causa sua, i gepidi e mio padre Cunimondo scomparvero per sempre.
I pochi sopravvissuti diventarono suoi schiavi.
A una sola donna non torse un solo capello.
Anzi la nominò Regina dei Longobardi.
Il suo Nome?
Rosmunda, giovane figlia del re Cunimondo.
Sì, proprio io.
Per secoli i Longobardi si erano continuamente spostati.
Dalla Scandinavia erano giunti dell’Europa centrale e poi all’inizio del VI secolo si erano insediati in Pannonia (Ungheria).
Nel 568, guidati da Alboino, furono costretti a migrare nella penisola italica.
Io andai con lui.
Entrammo in Italia passando dal passo di Predil, alla ricerca di una nuova patria.
A quel tempo l’Italia era una provincia dell’Impero Roma d’Oriente che aveva il suo centro in Costantinopoli.
Come reagirono all’arrivo di Alboino e dei suoi uomini?
Non reagirono.
Si rinchiusero nelle loro fortezze a Padova, a Mantova, a Oderzo, mentre Alboino prendeva il resto delle città una per una.
L’Esarca Longino, rappresentante dell’Imperatore, nemmeno uscì da Ravenna, la capitale.
In poco tempo Alboino si prese mezza Italia.
«Io non so cosa accada altrove, ma so che in questa parte della Terra che noi abitiamo, la fine del mondo si annuncia chiaramente. Anno del Signore 568»
Parole di Papa Gregorio Magno.
Sconfitta Pavia Alboino pose la sua capitale a Verona, da dove poteva meglio controllare Ravenna
Un anno dopo fu proprio lì che accadde quello che non sarebbe dovuto mai accadere.
Durante uno di quei tumultuosi banchetti, nei quali gli uomini di Alboino si riempivano di quel nettare che avevano scoperto in Italia.
Il vino, nettare di una nuova patria.
Fu forse un cantore, forse un cortigiano, non so, a ricordare ad Alboino la vittoria sui Gepidi e la sconfitta di mio padre.
Era ubriaco e ordinò che gli fosse portata quella tazza ricavata dal cranio di mio padre.
«Bevi Rosmunda, dal cranio di tuo padre!», mi ordinò.
In realtà la frase esatta fu: «bevi allegramente con tuo padre».
Altro non sapete di quel banchetto.
Avrei voluto disobbedire a mio marito, davanti alla corte per rendergli l’offesa, ma ero troppo arrabbiata. E mentre bevevo avevo già in mente la mia vendetta.
Da quel momento ebbi un unico chiodo fisso. Uccidere Alboino, vendicare mio padre e il mio popolo, e riscattare la mia posizione che ormai era di schiava. Uccidere Alboino?
Sì, ma come?
Tagliargli la gola a letto?
Fracassargli la testa mente mi dormiva accanto?
Sarebbe stata una vendetta sì, ma anche un suicidio. Amavo troppo la vita, e perché no, pure la corona. Così escogitai un piano per distruggere mio marito senza coinvolgere me nella rovina.
E la mia scelta cadde su un longobardo, Elmichi.
Mio amante?
Non ha importanza.
Era nobile, di sangue regale, un grande alleato.
Fu facile convincerlo che dopo la morte di Alboino sarebbe stato lui il nuovo re.
Ora dovevamo solo cercare la persona giusta che uccidesse mio marito.
Io avevo già la parte di moglie amorosa, Elmichi quello di fedele armigero.
La scelta cadde su un gepido, di nome Peredeo, ufficiale di corte.
Ma non volle sentir ragioni.
Trovai un espediente.
“Mi sostituii alla sua amante e senza sospettare nulla giacqui con lui”.
“Ora tu hai fatto una cosa tale che, o ucciderai Alboino o Alboino ucciderà te”.
Accettò
Era il 28 giugno del 572.
Dopo aver mangiato mio marito andò come al solito a riposare.
Poco dopo s’assopì.
