Dottoressa in Medicina e Chirurgia con la votazione di 110 e lode accademica.
WOW, sono felicissima. Me lo sono meritato, dai.
Il percorso è stato difficile, ma quella sfilza di trenta e lode alla fine mi hanno fatta sentire orgogliosa di me stessa.
Ci sono tutti i miei cari nell'aula magna del rettorato dell'università di Messina.
Papà Enzo, mamma Cinzia, mia sorella Danila e i miei fratelli, Carmelo e Giuseppe, il piccolino, di sei anni.
E naturalmente la mia grandissima amica e collega Vittoria.
Ho sognato questo giorno fin da bambina.
Da piccola volevo diventare ginecologa, sapete?
Dopo il liceo scientifico ad Agrigento avevo tentato per due anni i test per entrare a Medicina. Inutilmente.
Ma io ero testarda.
E al terzo tentativo c’ero riuscita.
E così mi ero iscritta all’Università di Messina.
E’ stata dura, ma in tutti questi anni sono state tante le soddisfazioni e gli attestati di stima da parte dei miei professori. Fino all’atto finale.
Oggi, in questo giorno di ottobre del 2020.
Difficile e complessa è stata la mia tesi. "Immunodeficienze selettive: la candidiasi mucocutanea cronica”.
Se da piccola volevo diventare ginecologa, col tempo il mio sogno era diventare pediatra.
Magari al mio paese d’origine, nei pressi di Agrigento, per occuparmi dei bambini
E qui finisce il racconto in prima persona.
Lorena Quaranta, questo il suo nome, non potrà occuparsi dei bambini.
Non potrà mai soddisfare quel sogno.
E neppure tutti i sogni che può avere una ragazza di ventisette anni.
Lo ha detto bene il rettore alla consegna della pergamena.
“La proclamiamo Dottoressa in Medicina e chirurgia con la votazione di 110/110 e lode accademica. Auguri Dottoressa Lorena Quaranta, ovunque tu sia”.
Già, “ovunque tu sia”.
Perché quel giorno di ottobre del 2020 Lorena Quaranta, in quell’aula magna, non c’era.
Pochi mesi prima, il 31 marzo 2020, in pieno lockdown, il suo fidanzato le aveva tolto la vita nella loro casa, a Furci Siculo (Me).
Venti giorni prima, l’11 marzo, Lorena aveva pubblicato sulla sua pagina Facebook questo post.
“Ora più che mai bisogna dimostrare Responsabilità e AMORE PER LA VITA. Abbiate RISPETTO di voi stessi, delle vostre Famiglie e del vostro Paese”.
“E ricordatevi di coloro che sono quotidianamente in corsia per curare i nostri malati.
Rimaniamo uniti, ognuno nella propria CASA.
Evitiamo che il prossimo malato possa essere un nostro caro o noi stessi”.
"Con tanti sacrifici e determinazione sei arrivata al tuo traguardo, che adesso dovrai portare avanti con un'altra missione: quella di prenderti cura di noi in eterno con il tuo immenso amore ".
(I genitori, la sorella Danila e i fratelli Carmelo e Giuseppe)
25 Novembre. Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. #NoAllaViolenzaSulleDonne
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Grazie a Johannes ho potuto ascoltare Joan Baez cantare quella canzone al Festival di Woodstock, nel 1969.
Un testo scritto nel 1925 dal giovane poeta americano Alfred Hayes.
Qualche anno dopo, Earl Robinson, adattò quel testo a una musica composta da lui.
“Stanotte ho sognato che ho visto Joe Hill /
Vivo come te e come me /
Dico: «Ma Joe, tu sei morto da dieci anni» /
«Non sono mai morto» fa lui /
«Non sono mai morto» fa lui ”.
In questo modo smise di essere una poesia per diventare una stupenda poesia in musica.
Per questo Joan Baez ama cantare questa canzone.
Molti ignorano che Joe Hill non è una persona inventata, non è il prodotto di una fantasia, ma un uomo in carne e ossa, realmente vissuto.
Come lo so?
Lo so perché sono io.
Come dite?
Thread 2/2 Ultimo
Ieri sera Johannes vi ha raccontato la mia storia. Quella di Carlo Edoardo Stuart, pretendente al trono d’Inghilterra, Scozia e Irlanda.
Il mio tentativo di riconquistare il trono e l'arrivo con 4.000 uomini a sole 90 miglia da Londra.
