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Mar 30 25 tweets 4 min read Twitter logo Read on Twitter
Parola d’ordine dopo il terremoto: NECESSITÀ ED URGENZA. E niente gare.
Ricostruire, e alla svelta.
Il politico può indossare i panni del progettista e disegnare una strada, poi indossare i panni dell’amministratore e approvarla.
Infine diventare collaudatore e certificarla.
Giugno 1990.
Palazzo San Macuto è la sede della commissione d’inchiesta presieduta da Scalfaro.
Oggi è un giorno particolare.
È stato convocato da Scalfaro Elveno Pastorelli da tre anni commissario straordinario per la ricostruzione.
Nei mesi precedenti sono stati ascoltati Misasi (ministro del Mezzogiorno) e Vito Lattanzio (Protezione civile).
Tutti tendono a minimizzare, a dire che le cose stanno andando bene.
Certo, con qualche ritardo, ma secondo loro tutto va a meraviglia.
Dello stesso parere anche il commissario per la ricostruzione nel capoluogo campano Marco Linguiti. Così pure Giuseppe Zamberletti e Vincenzo Scotti. Tutto procede regolarmente.
A parte le migliaia di persone che si trovano ancora nei container naturalmente.
Anche Monorchio (ragioniere dello Stato) ha voluto dire la sua.
Ha descritto però una situazione fuori controllo, l’unica voce fuori dal coro.
Oggi, dicevo, è un giorno particolare.
Dopo mesi è stata convocato Elveno Pastorelli, commissario straordinario per la ricostruzione.
Il motivo della convocazione?
Un certo Gianfranco Finco.
Ma chi è?
Gianfranco Finco è un piccolo imprenditore veneto, titolare della Sae, un’azienda di Cadòneghe in provincia di Padova che da anni produce applicazioni elettriche e meccaniche.
Nel febbraio 1987 ha firmato un contratto di fornitura con un’azienda che, attraverso finanziamenti pubblici, doveva costruire uno stabilimento a Oliveto Citra (Salerno).
Ha già fornito materiale per un miliardo e 200 milioni. Di questi solo 600 milioni gli sono stati pagati.
È arrabbiato, molto arrabbiato e vuole il resto dei soldi.
A Scalfaro racconta tutto, sparando a zero contro l’ufficio speciale di Pastorelli.
I 600 milioni gli sono dovuti dalla ditta Castelruggiano, nata per l’imbottigliamento del vino.
Sei mesi prima Pastorelli aveva autorizzato un altro finanziamento per sei miliardi, ma del vino ancora nessuna traccia.
Scalfaro è indignato: “chi ha autorizzato questi sei miliardi?
E quale commissione lo ha certificato?”.
Finco è un fiume in piena.
Dice: “l’Amministratore delegato della Castelruggiano è solito incontrare i componenti della commissione in alberghi lussuosi.
Ai piccoli consegna orologi Cartier, Rolex e brillanti, mentre ai pezzi grossi i soldi vengono dirottati e poi ritirati in un convento”.
E prosegue:” ho scritto diverse volte a Pastorelli denunciando queste cose senza mai ricevere risposta”.
Scalfaro vuole vederci chiaro e convoca il primo proprietario della Castelruggiano.
È un comasco e si chiama Paolo Marzorati.
Dichiara di aver venduto quasi subito l’azienda (valore circa 13 miliardi di lire) per soli 400 milioni. Perché, dice, lui preferisce vivere.
Facciamo un passo indietro allora.
A quando tutto è iniziato.
Il comasco Paolo Marzorati è venuto a sapere che lo Stato praticamente regala soldi a chi voglia impiantare nelle zone terremotate uno stabilimento industriale.
Per questo è fiondato a Roma ottenendo in breve un finanziamento di 21 miliardi di lire a fondo perduto.
Dopo aver preso il 60% dei soldi gli viene “caldamente raccomandato” dall’Agensud un direttore dei lavori, tale architetto Luigi Pirovano, comasco pure lui
E’ laureato da poco, ma sta ottenendo la direzione di molti lavori nelle zone terremotate.
A quanto ammonta la sua parcella?
Solo per la Castelruggiano vuole settecento milioni di lire.
Lo chiamano “l’angelo del cratere” perché è solito arrivare in elicottero agli incontri con sindaci e amministratori.
Pirovano “propone” a Marzorati di utilizzare la Precompressi Quaranta di Caserta per la costruzione.
La Precompressi Quaranta di Caserta è un’impresa che non dispone nemmeno di una gru, ma solo di corde e carrucole.
Chiaro che i lavori proseguono a rilento e poco dopo i finanziamenti vengono sospesi.
Senza questi soldi Marzorati capisce che si sta mettendo in guai seri.
Decide così di liberarsi dell’azienda.
C'è chi non aspetta altro, poiché il sistema è proprio questo.
Si assegna un finanziamento a un imprenditore (spesso del nord), i lavori non partono, il finanziamento viene interrotto, l’imprenditore va in difficoltà e deve vendere l’azienda
Marzorati dice di aver venduto la Castelruggiano per soli 400 milioni a un certo De Dominicis Fausto di Pescara.
400 milioni per un’azienda che vale circa 13 miliardi. Ma chi è questo De Dominicis dal nome aristocratico?
Non ci vuole molto a scoprirlo.
Il vice Presidente della Commissione, On. Giovanni Correnti, comunista, ha appena controllato. Comincia col leggere la relazione che la commissione di controllo ha scritto a proposito del cambio di proprietà della Castelruggiano.
La Commissione certifica che…
“Il profilo del socio subentrato appare positivo dal punto di vista patrimoniale e imprenditoriale”.
Scritto nero su bianco.
A cosa corrisponde quel profilo positivo?
Correnti controlla e non crede ai suoi occhi.
Quel profilo corrisponde ad un nullatenente.
De Dominicis risulta protestato dal 1972.
Non ha una partita Iva e non presenta dichiarazioni dei redditi dal 1970.
Risulta titolare della “Fadedo” che, stando al “Registro Anagrafico delle Ditte della Camera di Commercio”, mai entrata in attività.
La sede risulta in un pollaio.
Il primo proprietario, Paolo Marzorati, aveva in progetto di imbottigliare 63 milioni di bottiglie di vino.
Da quella fabbrica non uscì una sola bottiglia. Uscirono dalle tasche degli italiani solo un bel po’ di miliardi di lire.
Come sempre, quando non ci sono controlli.
Gli sperperi di denaro pubblico post terremoto dell’Irpinia sono ormai entrati nella storia di questo Paese.
Una brutta storia, riassunta in numerosi volumi di documentazione presentata al Parlamento il 5 febbraio 1991 da una commissione d’inchiesta presieduta da Scalfaro. Image
La commissione aveva il compito di verificare l’ammontare dei finanziamenti, lo stato di avanzamento dei lavori, le modalità e l’impatto ambientale e territoriale.
Sull’impatto territoriale i tecnici del servizio Impatto ambientale del Ministero dell’Ambiente parlarono chiaro.
“La scelta dei tracciati dove ricostruire case, industrie e strade è avvenuta indipendentemente dalle condizioni geomorfologiche, geologiche e geotecniche dei terreni, in assoluta assenza di criteri progettuali”.

Parola d’ordine: NECESSITÀ ED URGENZA.
Alla prossima.

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