Mentre facevo entrare Peredeo, Alboino si svegliò e accortosi di quello che stava per accadere brandì la spada che aveva a fianco del letto.
Senza riuscirci.
Perché l’avevo legata al letto.
E così Peredeo iniziò a menar fendenti.
“Quell’uomo valorosissimo, audacissimo, al quale nessun nemico aveva resistito, fu sgozzato come un imbelle”.
Era fatta, ma dovevo stare attenta.
Un passo falso e sarei stata perduta.
Dopo la morte di Alboino i duchi iniziarono a litigare. Tentai di forzare loro la mano sposando Elmichi.
Ora lui poteva pretendere il trono.
Non funzionò.
Io ero sempre una gepide e poi qualcuno iniziò a spargere strane voci sulla morte di mio marito.
Due mesi dopo venimmo accusati di essere gli assassini di Alboino.
Fummo costretti a fuggire, l’unico modo per avere salva la vita.
Dove?
L’unico posto era nelle nemica Ravenna.
Chiesi al nemico Longino di predisporre la nostra fuga.
La mia, di Elmichi, di Peredeo e del tesoro dei Longobardi.
Salimmo su una imbarcazione, poi dall’Adige al mare e per le paludi fino a destinazione.
Ero certa che i Bizantini avrebbero attaccato i Longobardi riportandomi a Verona da trionfatrice.
Ma Longino alla battaglia preferiva sposare quella che al momento era ancora la regina dei Longobardi.
La sottoscritta.
C’era però un ostacolo. Il mio nuovo marito Elmichi. Feci tutto da sola. Gli preparai una bevanda. Avvelenata, certo.
Ne bevve una parte poi lui si accorse del veleno.
Mi obbligò quindi a bere il resto della coppa.
Morimmo entrambi.
Non una bella idea, lo ammetto.
Ma io ero figlia di un re, nata per essere regina, incoronata come prima regina d’Italia.
Longino poté inviare a Bisanzio la notizia di aver inflitto un duro colpo ai Longobardi.
A governare la “Longobardia” fu eletto Clefi, che verrà ucciso due anni dopo.
Gli succederà, dopo dieci anni, Autari e poi sua moglie Teodolinda.
Ma questa, è un’altra storia.
• • •
Missing some Tweet in this thread? You can try to
force a refresh
Bob Dylan, nella canzone dedicata a Rubin “Hurricane” Carter – condannato ingiustamente per omicidio – cantava: «A Paterson le cose vanno così, se sei nero meglio non farti vedere in giro, a meno che tu non voglia accettare la sfida».
Insomma, se non vuoi rogne con la polizia.
Mi chiamo Tamika Palmer, mamma di Breonna, cresciuta nella cittadina di Grand Rapids, capoluogo della contea di Kent, nel Michigan.
Da ragazzina sentivo spesso parlare di poliziotti che molestavano noi neri.
«Non dire niente, non muoverti, perché altrimenti ci faranno qualcosa».
Facevamo così con la polizia.
Il mio primo lavoro a quindici anni.
Babysitter, di tre piccoli bambini.
I primi soldi e il primo acquisto.
Un bellissimo paio di scarpe. Amavo quelle scarpe. Avevo sedici anni quando conobbi il padre di Breonna. Fu mia madre a farmi fare il test.
Certo che ricordo la sua storia.
Una vicenda che ha inizio la notte del 16 dicembre 1968 a Villafranca d'Asti.
Maria Teresa, 13 anni, è figlia di una famiglia contadina di Cantarana.
E’ inverno, un freddo inverno, e la scuola lontana da casa, per questo dorme dagli zii.
Infatti la loro casa a Villafranca d’Asti si trova più vicino alla scuola.
Sono le 5,45 quando sua zia Teresa la va a svegliare. Dalla portafinestra spalancata entra un’aria gelida. Maria Teresa non c’è.
La zia, prima di svenire, urla: "L’han rubase la nevuda!”.
Iniziano le ricerche.
Tutti i vestiti sono al loro posto, in terra un sacco di juta vuoto.
