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Aug 16 23 tweets 5 min read Twitter logo Read on Twitter
Il 15 febbraio 2019 è apparsa sui giornali una notizia che avrebbe dovuto farci almeno riflettere.
Nessun colpevole per quella strage.
L'archiviazione disposta dal gip militare di Roma Elisabetta Tizzan dopo una lunga indagine condotta dal procuratore militare di Roma De Paolis. Image
Dopo 76 anni dalla strage 9 degli 11 indagati sono morti, e per altri due non è stato possibile identificarli compiutamente.
11 persone iscritte nel registro degli indagati per il reato di "violenza con omicidio contro privati nemici, aggravato dalla crudeltà e premeditazione”.
Gli undici comprendevano: il generale Benelli, comandante della Pinerolo, il generale Angelo Rossi, comandante del terzo corpo d'armata e nove graduati, in gran parte del Gruppo Battaglioni d'assalto Camicie nere "L'Aquila".
Il Pm ha scritto.
I principali autori del fatto “sia chi dispose e organizzò la spedizione criminale, sia chi ebbe a eseguire materialmente le uccisioni, obbedendo ad ordini manifestamente criminosi" risultano essere morti o ignoti, come i due Capi Manipolo delle Camicie Nere Penta e Morbiducci.
Tempo fa qualcuno ha detto che “non fare i conti fino in fondo con il proprio passato è pericoloso. Soprattutto per il futuro”.

La storia che sto per raccontare fu qualcosa di orribile.
Non cercatela nei libri di storia.
Non c'è.
A molti di voi il nome “Domenikon” non dirà niente, eppure è, e rimarrà una pagina nera della nostra storia, una macchia indelebile sulle nostre coscienze.
Siamo in Grecia.
Le truppe italiane l’hanno occupata con l’aiuto dei tedeschi.
È il 16 febbraio del 1943.
La tragedia era iniziata qualche giorno prima, quando era giunta al quartier generale dell’EL.A.S (Esercito Nazionale Popolare di liberazione) di Oxias, la notizia che le truppe italiane si stavano preparando a procedere nella zona con operazioni di sgombero. Image
In Grecia il movimento partigiano era formato dalle formazioni dell'E.A.M. (Fronte Nazionale di Liberazione) e dell'EL.A.S. (Esercito Nazionale Popolare di Liberazione).
Per bloccare gli italiani, i partigiani greci decisero di tendere un’imboscata sulla strada tra Domenikon e Mylogousta.
Quando verso le 10 del mattino una colonna italiana con sei auto e due motocicli aveva cercato di passare, i partigiani avevano aperto il fuoco.
Sul terreno rimasero 9 italiani tra cui un motociclista . L'altro era riuscito a scappare, andando a chiedere rinforzi.
Infatti dopo poco gli aerei italiani, a bassa quota, avevano iniziato a bombardare gli uomini dell'ELAS che si erano dispersi tra le montagne della zona.
Fu del generale della 24ª Divisione fanteria "Pinerolo", Cesare Benelli, la decisione di vendicarsi sulla popolazione civile.
Centinaia di soldati distrussero il villaggio di Domenikon radunando gli abitanti nella piazza del paese.
Iniziando la «separazione» Image
“In quelle rappresaglie era applicato un «codice maschile», per cui si fucilavano tutti i maschi ritenuti abili alle armi, dai ragazzi di 14 anni agli uomini maturi. Le donne e i bambini venivano risparmiati, anche se spesso finivano nei campi di internamento”.
E così avvenne.
Le donne e i bambini furono rilasciati ordinando loro di dirigersi verso il villaggio di Amouri.
Gli italiani avevano una lista di nomi degli abitanti data dal sindaco Nikos Hotos.
E diedero inizio al massacro.
Iniziando da due fratelli, Georgios e Vangelis Zagkas
Giustiziarono il primo, tagliandogli la carotide con un pugnale e il secondo con un colpo di fucile.
Dopo i due fratelli altre 20 persone vennero giustiziate sul posto.
