Oggi parliamo di una #guerra italiana quasi dimenticata. Non ha il fascino strategico della scontro in Nord Africa. Le manca il tragico eroismo del corpo di spedizione in Russia.
È invece la peggio ideata, preparata e condotta di tutto il XX secolo: la Campagna di Grecia.
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82 anni fa, il 28 ottobre 1940 l'esercito italiano invade il regno di Grecia partendo dall'Albania, paese occupato in precedenza come abbiamo descritto qui
Ma perché la Grecia? È una #storia istruttiva che spiega bene come funziona il regime fascista.
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L'entrata in guerra al fianco della Germania il 10 giugno 1940, giusto per partecipare alla fase finale della campagna di Francia, non porta né gloria né le mirabolanti richieste territoriali vagheggiate all'inizio da Mussolini, giusto qualche paesino in Provenza e Savoia.
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Ma anni di propaganda su Potenza e Guerra non potevano essere soddisfatti dalla conquista di Mentone. Il fascismo deve trovare una impresa con cui giustificare una guerra non popolare fra gli italiani. Si preparano piani per la Jugoslavia, si aumentano le truppe in Albania.
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I continui solleciti al Maresciallo Graziani di avanzare in Egitto producono una piccola offensiva fino a Sidi-El-Barrani.
In Africa orientale la conquista del Somaliland britannico in agosto è l'unico vero successo, ma non può riempire da solo i cinegiornali del regime.
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Ad agosto, incassata la contrarietà di Hitler a qualsiasi operazione contro la Jugoslavia, l'obiettivo è alfine deciso: sarà la Grecia, un paese da sempre filobritannico, ma il cui regime dittatoriale fascista si è mantenuto sempre accuratamente neutrale negli ultimi anni.
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E qui inizia un turbinio di decisioni schizofreniche e folli dettate dai contrasti fino all'odio dei vari protagonisti del regime e dell'esercito.
L'idea della Grecia era di Ciano, che già assaporava di allargare il suo feudo personale albanese anche al territorio ellenico.
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Contrarissimi erano Badoglio, allora capo di stato maggiore generale, e Roatta, sottocapo di stato maggiore dell'esercito, che pur si odiavano fra loro. Entusiasta invece il generale Visconti Prasca, comandante delle truppe in Albania e in teoria badogliano, appena promosso.
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Di fronte alla prudenza di Badoglio, che afferma che ci vogliono almeno 20 divisioni per la campagna, Ciano ed il suo luogotenente albanese Jacomoni affermano che la Grecia si arrenderà senza combattere, sono certi da loro fonti che il governo di Metaxas crollerà subito.
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Visconti Prasca è quindi convinto che le 5 divisioni a sua disposizione basteranno, anche se pur complete di organico mancano di buona parte dei mezzi.
Roatta invece fa melina, lesina e ritarda i rinforzi sperando che allungando i tempi di preparazione si cambi idea.
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Non si vogliono aggiungere forze a quelle già presenti nel settore anche perché a quel punto bisognerebbe costituire una armata e ciò comporterebbe promuovere Visconti Prasca, violando regole scritte e non scritte su anzianità e promozioni dell'esercito, oppure sostituirlo.
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A ciò si aggiunge la decisione del sottosegretario alla Guerra e sottocapo di stato maggiore generale, il generale Soddu, di smobilitare oltre la metà degli effettivi dell'esercito, 600k soldati su 1,1 ml., convinto come Mussolini che in fondo la guerra sia già vinta.
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Si arriva così ad ottobre, alle soglie dell'inverno, per attaccare una zona montuosa e fredda come l'Epiro con appena 4 divisioni, ci cui una sola alpina, la Julia, nonostante le informazioni dei nostri servizi e dell'ambasciata di Atene avvertano che i greci sono pronti.
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L'assenso finale di Mussolini per l'invasione arriva quando Hitler occupa parzialmente la Romania a difesa dei pozzi petroliferi.
«Hitler mi mette sempre di fronte al fatto compiuto. Questa volta lo pago della stessa moneta: saprà dai giornali che ho occupato la Grecia.»
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L'avanzata è tutt'altro che la "passeggiata" preconizzata da Ciano a Mussolini. I greci si difendono, e bene. Mobilitano oltre mezzo milione di soldati, tutti destinati al fronte albanese quando vedono che la Bulgaria non interviene, cosa che già si sapeva a Roma.
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Solo la divisione alpina Julia, l'unica equipaggiata per una guerra di montagna invernale, riesce a sfondare ma viene presto circondata e costretta a ripiegare con gravi perdite.
Ai primi di novembre la situazione è già compromessa, si è sulla difensiva su tutto il fronte.
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Di fronte all'insuccesso Mussolini cerca subito un colpevole.
«Ogni uomo compie nella sua vita l’errore fatale. E l’ho compiuto anch’io quando ho prestato fede al Generale Visconti Prasca. (...) È il materiale umano con cui lavoro che non serve, che non vale».
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Sostituito Visconti Prasca con Soddu i risultati però continuano ad essere pessimi nonostante i rinforzi inizino ad arrivare e si costituiscano ben due armate. La controffensiva greca del 14 novembre penetra nel sud dell'Albania e viene fermata solo a fine dicembre.
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Il 23 novembre il gerarca Farinacci pubblica un articolo attaccando lo Stato Maggiore per l'andamento della Campagna di Grecia. Badoglio chiede una smentita a Mussolini, inviandogli le sue dimissioni convinto che vengano respinte.
Mussolini invece le accetta.