Appoggiata al muro che sale verso il balcone una scala.
Maria Teresa è uscita in camicia da notte.
Magari è tornata dai suoi genitori, ma a Cantarana non c’è.
Nessuno l’ha vista.
Ieri sera vi ho raccontato la prima parte della storia di Vidkun Quisling (leggete qui bit.ly/3vQWbmJ ). Quisling è a Berlino e ha appena ricevuto da Hitler duecentomila marchi oro e l’invito a tenersi pronto ad aprire le porte della Norvegia all’occupazione tedesca.
I duecentomila marchi oro sarebbero serviti a Quisling per mettere in piedi una vera propaganda anti-inglese e filo-nazista in Norvegia.
Naturalmente era solo la prima tranche di una cospicua sovvenzione.
Sistemato Quisling Hitler convocò lo Stato maggiore.
Ordinò di preparare un piano dettagliato per l’occupazione della Norvegia utilizzando tutti i dettagli che gli erano stati comunicati da Quisling.
Rimanevano le incertezze di Hitler sugli inglesi.
Che caddero il 17 febbraio 1940 con l’azione del cacciatorpediniere inglese Cossak.
Essere un Pico della Mirandola.
Uno dei tanti personaggi simbolo di una qualità particolare o di un determinato comportamento.
In questi caso si dice di una persona con una memoria portentosa.
Giovanni Pico pare conoscesse a memoria tutta la “Divina Commedia.
Anche al contrario.
Anche essere "un Quisling" è riferito a un determinato comportamento.
Si potrebbe dire di una persona o di un politico che per fanatismo ideologico o per errato calcolo è stato capace di scendere a vergognosi compromessi in cambio di una poltrona.
Ecco.
Quisling fu anche peggio.
Vidkun Quisling allo scoppio della seconda guerra mondiale era maggiore dell’esercito norvegese .
Avere 52 anni significava essere nato quando la Norvegia faceva parte dello Stato Svedese.
Solo il 26 ottobre 1905 era stata riconosciuta in modo pacifico la sua indipendenza.
Dei sei anni che precedettero quel 3 settembre 1939, quando Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra alla Germania, sappiamo tutto.
Sono sei anni che è necessario conoscere, almeno a grandi linee, per capire il perché di quei giorni.
Ma quanto sappiamo dei mesi successivi?
Gli inglesi iniziarono a chiamarla “twilight war”, guerra vaga.
I francesi “drôle de guerre”, guerra strana, stramba.
Gli americani “Phoney war”, guerra fasulla.
I tedeschi “sitzkrieg”, guerra seduta.
Gli italiani, guerra dei coriandoli, perché invece di bombe piovevano volantini
Stiamo parlando del periodo che va dal settembre 1939 al maggio 1940. Il meno conosciuto.
Un periodo che ha fatto dire ad alcuni storici: ma veramente Francia e Inghilterra volevano morire per Danzica?
E’ vero.
Dopo Austria e Cecoslovacchia Hitler aveva invaso la Polonia.
I Sex Pistols, quelli veri, si erano sciolti all'inizio del 1978.
Il bassista Sid Vicious ed il cantante Johnny Rotten avevano lasciato il gruppo.
“No One is Innocent” venne incisa dai membri restanti della band.
Con che voce?
La mia, ovvio, quella di Ronnie Biggs.
Pubblicata su singolo in Inghilterra il 30 giugno 1978 raggiunse la posizione numero 7 della Official Singles Chart.
Eppure non sono famoso per quello e nemmeno per aver fatto parte del film "La grande truffa del rock'n'roll" sempre sulla storia dei Sex Pistols
Lo confesso.
Registrare in un luogo segreto, sconosciuto, in una zona sperduta del Brasile non fu il massimo.
Nemmeno la cosa più strana.
Un gruppo di ex soldati britannici mi rapì per consegnarmi agli inglesi in cambio della taglia.
Un guasto in mare aperto mandò tutto all’aria