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Jul 20, 2023 25 tweets 7 min read Read on X
Due giorni fa vi ho raccontato la storia di Timoclea che uccise il suo stupratore gettandolo in un pozzo.
Il gesto fu ben rappresentato nel 1659 da una incredibile pittrice, Elisabetta Sirani.
Il quadro si intitola: ” Timoclea uccide il capitano di Alessandro Magno” Image
Ho concluso con “Elisabetta Sirani, nata a Bologna nel 1638.
Morta a soli 27 anni.
Uccisa da una peritonite?
Da una domestica?
Da una sua allieva?
Da suo padre?
Nessuno lo sa con certezza.
Ma questa, è un’altra storia”.
Ed eccola la storia. Image
Come detto Elisabetta Sirani nacque Bologna nel 1638.
Il padre si chiamava Giovanni Andrea Sirani celebre pittore bolognese.
Mamma Margherita oltre ad Elisabetta, aveva avuto altri tre figlioli.
Barbara, Anna Maria, ed Antonio Maria.
Quest’ultimo studiò medicina.
Mentre le femmine alla scuola del padre.
Elisabetta che era la più grande ben presto iniziò a dipingere superando il maestro, suo padre.
Come raccontato nel thread su Timoclea, Elisabetta morì nel 1665, a soli 27 anni.
Malgrado la giovane età ha lasciato moltissimi quadri.
È incredibile come in così pochi anni abbia lasciato così tanti lavori.
Nel 1657, a soli 18 anni, Elisabetta vinse un prestigioso concorso destinato a commissionarle un dipinto sul battesimo di Cristo, per la Chiesa di San Girolamo della Certosa.
Quel “Battesimo di Nostro Signore”, concluso in un anno e con un compenso di mille lire, rimarrà l’unico capolavoro di grandi dimensioni (450×350 cm).
È ubicato nella Chiesa di San Girolamo della Certosa a Bologna. Image
La particolarità artistica di Elisabetta Sirani stava nella sua rapidità di esecuzione dei lavori.
Tutti andavano a visitarla e a guardarla mentre dipingeva anche per verificare che fosse veramente lei l’autrice di quei quadri.
Come poteva una donna dipingere in quel modo? Image
“Andavano a vederla, quasi fosse un miracolo della natura, le illustri persone di quella età. Vi andò Cosimo de' Medici; vi andarono Alessandro Pico, Alfonso Gonzaga, il Duca di Brissac, il figliuolo del Vicerè di Boemia, quello del Duca di Lorena, la Principessa di Brunsvick”. Image
Nel 1660 era già considerata una professionista.
Fu lei a fondare l'Accademia del Disegno di sole donne, prima scuola europea in assoluto fuori da un convento.
Nel 1662 iniziò a gestire anche la bottega del padre, malato di gotta artritica che gli aveva distorto le mani. Image
Questo gli impedì di continuare a dipingere e così Elisabetta, nubile, diventò a tutti gli effetti capofamiglia.
I compensi per le oltre 200 opere in dieci anni le permisero di mantenere la sua famiglia composta di 9 membri, servitù, apprendisti e assistenti di bottega.
A commissionarle i quadri erano principi, nobili, borghesi e popolani.
Oltre a molti ordini religiosi.
Nei suoi quadri l’uso della firma è qualcosa di particolare.
Di originale.
È presente infatti nei posti più disparati.
Sui pizzi, sui gioielli, sugli abiti, e sulle scollature Image
Sui polsini, sulle conchiglie, su ripiani o strumenti musicali.
In un periodo dove le donne non avevano diritto di firma persino sui documenti, il suo fu un modo per rendere “visibile” il suo talento in una professione come quella della pittura riservata ai soli uomini. Image
Anche se la metà dei lavori era di tipo religioso devozionale, Elisabetta era una pittrice storica dipingendo personaggi mitologici e soggetti storici. Come Porzia, Cleopatra, Giuditta, tutte eroine della storia antica.
Non poteva mancare appunto Timoclea. Image
“Timoclea uccide il capitano di Alessandro Magno” è un dipinto realizzato nel 1659 e esposto al Museo nazionale di Capodimonte, a Napoli.
Elisabetta segue le orme della grande Artemisia Gentileschi rappresentando “personaggi femminili forti e fieri”. Image
Come raccontato Timoclea era nobildonna di Tebe la quale, dopo essere stata violentata da un comandante della Tracia alleato di Alessandro Magno, si vendicò gettando l’uomo dentro il pozzo, per poi gettargli sopra dei sassi fino a farlo morire.