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Anche Soddu viene silurato a fine dicembre. Il suo tentativo di ergersi di fronte a Mussolini a "salvatore della patria" per raggiungere il maresciallato fallisce rovinosamente. Al suo posto Cavallero, già sostituto di Badoglio come capo di stato maggiore generale.
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Stabilizzato finalmente il fronte e rinsanguate per quanto possibile le due armate albanesi, Mussolini spinge per tornare all'attacco. È l'offensiva di Marzo a cui il Duce assiste di persona. E di persona vede la stessa fermarsi dopo poche ore, nemmeno giorni.
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Ulteriori infruttuosi e sanguinosi assalti continuano per tutto il mese, finché il colpo di stato in Jugoslavia fa intervenire i tedeschi nei Balcani.
È la fine di ogni sogno fascista di "guerra parallela". D'ora in poi saremo solo gli "alleati di complemento" di Hitler.
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Cosa ci dice la storia economica riguardo la decisione cinese di smobilizzare le sue riserve investite in titoli di stato USA?
Che un sistema finanziario/commerciale è arrivato al termine e che probabilmente Trump non è matto come sembra.
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La logica del commercio internazionale è basata su un concetto semplice, che poi alla fine è comune alla vita di tutti i giorni: se una nazione importa dei beni o li paga esportando altri beni, o li paga vendendo delle attività, o si segna a debito.
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La prima opzione è banale: paghi i beni importati con quello che ricavi da quelli esportati, non devi chiedere niente a nessuno e sono tutti felici. Un po' come tu paghi la spesa con lo stipendio derivante dal tuo lavoro.
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Neutralità e Pacifismo vengono spesso confusi, ad arte o per ignoranza.
Ma la neutralità ha plasmato la storia mondiale per 500 anni, sfidando imperi e guerre.
Lo storico Leos Müller rivela in questo suo libro come la Neutralità ha influenzato l’ordine internazionale.
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Müller offre 4 ragioni per studiare la neutralità:
- ha forgiato l’ordine mondiale moderno;
- promosso il libero scambio;
- sostenuto l’economia di piccoli stati;
- dato vita al diritto internazionale, influenzando organizzazioni come la Società delle Nazioni e l’ONU.
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Cos’è la neutralità?
È la scelta di non prendere parte in un conflitto armato tra stati sovrani.
Si divide in: occasionale (per una guerra specifica), volontaria a lungo termine (tipica di piccoli stati) e permanente (garantita da accordi internazionali).
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All’inizio del ‘700, Milano langue sotto il dominio spagnolo. Un Impero in declino soffoca la città: economia stagnante, burocrazia asfissiante e risorse drenate per le guerre di Madrid.
Il Ducato è sempre strategico, ma intrappolato in un passato glorioso.
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L’economia milanese è in crisi.
La seta, un tempo vanto, soffre per la concorrenza e i dazi elevati.
Strade inadeguate e fiscalità oppressiva limitano i commerci.
Il Ducato, svuotato di risorse, vive un sottosviluppo che frena il suo potenziale.
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La vita quotidiana a Milano è dura.
Ritmi agricoli e religiosità scandiscono i giorni.
Povertà, criminalità ed epidemie, aggravate da condizioni igieniche precarie, colpiscono la città, che pure conserva un prestigio antico.
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Il 26 luglio 1847 nasce la Liberia, la prima repubblica del continente africano, ma anche uno degli esempi "classici" di settler colonialism (colonialismo di insediamento) che, come vedrete, fornirà vari spunti a quelli successivi, compreso quello in Palestina.
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Nel 1816 viene fondata dal rev. Robert Finley la American Colonization Society con lo scopo di supportare l'emigrazione di persone di colore dagli USA in Africa, come alternativa rispetto all'abolizione della schiavitù ed alla concessione dei diritti agli ex-schiavi.
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Criticata dagli abolizionisti, la società viene però finanziata da molti filantropi sostenitori del movimento Back to Africa e persino, con 100mila $ di allora, dal Congresso stesso, desideroso di limitare il problema dei "negri" liberi che "rubano" il lavoro ai bianchi.
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Allora, senza fare la brutta copia di Wikipedia, dove potete andare a leggervi tutto il suo svolgimento, della Guerra dei Sette anni, durata appunto dal 1756 al 1763, si può dire che fu il vero punto di svolta dal periodo moderno a quello contemporaneo.
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La guerra fu in realtà la somma di due diversi conflitti.
Il primo era quello fra Regno Unito e Francia per l'egemonia coloniale sui continenti nordamericano e indiano.
Il secondo era quello fra Impero Asburgico e Regno di Prussia sull'egemonia nell'Europa Centrale.
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Il risultato finale fu il successo britannico, che dette a quella nazione l'egemonia sulla globalizzazione coloniale fino al 1945, anche se vedremo che non rimase immune agli effetti che questo conflitto ebbe sulle società europee, uscite tutte stremate dallo sforzo bellico.
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Il fascismo non è stato solo un movimento politico che ha imposto un regime autoritario.
È stato un vero e proprio culto, una religione civile totalitaria in cui l'italiano poteva trovare una nuova dimensione collettiva nazionale.
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Lo storico Emilio Gentile, ne Il Culto del Littorio, ci guida in un viaggio nella politica fascista come religione civile.
Il fascismo non si limita a controllare, ma ambisce a creare una fede laica, con miti, riti e simboli.
È una storia di come lo Stato diventa sacro.
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il processo di secolarizzazione iniziato con l'Illuminismo e la Rivoluzione francese non ha comportato una semplice separazione tra politica e religione, ma anche una trasformazione del politico che ha assunto caratteristiche proprie della dimensione religiosa.
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