Agli altri venne detto che sarebbero stato portati al campo di concentramento di Larissa per essere interrogati
Dopo una marcia di oltre dieci Km. diversi prigionieri furono uccisi, ma anche contadini che stavano lavorando nei campi e non sapevano cosa stesse succedendo.
Bruciarono tutte le case che incontrarono.
Alle 22:30 il comandante Benelli ordinò l'esecuzione di tutti i prigionieri.
“I soldati italiani hanno diviso gli uomini in gruppi di 7 iniziando a sparare contro di loro.
Coloro che non sono morti immediatamente hanno ricevuto il colpo di grazia.
In breve tempo furono giustiziati 135 uomini”. Image
“La morte più tragica fu quella dal parroco del villaggio, Papa-Dimitris, che stava cercando di convincere gli italiani che i prigionieri erano civili e innocenti. Ad un certo punto un italiano lo ha afferrato e ha cominciato a sradicargli la barba”.
“Poi gli ha dato fuoco e mentre il sacerdote ardeva vivo, iniziarono a deriderlo. Poi un italiano pose fine alla sua vita con la sua mitragliatrice”.

Si salvarono in sei.
Uno riuscì a scappare tra i boschi e cinque rimasero “sepolti”, ma ancora vivi, sotto i numerosi corpi.
Al termine del massacro, i soldati italiani si diressero a Tyrnavos continuando a sparare contro chiunque incontrassero per strada.
Il bilancio totale delle vittime fu di 194 civili e centinaia di case bruciate.
Dopo quella strage gli italiani si macchiarono di altri eccidi. Image
Il 12 marzo a Tsaritsani, per esempio, non lontano da Domenikon.
Gli italiani fucilarono in piazza più di 40 civili, per lo più anziani, che non avevano fatto in tempo a fuggire sulle montagne,
Non contenti diedero fuoco a più di metà delle abitazioni. Image
Poi fecero lo stesso a Oxinia, Farsala, Neapoli. Bersagli di distruzione e violenza ingiustificate a tal punto che gli italiani vennero ripresi dai tedeschi “per la repressione sistematica portata avanti dalle truppe italiane”.
Gli abitanti di Domenikon hanno sempre richiesto la giusta punizione per quella orribile strage.

Ricordate l’indagine del procuratore militare di Roma De Paolis conclusa nel 2019 con una richiesta di archiviazione perché i responsabili erano ormai morti o introvabili?
Dopo quella richiesta il procuratore inviò una lettera ai familiari delle vittime per chiedere scusa a nome della procura militare e suo personale.
«Ho scritto quella lettera per senso di giustizia e per cercare di lenire l’imbarazzo per l’inerzia della giustizia italiana». Image

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Aug 17
Quando i duchi di Windsor gli fecero visita, nel 1937, lui li accolse vestito di un chimono blu, pantofole guarnite di pietre preziose, una cintura con un pugnale d’oro e anelli su tutte le dita delle mani.
Non fu l’unica stravaganza a dire il vero.
Dopo pranzò li invitò a giocare col suo meraviglioso trenino, quello che aveva nell’attico, in una sala lunga venticinque metri.
Non fu tanto il trenino a colpirli, ma l’aereo che sganciava bombe di legno sullo stesso trenino, che lui manovrava comodamente seduto in poltrona.
Era stato nel 1922 che aveva incontrato l'uomo esile.
Gli aveva offerto i propri servigi, e a quell’uomo non era parso vero di avere a fianco uno decorato con la medaglia “Pour le Mérite”, assegnata a chi aveva abbattuto almeno venticinque aerei nemici nella prima guerra mondiale Image
Read 25 tweets
Aug 15
Il Ministro dell’Interno definisce il taser “un’arma non letale”.
E’ proprio così?
Diciamo che la risposta è un sì andante.
Se usata correttamente e in situazioni sotto controllo come specificato nelle linee guida del costruttore.
E quali sono queste linee guida?
Vediamone alcune
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Il Taser non va usato su persone a rischio.
O soggetti con disabilità motoria, con disturbi cardiaci, accertati o latenti.
Soggetti con alta concentrazione di droga, alcool e con forte stress emotivo.