Un gesto forte che le farà guadagnare il rispetto e la magnanimità di Alessandro Magno che, sbalordito dal coraggio e la fierezza della donna, le concederà la vita e la libertà nonostante fosse una nemica e avesse ucciso un suo comandante.
Elisabetta dipinge una Timoclea risoluta
“Con lo sguardo del tutto concentrato sulla sua decisione”.
Ma dobbiamo ancora parlare della morte di Elisabetta, che si spense a soli 27 anni, all'apice della sua fama.
Venne sepolta il 4 novembre 1665 con tutti gli onori nella chiesa di San Domenico di Bologna.
Ma come morì?
“Nella quaresima dell'anno 1665 un doloretto di stomaco cominciò ad affligere Elisabetta. Essa pazientemente lo sopportava tacendo per non esacerbare l'animo de' suoi amorevoli genitori. Ma se studiavasi di occultare il suo male, esterni segni lo manifestavano” Image
“Perciocchè di giorno in giorno il suo volto si dimagrava. Altro segno di male interno fu una infiammazione con furuncoli che le apparvero sotto alla gola nel taglio della mascella attorno attorno alla parte di fuori, ch'ella ben tosto fece sparire coll' unguento rosato”.
Il medico ordinario Gallarati diagnosticò una misteriosa “distillazione di catarro” da curare con “siroppo acetoso”.
Ma quando Elisabetta ebbe una crisi iniziando a urlare dal dolore furono chiamati altri medici che prescrissero: “lavativi, unzioni del corpo, vomitivi e brodi”.
"ma niun giovamento ot artenendo dalle suddette cose si ordinò il contraveleno Bezzuar con l'olio del Gran Duca. Parve dopo ciò ch' ella riprendesse calore: moveva le braccia, si voltava nel letto, e questi deboli segni davano buona speranza al padre; ma non così al medico”.
“Il quale ordinò che tosto si chiamasse il Parroco perché cristianamente l'assistesse negli ultimi momenti di sua vita. Ed in fatti appena ricevuti i sacramenti ella mori nell'ora 23 circa dello stesso giorno in età di anni 27”.
“Poichè fu morta si fece gonfio il ventre, grosso il naso, deforme il volto. I suddetti accidenti diedero cagione al padre di sospettare un veneficio”.

Il padre accusò d’omicidio una cameriera, Lucia Tolomelli; testimoni l’avrebbero vista comprare una venefica polvere rossa” Image
“e metterla nel pancotto, la cena di Elisabetta”.
La Tolomelli subì un processo, fu torturata e infine scagionata.
Esiliata da Bologna rimase per tutti “l’avvelenatrice”. Elisabetta Sirani fu dichiarata morta a causa di un'ulcera perforante causata dallo stress. Image
Grazie all’amica Mitì Vigliero @Miti_Vigliero per avermi suggerito di raccontare la storia di Elisabetta Siriani.
Definita: “prodigio dell’arte, gloria del sesso donnesco, gemma d’Italia, sole d’Europa, l’Angelo vergine che dipinge da homo, ma anzi più che da homo”. Image

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Jun 2
Nell'ultimo thread di qualche giorno fa, Johannes vi ha raccontato del problema della mancanza di carburante della Regia Marina Italiana durante la seconda guerra mondiale.
Almeno secondo l’opinione dell’ammiraglio Bragadin.
Fosse stato solo quello il problema. Image
L’ammiraglio Iachino lo mise nero su bianco, quando parlò di una guerra “più assurda che sfortunata”.
E uno dei motivi di quella guerra assurda riguardava proprio me che, laureato in ingegneria, lavoravo all'Istituto Superiore delle Trasmissioni. Image
Una guerra assurda, portata avanti da un irresponsabile.
Lui la Marina la voleva luccicante, una splendida Marina da parata e da propaganda.
E al diavolo se le navi da guerra non erano dotate di ecogoniometri per gli “avvistamenti” subacquei e di radar per quelli aeronavali. Image
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May 31
Me la ricordo bene quella sera.
Era il 26 aprile 1942 e l’Ammiraglio Varoli Piazza mi convocò nel suo studio.
Lo faceva spesso con me, ufficiale della sezione “Attività del nemico”.
Per discutere sulle ultime notizie dei movimenti delle forze navali britanniche in Mediterraneo
La ricordo bene perché capii subito che qualcosa non andava.
