Le #ElezioniPolitiche del novembre 1919 sono uno spartiacque nella #storia contemporanea d'Italia: sono le prime con suffragio universale maschile, le prime con sistema proporzionale di lista e quelle che sanciscono la fine del sistema politico liberale nato dal Risorgimento
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La situazione politica ed economica con la quale si va al voto è grave e complessa. La fine della guerra comporta un forte aumento della disoccupazione. I prezzi sono saliti 4 volte rispetto al 1913. Scioperi e proteste per il pane e per la terra scuotono il paese.
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Le novità del suffragio universale, esteso anche ai combattenti di minore età (che allora era 21 anni) e del proporzionalismo non derivano in Italia, al contrario di altri paesi europei, da una mobilitazione popolare. Sono proposte che vengono dai politici liberali.
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Si vuole infatti ridurre il trasformismo, che ha piagato la politica fin dalla fine dell'800, portando alla nascita di partiti organizzati e ridurre la distanza fra il paese e la rappresentanza politica.
Il risultato però è deludente, anche per i suoi stessi promotori.
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L'affluenza al voto è infatti percentualmente minore delle elezioni del 1913 a sistema uninominale, 56,6% contro 60,4%, ma soprattutto il voto premia i due unici partiti organizzati a livello nazionale: il PSI ed i Popolari, quest'ultimo appena costituito a gennaio.
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I liberali, divisi fra una miriade di liste per tradizione individualista, perdono 2/3 dei seggi che hanno in parlamento. Va però sfatato il mito che Nitti li abbia condotti al "suicidio". Recenti studi storici hanno dimostrato che con l'uninominale avrebbero perso di più.
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«...lungi dal temere lo schiacciamento dei partiti medi di fronte al prevalere dei partiti estremi, (...) la proporzionale contribuirà a salvarli in tutti quei collegi in cui diversamente sarebbero completamente travolti». (il liberale Arnaldo Agnelli sul Corsera il 23/7/19) 7/16
I socialisti vincono 156 seggi su 508. Sono 3 volte tanto quelli del 1913 e diventano il partito di maggioranza relativa. Ma la dirigenza socialista è in quel momento in maggioranza massimalista: parla di rivoluzione, affascinata da Lenin, ma non si prepara a farla.
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Non ha peraltro l'appoggio della Confederazione Generale del Lavoro, che è ancora riformista, e soprattutto i voti sono concentrati al nord, col 71% dei consensi, mentre al sud raccolgono dal 5 al 9% con soli 10 eletti. Una spaccatura territoriale drammatica e insolubile.
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Il Partito Popolare conquista 100 seggi, con distribuzione territoriale molto più omogenea, ma anch'esso non è internamente coeso, fra agrari che chiedono distribuzione di terre, conservatori cristiani e la segreteria di Don Sturzo come centro coesivo e di decisione.
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Il nuovo sistema elettorale, pensato come panacea di tutti i mali della politica italiana d'allora (una illusione che ci trasciniamo fin oggi) restituisce un paese spaccato territorialmente e con tre forti forze politiche ma nessuna in grado di governare autonomamente.
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Stante l'indisponibilità dei socialisti massimalisti ad un governo di coalizione, i deboli governi che si formano si basano sui Popolari ed i liberali e scontano l'arretratezza della cultura politica non abituata a trattative fra partiti ma solo a quelle fra parlamentari.
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Giolitti ad esempio non riesce ad accettare di dover parlare col segretario del Partito Popolare, Don Sturzo, che non è nemmeno eletto: «un piccolo prete intrigante».
Sturzo a sua volta detesta Giolitti come rappresentante della vecchia politica trasformista e anticattolica
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Ed i fascisti? È il periodo che si organizzano anche loro in partito ma rimangono assolutamente marginali nella scena politica. Il vero personaggio eversivo di destra in quel momento è D'Annunzio, che si pone alla testa dei vari gruppi nazionalisti e di reduci.
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Oltre a coniare la maggior parte dei motti usati in seguito dal Duce, appena prima delle elezioni occupa militarmente coi suoi "legionari" la città di Fiume, contesa fra Italia e Jugoslavia al tavolo della pace di Parigi, dove si era creata una impasse fra i vincitori.
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Sarà proprio il governo Giolitti V a far sgombrare D'Annunzio da Fiume nel dicembre 1920 (il "Natale di Sangue") ma sarà anche l'ultimo governo della XXV Legislatura cadendo nel luglio 1921 dopo le elezioni politiche di maggio. Ma questa è, appunto, un'altra #storia.
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Ieri avevo promesso di mostrarvi i dazi che il Ducato di Milano, sotto il governo del ramo spagnolo degli Asburgo, imponeva sulle merci che transitavano per il Naviglio Grande all'inizio del XVII secolo.
