Thread by @maarchiaar

#25novembre: thread lungo.

Fra le mille questioni che si possono discutere oggi, ne scelgo una sola.

Non ci può essere lotta alla violenza patriarcale sulle donne senza un'educazione alla violenza.
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Non ci può essere lotta alla violenza patriarcale sulle donne senza un'educazione alla violenza, intesa come una formazione di tipo cognitivo e pedagogico volta a riconoscere il dominio maschile e patriarcale nelle trame del quotidiano.
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Questa educazione è rivolta alle donne, per imparare a difendersi, ma soprattutto agli uomini, per imparare a vederla.
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Quando dico "uomo" e "donna", intendo persone socializzate come talicioè cresciute ed educate entro una serie di norme e aspettative che determinano non solo i loro comportamenti, ma soprattutto le loro categorie cognitive.
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Il dramma è qui: non ci può essere lotta alla violenza senza riconoscimento e consapevolezza di ciò che Bourdieu ha dettagliatamente descritto come dominio maschile. Eppure, questo dominio è ancora invisibile ai (e alle) più.
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Se da un lato le (spesso discutibili, sicuramente insufficienti) politiche volte a raggiungere una parità di genere almeno formale hanno prodotto qualche risultato,
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dall'altro proprio questa consapevolezza di un certo miglioramento della condizione femminile nelle democrazie liberali attraverso i decenni contribuisce ad oscurare la percezione del dominio maschile,
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grazie a una retorica che sottolinea il passaggio dalla superiorità maschile come ordine naturale delle cose alla parità fra generi come data per raggiunta e scontata.
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Si pensa, come diceva una persona con cui parlavo qualche giorno fa, che le "pozze" di disparità che si osservino di frequente siano o il prodotto di conservatorismo politico-culturale, oppure una conseguenza di qualche meccanismo della psicologia evoluzionistica.
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Che le esplosioni di violenza drammaticamente frequenti (solo in Italia, da inizio 2022 ci sono stati 52 femminicidi) siano sostanzialmente eccezioni, anziché logiche conseguenze di un equilibrio di poteri onnipresente. Ma non è così.
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Agli uomini serve quanto di più vicino possibile all'esperienza in prima persona per comprendere la violenza patriarcale che le donne subiscono ogni giorno, entro un ampio spettro di possibile gravità.
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Serve un'amica, una partner, una sorella, una madre, dunque una persona *credibile*, che abbia *sufficiente autorevolezza* ad essere creduta, che li prenda per la manina e, pazientemente, riviva per l'ennesima volta i traumi più o meno piccoli vissuti ed esperiti,
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affinché il compagno maschio possa saggiarne la drammaticità e fare il necessario sforzo di immedesimazione necessario a credere alle nostre sorelle. Non ci si sposta, dunque, dall'esperienza maschile come metro di tutte le cose.
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I più bendisposti e volenterosi fra gli uomini con cui ho condiviso la mia esperienza personale, che è in larga parte esperienza collettiva e condivisa, hanno detto "non pensavo", "non credevo", "non me lo aspettavo", "non l'avevo mai visto".
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Eppure le donne scrivono di queste dinamiche da svariati decenni. Senza metterne in dubbio la buona fede, e pur ringraziando per il supporto importante che ho ricevuto, non riesco quindi a non vedere la problematicità di questi pattern.
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Bisogna ripartire da qui, dunque, con un'educazione alla violenza che si discosti radicalmente dal modello di immedesimazione ed empatia, un modello sostanzialmente privato.
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Serve un'educazione basata sul riconoscimento di pattern sociali e relazionali, che smetta di avere bisogno della prossimità per risvegliarsi. Questo per un motivo molto semplice: quello che accade a tutte, e dico tutte, tutti, e dico tutti, i giorni, a voi non accadrà mai.
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Ci vediamo domani in piazza.

18/FINE