Dall’espressione del viso, e poi da quel gesto di vivo sconforto.
Quando mi mostrò quel foglietto.
Solo in quel momento pronunciò quella frase.
“Guarda qui, siamo a zero”.
L’intestazione del foglio era: “Situazione giornaliera delle rimanenze di nafta”.
Cioè il combustibile per far muovere le nostre navi.
Mi si ghiacciò il sangue nelle vene quando lessi l’ultima cifra: 14.400 tonnellate.
Non era possibile.
Non era possibile.
Read 25 tweets
May 30
Da tre anni eravamo al porto di Massaua, nel Mar Rosso, presso il Comando Navale dell'Africa Orientale Italiana in appoggio ai sommergibili.
Nel febbraio del 1941, l’Eritrea, dopo essere stata investita dalle forze britanniche, ormai era condannata.
Eravamo bloccati. Image
Ma qualche nave avrebbe potuto lasciare il Mar Rosso e salvarsi.
Tra queste la nave coloniale “Eritrea”, la mia nave. Duemilacento tonnellate di dislocamento, velocità massima sui 19 nodi, sei mitragliatrici e due coppie di cannoni da 120/50.
In totale 200 uomini d’equipaggio. Image
Mi chiamo Marino Iannucci, capitano di vascello e quella che sto per raccontarvi è la storia di un viaggio incredibile.
Una storia che meriterebbe maggior risalto.
Tutto ebbe inizio quando ricevetti l’ordine di abbandonare il Mar Rosso.
E mettere in salvo la nave. Image
Read 25 tweets
May 28
Oggi è il 29 marzo 1941.
Ho scritto un ultimo messaggio alla mia famiglia.
Ho affidato poi il messaggio al mare, dentro una bottiglia.
Povera mamma mia.
Mi chiamo Francesco.
E sto per morire.
Ho solo il tempo di raccontarvi come siamo finiti in questo lembo del Mediterraneo Orientale.
Imbarcato sul Fiume, incrociatore pesante della Regia Marina italiana, classe Zara. Image
Lui, quello che ha fatto anche cose buone, era piuttosto contrariato per le continue delusioni e i ripetuti rovesci della nostra marina.
Prima la mazzata nella notte di Taranto dell’11 novembre del 1940.
La Cavour quasi colata a picco e la Littorio e la C. Duilio danneggiate. Image
Read 24 tweets
May 26
3 gennaio 1942 – Oggi si sono arruolati nella Marina degli Stati Uniti, assegnati all'incrociatore leggero USS Juneau (CL-52).
Sono George, Frank, Joe, Matt e Al.
Hanno tra i 20 e i 27 anni.
Sono cinque fratelli.
I cinque fratelli Sullivan. Image
8 novembre 1942 – L’incrociatore USS Juneau (CL-52), con a bordo i cinque fratelli Sullivan, è assegnato alla Task Force 69 (TF 69) come scorta antiaerea della portaerei USS Enterprise.
Sono salpati dalla Nuova Caledonia con un convoglio diretto a Guadalcanal. Image
13 novembre 1942 – L’incrociatore USS Juneau è coinvolto nella prima battaglia navale di Guadalcanal. E' incaricato di fermare una squadra giapponese diretta a bombardare l'aeroporto di Henderson Field a Guadalcanal.
Un siluro giapponese lo colpisce sul lato sinistro
Read 10 tweets
May 15
Oggi è il 31 gennaio 1944.
E non ho molto tempo.
Sta per toccare a me, quindi è il caso che mi sbrighi a raccontarvi la mia storia.
Sono nato a Solt, in Ungheria, il 16 aprile 1896.
A 15 anni iniziai a giocare a calcio nei ragazzi del Torekves.
A 17 ero già in prima squadra
Scusate, ma devo andare veloce.
Nella prima guerra mondiale partii volontario nell’esercito austro-ungarico e durante la 4a battaglia dell'Isonzo venni catturato da voi italiani e internato a Trapani.
Finita la guerra, tornai nella mia Ungheria, ricominciando a giocare a calcio Image
Tornai in Italia nel 1925 ingaggiato dall’Internazionale di Milano.
Giocai poco, troppi infortuni.
Smisi di essere un giocatore e, seppur giovane, l’Internazionale mi promosse allenatore.
Nel 1926-27 un quinto posto.
Ma l’anno successivo, dopo un settimo posto, venni licenziato. Image
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