Non va usato assolutamente con donne incinte o in luoghi a rischio incendio.
Insomma.
Gli agenti, prima di usare il taser, devono richiedere un certificato medico al soggetto da colpire e alle donne il test di gravidanza.
Visti i tempi, anche un’autocertificazione dovrebbe andar bene.
Già da qui potete capirne la pericolosità Image
Read 24 tweets
Aug 12
Avevo detto loro che si doveva fare una cavalcata dentro il paese, organizzare una grande manifestazione.
Dovevamo dimostrare che i lavoratori non temevano i soprusi degli agrari e dei mafiosi.
Dovevamo continuare a lottare anche di fronte a minacce e intimidazioni. Image
E così ebbe luogo la storica cavalcata per le vie di Sciacca alla quale presero parte più di 10.000 contadini.
Un corteo lunghissimo.
Arrivati da Menfi, Montevago, Santa Margherita, Sambuca, Burgio, Caltabellotta, Lucca, Ribera, Calamonaci, Villafranca.
Davanti a tutti c’ero io.
“I più ricchi quella mattina balconi non ne hanno aperto nessuno. C’erano anche ragazzi a cavallo col loro padre. Accursio Miraglia pareva Orlando a cavallo, era un piacere vedere questa potenza d’uomo a cavallo, era una persona da guardarlo, era un amore a guardarlo…”
Read 25 tweets
Aug 9
Siamo sempre stati abituati ai cataclismi.
Normale se vivi su un’isola dove i terremoti sono all’ordine del giorno da secoli.
Se al centro si eleva il monte Aso, il più vasto vulcano attivo del mondo.
Per non parlare del vulcano Kirishima e a sud quello di Sakurajima. Image
Eravamo abituati ai cataclismi, noi dell’isola di Kyushu, la Sicilia nipponica.
Sapevamo cosa fosse la paura, vivevamo da sempre con la paura.
Perché proprio a noi?
Perché quella nostra suggestiva città adagiata sulla costa ovest di Kyushu ricca di templi buddisti? Image
La città dove Pierre Loti aveva vissuto la sua avventura con Madama Crisantemo e in seguito pure quella del tenente Pinkerton con Butterfly.
Una città stupenda.
Sviluppata intorno alla baia dove confluiscono come una sorta di Y azzurra, quei due fiumi, l’Urakami e il Doza.
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Read 17 tweets
Aug 7
Giorni fa vi ho raccontato delle conseguenze della cosiddetta "amnistia Togliatti", o chi per lui.
In pochi mesi le carceri si svuotano.
Vengono scarcerati delatori, spie e seviziatori fascisti. Raccontiamo alcune conseguenze di quell’amnistia.
Nel carcere “tranquillo” di Procida. dove sono stati trasferiti molti criminali fascisti («In camerate arieggiate e luminose. Vediamo il mare, spettacolo superbo la Punta di Salerno, Capri, Pozzuoli!»), arriva nel venerdì Santo 1950 il padre francescano fra Baldino della Croce. Image
Arriva per assistere tredici criminali fascisti.
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Arriva nel penitenziario di Procida offrendo di sostituirsi a un criminale fascista.
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Aug 5
Certo che sapevo di poter essere un bersaglio della mafia.
Davanti ai contadini che avevano sfilato per le vie di Corleone gridando “Terra per tutti” c’ero io, malgrado la mia giovane età.
Avevo 34 anni, sindacalista, l’uomo che turbava il sonno al boss Don Michele Navarra. Image
Don Michele Navarra, capo di Luciano Liggio.
Una bella coppia.
Nella primavera del 1948 i contadini del feudo Drago, guidati da un giovane sindacalista come me, turbavano il sonno di Navarra e dei suoi scagnozzi.
Gli oppressi si stavano ribellando, finalmente.
Mi detestava non solo per quello.
Da segretario della locale sezione combattenti e reduci gli avevo rifiutato il titolo di socio onorario.
«Lei non è stato combattente, tanto meno reduce». Un rifiuto che non mi aveva mai perdonato.
Non mi importava, avevo altro a cui pensare.
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