#MdT 10/10/1928 - Palazzo Chigi. Riunione dei direttori dei giornali. Mussolini delinea la funzione e i compiti della stampa.
#MdT 10/10/1928 - Accolto da vibranti ovazioni, Mussolini ha pronunciato il seguente discorso.
10 ottobre 1928 – Discorso di Mussolini ai 70 direttori dei giornali.
“Voi vi rendete conto che non poteva avvenire prima, perché solo dal gennaio del 1925, e più specialmente in questi ultimi due anni, è stato approntato e risolto quasi completamente il problema della stampa”.
Perché Mussolini dice che solo dal gennaio del 1925, e più specialmente negli ultimi due anni, è stato approntato e risolto quasi completamente il problema della stampa?
In attesa di fare anche cose buone, come aveva risolto Mussolini il problema della stampa?
Proseguo col discorso ai 70 direttori di giornali del 10 ottobre 1928.
Nell’immagine che troverete sotto i tweet, potete leggere cosa accadde nel gennaio 1925.
Perché lui il problema della stampa l’aveva risolto veramente.
10 ottobre 1928 – Discorso di Mussolini ai 70 direttori dei giornali.
"Le accuse sulla soffocazione della libertà di stampa, non hanno più credito alcuno. La stampa più libera del mondo intero è la stampa italiana. Il giornalismo italiano è libero perché serve soltanto una causa”
10 ottobre 1928 – Discorso di Mussolini ai 70 direttori dei giornali.
“Non servono il regime coloro i quali non tengono la misura della dignità di fronte agli stranieri, sia quando sono ospiti dell’Italia, sia quando esprimono giudizi sul Regime, su Mussolini.”
10 ottobre 1928 – Discorso di Mussolini ai 70 direttori dei giornali.
“In un regime totalitario, come dev’essere necessariamente un regime sorto da una rivoluzione trionfante, la stampa è un elemento di questo regime, una forza al servizio di questo regime”
10 ottobre 1928 – Discorso di Mussolini ai 70 direttori dei giornali.
"Io considero il giornalismo italiano fascista come un’orchestra. Il “la” è comune. E questo “la” non è dato dal Governo attraverso i suoi Uffici Stampa, sotto la specie dell’ispirazione e della suggestione"
10 ottobre 1928 – Discorso di Mussolini ai 70 direttori dei giornali.
"è un “la” che il giornalismo fascista dà a sé stesso. Egli sa come deve servire il regime. La parola d’ordine egli non l’attende giorno per giorno. Egli l’ha nella sua coscienza".
10 ottobre 1928 – Discorso di Mussolini ai 70 direttori dei giornali.
“La stampa nazionale, regionale e provinciale deve servire il Regime illustrandone l’opera quotidiana, creando e mantenendo un ambiente di consenso intorno a quest’opera”
10 ottobre 1928 – Discorso di Mussolini ai 70 direttori dei giornali
”Occorre per questo che la stampa sia vigile, pronta, modernamente attrezzata; con uomini che sappiano polemizzare con gli avversari di oltre frontiera, con uomini, soprattutto, che siano mossi, da fini ideali”
MdT 10/10/1928 - "Mi auguro che quando vi convocherò nuovamente, io sia in grado di constatare che avete sempre più fermamente e fieramente servito la causa della Rivoluzione".
#MdT 01/01/1926 - Entra in vigore la Legge sulla Stampa.
I giornali possono essere diretti, scritti, stampati solo se hanno un responsabile riconosciuto dal prefetto.
Quel giorno non usciranno 58 giornali, 149 per iodici, e migliaia e migliaia di opuscoli, manifesti e libri.
“E poi misero i loro uomini a gestire l’informazione. Un’informazione al servizio della tirannide.
Si parlava sempre del Capo, dei collaboratori del Capo, della moglie del Capo.
E poi del Capo quando inaugurava una centrale elettrica, del Capo tra le masse contadine".
#MdT 07/03/1923 - "Quando mancasse il consenso c'è la forza. Per tutti i provvedimenti anche i più duri che il Governo prenderà, metteremo i cittadini davanti a questo dilemma: o accettarli per alto spirito di patriottismo o subirli"
(Benito Mussolini)
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Come anticipato nel thread di ieri sera, che potete leggere nel link sotto, mi chiamo Michail Illarionovič Goleniščev Kutuzov.
Vi stavo raccontando che mi trovavo col mio esercito nel villaggio di Borodino pronto ad affrontare l’esercito di Napoleone. bit.ly/4j4VsUB
Era un bel colpo d’occhio vedere i miei uomini schierati di fronte all’esercito francese lungo tutte le colline.
Con quei bei cannoni tutti neri.
Il morale alto.
Pronto a difendere la Santa Russia e "le mogli e i figli".
Il primo sparo?
Alle sei di mattina del 7 settembre 1812.
La forza della cavalleria francese era come un bulldozer.