E quel dilemma.
Il popolo inglese sarebbe insorto in appoggio al mio tentativo?
Gli aiuti promessi dalla Francia non erano arrivati e mentre ero eccitato per l’impresa, i miei ufficiali andavano ripetendo che attaccare una città come Londra in quelle condizioni era un’autentica pazzia.
Non restava che ritirarsi tra le montagne della Scozia attendendo gli uomini del duca di Cumberland.
Furioso, attaccai il mio fedele ufficiale Murrey.
Lo chiamai traditore e gli rammentai che in qualità di principe reggente di Scozia, Inghilterra e Irlanda mi doveva obbedienza.
Thread 1/2
Fu il ministro francese Choiseul, in una notte del 1759, a trovarmi riverso in una strada di Parigi ubriaco fradicio, mentre invocavo a gran voce un’armata per marciare su Londra.
Se state pensando al solito sbronzo delirante, vi sbagliate.
Non ero un ubriaco qualsiasi
Mi chiamo Carlo Edoardo Stuart, ultimo pretendente al trono d’Inghilterra, Scozia e Irlanda.
Solo quindici anni prima popolare in tutta Europa come uno dei principi più belli, più romantici e più cavallereschi di quei tempi.
Ora la persona più odiata dai potenti d’Europa.
Per loro ormai un essere importuno, con quelle mie pretese e mie assurde rivendicazioni.
Per questo, pur avendo solo quarant’anni, nemmeno le donne mi volevano più.
Certo, avere una gamba con una piaga che puzzava non aiutava.
E forse anche il fatto di bere come una spugna.
I francesi mi battezzarono “la rana umana”.
Era il minimo dopo l'impresa che avevo compiuto.
Eppure non era stato facile, anzi.
Fu un percorso difficile, iniziato durante la mia infanzia.
Visto che mi avete dimenticato, forse è il caso di raccontarvi la storia della mia vita.
Mi chiamo Raymond "Ray" Clarence Ewry e sono nato a Lafayette, una città statunitense situata nello stato dell'Indiana, il 14 ottobre 1873.
Avevo 11 anni quando la poliomielite rischiò di farmi rimanere sulla sedia a rotelle per tutta la vita.
Fu tremendo quando i medici mi dissero che non avrei più camminato.
Voi non sapete quanto siete fortunati per aver debellato, grazie ai vaccini, questa terribile malattia.
Per me invece iniziò un incubo.
Orfano, con quel fardello da portare sulle spalle.
Non mi persi d’animo
Alcuni giorni fa Johannes ha dato voce ad Alexander Selkirk, il pirata la cui storia, secondo alcuni, è la stessa raccontata da me nel libro “Robinson Crusoe”.
Non è così.
Per cui ritengo giusto portare alla vostra conoscenza la mia versione.
E’ vero, andai da Alexander per sentire dalla sua voce quella storia che girava ormai da anni.
I suoi quattro anni e quattro mesi passati sull’isola Juan Fernández.
Il mio Robinson è quindi Alexander Selkirk?
Una definizione avventata, e in quanto tale, assolutamente inesatta.
Come avrete capito mi chiamo Daniel Defoe.
E vi farò una confessione.
Dalla vicenda di Alexander, che avevo conosciuto attraverso gli scritti di Rogers e dello Steele, e approfondita durante l’incontro con lo stesso Alexander, ho preso solo lo spunto.
Nulla più.
«Troppo piccola» mi dissero.
«Non possiedi i giusti parametri fisici per giocare ad alto livello. Non potrai mai giocare in Nazionale».
Io non capivo.
Amavo quello sport. Avevo cominciato a giocarci a dieci anni e dopo soli tre anni avevo esordito nel campionato nazionale.
Nel campionato nazionale riservato alla mia categoria? A quelle della mia età?
No, proprio nel campionato nazionale cubano di pallavolo femminile.
Niente male per una di 13 anni.
Ero piccola, è vero, rispetto alle altre, ma volevo giocare in Nazionale.Lo volevo con tutto il cuore
Se sei piccola e vuoi giocare a pallavolo ad alto livello non sono molte le possibilità.
Scelsi la più difficile, la più complicata.
Salto dopo salto, saltare il più in alto possibile.
E da lassù farmi notare. Ci riuscii.
E a 15 anni il mio esordio in Nazionale.