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Oct 26 21 tweets 3 min read
Allegri ce l'ha fatta: i suoi sono calciatori pensanti. Anche nello spazio di fase più prossimo al pallone, dove non esiste il tempo materiale di elaborare coscientemente la giocata ma solo di effettuarla istintivamente, dove prima si fa e poi si pensa, loro ragionano.
Ragionano sul micromanagement dei gesti tecnici e sui dogmi tattici che lui gli ha trasmesso: non si va all'indietro su un colpo di testa, non si tiene questa postura negli 1vs1, non si usa la suola col marcatore lontano, non si attacca l'avversario a palla scoperta...
non si verticalizza quando ecc.
L'emisfero sinistro domina ogni giocata di questi calciatori: è per questo che hanno paura della palla; è per questo che il gioco della Juve sembra "un rifiuto dell'aspetto ludico del calcio".
Il trionfo del paradigma analitico-razionalista.
Quali strumenti restano in tale paradigma per spiegare gli errori? La concentrazione, la volontà, la motivazione. Abbiamo sbagliato tecnicamente perché non siamo stati abbastanza attenti. Gli avversari non esistono, i loro gol, il loro dominio, "càpitano", "succedono":
"All'andata abbiamo avuto ottime occasioni nella prima mezz'ora, POI C'È STATO questo rigore a fine primo tempo e nel secondo non abbiamo riiniziato male, POI C'È STATO questo gol su una ripartenza, un mezzo contrasto non fatto"; o le famose 4 ripartenze capitate all'Ajax.
Gli avversari sono episodi; ma lo sono anche i compagni, variabili all'interno di enunciati if/then che governano il gioco del calciatore di Allegri. La squadra lavora con questo staff da un anno e mezzo e sembra non essersi mai allenata insieme;
a fare le migliori figure sono sempre quelli che scendono in campo conoscendo ancora a malapena il contesto e i compagni.
Tutto questo è l'esatto contrario di un approccio player-centered, è il contrario della vulgata che vuole Allegri come gestore, come allenatore che delega
alla creatività dei suoi giocatori.
Idealmente, i calciatori sono macchine codificate dall'allenatore, sono carne al servizio dell'allenatore-mente, materia plasmata da un demiurgo. Non ci sono le condizioni affinché la loro autodeterminazione e auto-organizzazione affiorino:
è l'approccio coach-centered.
Un emisfero sinistro domina ogni giocata di questi calciatori: non è nemmeno il loro, ma quello di Allegri.

Non c'è contraddizione tra questo e l'apparente "fate vobis" che si intravvede negli allenamenti di Allegri e si sente raccontare dagli ex:
una libertà incondizionata è una falsa libertà. Se il giocatore non riceve strumenti per elaborare i propri processi in situazioni concrete di gioco, tenderà a ripetere le nozioni astratte impartite dal coach: non si va all'indietro sui colpi di testa, non si usa la suola se ecc.
Da Guardiola fino ai giovani allenatori che escono da Coverciano, provate a chiedere loro cosa significa "libertà" nel calcio: hanno risposto (Guardiola) o risponderanno (gli altri) che la libertà è una continua negoziazione;
è il processo di scoperta, da parte dei giocatori, delle proprie libertà all'interno dei vincoli imposti dagli avversari, dai compagni, dalla situazione di gioco.
Se gli avversari non esistono o sono accidentali, è impossibile esplorare questa dialettica con loro.
Ogni tanto si sentono delle indicazioni da parte di Allegri: "fatela girare", "fate gol", "non prendete altri gol".
Quello che hanno in comune queste indicazioni è che riguardano tutte esiti, non processi.
Farla girare non è un'azione, è il risultato potenziale di processi di attrazione, smarcamento, elusione.
Fare gol non è un'azione, è il risultato potenziale di processi di attrazione, smarcamento... ecc.
Non essendo azioni, urlarle ai giocatori non dà loro niente di actionable.
Siamo ancora in quella falsa libertà dove il giocatore non ha altri strumenti all'infuori di eseguire le righe di codice astratto dettate dall'allenatore.
La libertà autentica, vincolata, negoziata, che è una premessa metodologica nell'approccio player-centered, la base di ogni processo, con l'approccio coach-centered diventa un'esperienza.
A tratti, imprevedibilmente, quando il piano partita è naufragato o divenuto ormai irrilevante, quando sul campo nemmeno sentono più cosa dice il mister o è quest'ultimo ad aver tirato i remi in barca, i giocatori della Juventus esperiscono la libertà.
Non è un caso quello che è successo ieri sera al 75', non è perché il Benfica si era appollaiato, non è solo merito di Iling-Junior.
Non è un caso per tutto quanto scritto sopra; non è un demerito del Benfica perché fino a 10 secondi prima del 4-2 ci stavano flagellando,
continuando a sfiorare il quinto gol con azioni intense e corali; non è solo merito di Iling, che era già in campo da 10' mentre continuavamo a subire gli avversari; e anche tatticamente non avevamo cambiato nulla immediatamente prima di quelle fiammate.
In un intervallo, un tempo morto, un vuoto di potere, la squadra ha fatto esperienza della libertà, dell'auto-organizzazione, dei propri emisferi destri. Capita a tutti ogni tanto. Chi pensa di poterci costruire il prosieguo della stagione, con questo staff, credo si sbagli.
Eccola infine la Juventus DI Allegri, di Allegri manager oltre che allenatore, direttore tecnico oltre che manager, leader oltre che direttore: un sistema che ha fatto della libertà dei suoi abitanti non un valore, ma un'epifania.

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