Resistemmo fino all’impossibile.
Non ci voleva proprio il ferimento del principe Ivanovič Bragation che guidava l’ala sinistra, la mia seconda armata.
Un durissimo colpo
(Bragation morirà il 12 settembre)
“La scaltra volpe del Nord” mi definiva.
Che carino.
Mai ricambiato.
Per me lui rimaneva sempre “quel vecchio rapinatore”.
Altri mi definivano un essere pigro, capriccioso e insopportabile.
Ambizioso e donnaiolo.
Non so.
Troppi difetti per un uomo solo.
Io ero molto altro.
Sono nato a San Pietroburgo, capitale dell’Impero russo, nella notte del 16 settembre 1745.
Mia madre era una Beklemishevy, una famiglia nobile.
Morì quando ero ancora piccolo, dopo aver partorito altri due figli.
Mi crebbe nonna.
Mio padre, Ilario Matveevich, aveva servito lo zar Pietro il Grande combattendo contro i turchi.
Fu lui a portarmi a corte per conoscere la zarina Elisabetta.
Con strane abitudini.
Usciva dalla stanza solo la domenica e viveva di notte circondata da poeti, cantanti e amanti.
Ieri Johannes ha dato voce ad Alexander Selkirk, il pirata la cui storia, secondo alcuni, è la stessa raccontata da me nel libro “Robinson Crusoe”.
(Leggete qui )
Non è così.
Per cui ritengo giusto portare alla vostra conoscenza la mia versione. bit.ly/4k5qo81
E’ vero, andai da Alexander per sentire dalla sua voce quella storia che girava ormai da anni.
I suoi quattro anni e quattro mesi passati sull’isola Juan Fernández.
Il mio Robinson è quindi Alexander Selkirk?
Una definizione avventata, e in quanto tale, assolutamente inesatta.
Come avrete capito mi chiamo Daniel Defoe.
E vi farò una confessione.
Dalla vicenda di Alexander, che avevo conosciuto attraverso gli scritti di Rogers e dello Steele, e approfondita durante l’incontro con lo stesso Alexander, ho preso solo lo spunto.
Nulla più.
Fui sicuramente uno dei primi a leggere quel romanzo, uscito esattamente il 25 aprile 1719.
E non potei fare a meno di rilevare un sacco di inesattezze.
Per me era chiaro.
Quello che lo aveva scritto non aveva mai vissuto ai tropici.
C’erano un sacco di errori e imprecisioni.
Come quel personaggio inseguito dai selvaggi che non sapeva nuotare.
Assurdo.
E cosa dire del protagonista che, in un’isola del Sudamerica, si era messo a costruire una palizzata per proteggersi dalle bestie feroci?
Altra assurdità.
E poi foche, pinguini, alle foci dell’Orinoco.
A quei tempi ero sottotenente sulla nave Weymouth della marina di S.M. britannica.
Non mi intendevo di cose letterarie, avevo letto si e no la Bibbia, ma in quel caso avevo diritto più di chiunque altro di esprimere la mia opinione.
Perché il protagonista di quel libro, ero io.
E' il 7 luglio 1929.
A Roma, allo Stadio Nazionale del PNF, si assegna il campionato di calcio, ultimo campionato a gironi.
Se lo contendono il Bologna e il Torino. 3-1 all’andata per il Bologna, 1-0 per il Torino al ritorno.
Niente differenza reti all’epoca.
E’ spareggio.
Sinceramente a me interessava poco quella partita.
Non fosse altro per i miei 10 anni.
Con i miei amichetti avevo deciso di andare all’Adda a fare il bagno.
Noi ragazzi poveri di Cassano d’Adda ci divertivamo così, malgrado fossimo a conoscenza della pericolosità del fiume.
Con noi portavamo sempre il “Ciapìn”, ferro di cavallo, un ragazzino di sei anni chiamato così perché portava fortuna.
Avevamo tutti un nomignolo.
Io ero il “Tulèn”, perché prendevo a calci tutto quel che trovavo per strada, pallone di stracci o barattoli di latta.
“Morire sì, tocca a tutti prima o poi.
Ma morire così: schernito, umiliato, con il marchio di criminale e vecchio libidinoso.
Mi avessero detto prima di nascere che sarebbe finita così, avrei senz’altro declinato l’invito: no grazie, avanti un altro. Io aspetto tempi migliori…”
Oggi è il 2 giugno del 1942.
E sono 77.
I giorni passati in cella dopo la condanna, intendo.
E Irene?
Non ho sue notizie dal giorno della sentenza.
Ho saputo che è rinchiusa in un carcere femminile di massima sicurezza, insieme a ladre, assassine, prostitute e comuni criminali.
Chissà se è vero che la testa continua a vivere per qualche tempo, dopo che è stata tagliata dal corpo.
Perché sto per essere ghigliottinato?
Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?
Niente.
Ma è una lunga storia.
Iniziata nel 1932.