Li troviamo in questo volume compilato da Giovanni Battista Settala.
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Come leggiamo nell'intestazione Giovanni Battista Settala è cancelliere nella Magistratura delle Entrate Straordinarie e dei Beni Patrimoniali del Ducato di Milano.
È lui che nel 1573 amplia il Naviglio della Martesana, opera che ha eco in tutta Europa.
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E qui sembra di tornare all'attualità, non solo i dazi, ma il doppio ruolo, pubblico e privato, dei maggiorenti milanesi.
Settala infatti non è solo il cancelliere del Magistrato straordinario, ma è anche socio nell'impresa incaricata di ampliare il nuovo naviglio.
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Il 22 settembre 1985, il Plaza Accord scuote l’economia globale.
Scopri come si arriva a questo storico accordo che cambia i mercati, dà sollievo temporaneo agli USA, ma innesca anche una bolla in Giappone, con effetti che durano decenni.
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Nel 1981 la Federal Reserve, guidata da Paul Volcker, alza di oltre il doppio i tassi d’interesse per domare l’inflazione degli anni ‘70.
È il così detto "Volcker Shock": l'inflazione frena, il dollaro si rafforza, ma a caro prezzo per l’economia statunitense.
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Il dollaro USA si apprezza del 50% rispetto a yen e marco tedesco.
Il dollaro forte serve oltre che per l'inflazione anche per attirare capitali per finanziare la “Reaganomics” che combina tagli alle tasse e aumento della spesa militare, ma crea un deficit di bilancio enorme.
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Cosa è rubare?
Nel XV secolo avevi violato il settimo comandamento:
"Se ha facta usura cioè guadagnato o desiderato di guadagnare d’alcuna cosa prestata numerabile come sono danari, etc., mensurabile come è grano, vino, olio, et di simili, ponderabile, che si presta a peso."
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Così scriveva il beato Marco da Montegallo, frate minore francescano ma anche dottore in legge e medicina, nel suo Libro delli comandamenti.
Ma anche, se non fosse chiaro:
"Se ha prestato sopra alcun pegno per haversene quello fructo finchè gli si renda quello ch’è prestato."
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Neppure lo sconto per il pagamento anticipato sfuggiva al peccato:
"Se ha comperato cosa alcuna per minore pregio che quello che vale per averlo pagato innanzi tempo."
E anche vendere a credito non si salvava:
"Se ha venduto più caro per la credenza che gli ha facta o fa."
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Cosa ci dice la storia economica riguardo la decisione cinese di smobilizzare le sue riserve investite in titoli di stato USA?
Che un sistema finanziario/commerciale è arrivato al termine e che probabilmente Trump non è matto come sembra.
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La logica del commercio internazionale è basata su un concetto semplice, che poi alla fine è comune alla vita di tutti i giorni: se una nazione importa dei beni o li paga esportando altri beni, o li paga vendendo delle attività, o si segna a debito.
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La prima opzione è banale: paghi i beni importati con quello che ricavi da quelli esportati, non devi chiedere niente a nessuno e sono tutti felici. Un po' come tu paghi la spesa con lo stipendio derivante dal tuo lavoro.
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Neutralità e Pacifismo vengono spesso confusi, ad arte o per ignoranza.
Ma la neutralità ha plasmato la storia mondiale per 500 anni, sfidando imperi e guerre.
Lo storico Leos Müller rivela in questo suo libro come la Neutralità ha influenzato l’ordine internazionale.
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Müller offre 4 ragioni per studiare la neutralità:
- ha forgiato l’ordine mondiale moderno;
- promosso il libero scambio;
- sostenuto l’economia di piccoli stati;
- dato vita al diritto internazionale, influenzando organizzazioni come la Società delle Nazioni e l’ONU.
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Cos’è la neutralità?
È la scelta di non prendere parte in un conflitto armato tra stati sovrani.
Si divide in: occasionale (per una guerra specifica), volontaria a lungo termine (tipica di piccoli stati) e permanente (garantita da accordi internazionali).
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All’inizio del ‘700, Milano langue sotto il dominio spagnolo. Un Impero in declino soffoca la città: economia stagnante, burocrazia asfissiante e risorse drenate per le guerre di Madrid.
Il Ducato è sempre strategico, ma intrappolato in un passato glorioso.
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L’economia milanese è in crisi.
La seta, un tempo vanto, soffre per la concorrenza e i dazi elevati.
Strade inadeguate e fiscalità oppressiva limitano i commerci.
Il Ducato, svuotato di risorse, vive un sottosviluppo che frena il suo potenziale.
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La vita quotidiana a Milano è dura.
Ritmi agricoli e religiosità scandiscono i giorni.
Povertà, criminalità ed epidemie, aggravate da condizioni igieniche precarie, colpiscono la città, che pure conserva un prestigio antico.
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