Lo ricordo benissimo.
Era il 1973 quando entrai al MIT al Centro per la ricerca sul cancro.
Laureata in biologia al Radcliffe College nel 1964 con un dottorato di ricerca in biologia molecolare e biochimica dell'Università di Harvard, conseguito nel 1971.
Nata il 16 giugno 1943 a New York City fin da piccola sognavo un giorno di meritarmi il Premio Nobel.
Il MIT era un traguardo importante anche se Barbara McClintock, una genetista Premio Nobel, me lo aveva sconsigliato perché avrei subito, in quando donna, discriminazioni.
Non ero d’accordo.
Perché mai avrebbero dovuto trattare diversamente una scienziata come me.
Una biologa molto apprezzata?
Non mi ci volle molto a capire che per fare carriera in quel posto una donna avrebbe dovuto scordarsi il merito.
Ogni volta la stessa storia.
Tutti mi superavano, anche se avevano meno titoli della sottoscritta, solo perché erano maschi. Sopportai per anni, vent’anni per la precisione, ma sempre con la convinzione che non fosse giusto.
Poi nel 1993 accadde quello che prima o poi doveva accadere.
Tutto ebbe inizio quando decisi di studiare la genetica dei pesci zebra.
Volevo mappare i geni cancerogeni sfruttando la genetica animale.
Ma c’era un problema.
Avevo bisogno di un laboratorio più grande per le taniche dei pesci.
Una ventina di metri quadrati in più.
Con sorpresa e relativa arrabbiatura, tutte le mie richieste furono respinte.
Voi che avreste fatto?
Ero una scienziata e decisi di usare uno strumento che avrebbe potuto dimostrare senza ombra di dubbio quanta discriminazione ci fosse nei confronti di noi donne.
E così una notte presi un metro (sì, un semplice metro) e iniziai a misurare la grandezza di tutti i laboratori nella palazzina in cui lavoravo.
Sapevo che calcolare lo spazio a disposizione mi avrebbe consentito di conoscere anche la grandezza dei budget di ricerca.
Le mie preoccupazioni erano fondate.
I colleghi maschi che erano all’inizio della carriera avevano circa 185 m2 a disposizione.
I più anziani ne avevano tra 270 e 560 m2.
Sapete quando misurava il mio laboratorio?
Sapete quando misurava il mio laboratorio?
La miseria di 140 m2.
Potevo stare zitta?
Con altre 15 colleghe andammo dal preside della Facoltà di scienze.
Contrariamente alle mie previsioni lui ci appoggiò. Probabilmente, visto che aveva accesso a tutti gli stipendi, si era reso conto che noi donne eravamo anche pagate meno dei maschi.
E così nel 1999 venne pubblicato un rapporto che metteva in luce decenni di marginalizzazione delle donne.
L’ammissione da parte dello MIT della effettiva esistenza della discriminazione di genere che si rifletteva in stipendi inferiori e meno disponibilità di fondi e di spazio.
Dopo quel rapporto diventai famosa.
Tutte le testate ed i media del mondo volevano intervistarmi.
Oggi molte donne guidano o hanno guidato le migliori università del mondo.
Oxford, per esempio.
E poi Harvard, Cambridge e lo stesso Istituto di Tecnologia del Massachusetts (Mit)
Non bisogna però abbassare la guardia.
Non sarà certo lo scorrere del tempo che risolverà i problemi della parità di genere.
Dobbiamo continuare a lottare perché è un attimo tornare indietro.
Quando potremo smettere di lottare?
Quando finiranno di definirci “eccezioni”.
Grazie a @jonasfink per avermi suggerito di raccontare la storia di Nancy Hopkins, un esempio di come una singola persona possa fare la differenza e cambiare il corso della storia.
Anche usando soltanto un metro.
“Il cambiamento è più lento di quanto vorremmo. Ma il cambiamento non avviene perché il tempo passa: succede perché le persone fanno qualcosa per generarlo. E lo fanno quando vedono che qualcosa non è come dovrebbe essere”.
(Nancy Hopkins)
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Per noi piloti inglesi della RAF furono un vero e proprio tormento.
Nemmeno i tedeschi riuscirono a crearci così tanti problemi.
Tutto ad un tratto i nostri apparati di navigazione smettevano di funzionare, le bussole impazzivano e governare l’aereo diventava difficile.
Le prime avvisaglie si erano palesate già nel 1917.
Lo aveva scritto il quotidiano britannico The Spectator.
Sia la Royal Naval Air Service che l’anno successivo la Royal Air Force avevano subito i loro maledetti sabotaggi.
Non bastavano le tensioni della guerra aerea cui eravamo sottoposti.
Ogni volta che ci alzavamo in volo la preoccupazione per un eventuale loro intervento rendeva difficile l’espletamento del nostro lavoro.
Erano un pericolo continuo.
C’era una volta una città chiamata Utopia dove le strade erano lastricate d’oro e i palazzi toccavano il cielo.
La gente era felice e la vita era facile, ma tutto cambiò quando il Paese cadde in una profonda crisi economica.
Con l'aumento della disoccupazione, la scarsità di risorse e le tensioni crescenti con i Paesi confinanti, invece di affrontare queste sfide in modo costruttivo, il governo decise di creare nemici immaginari per distrarre il popolo dai suoi problemi reali.
E' quello che accade quando un governo non sa come far fronte alla situazione.
Come placare il popolo?
Semplice.
Come detto basta trovare un capro espiatorio.
Infatti oggi è un giorno particolare per la città di Utopia.
Il Parlamento ha appena promulgato un editto
Un dilettante.
Eppure avete avuto nei confronti della vicenda del gatto Oscar parole di ammirazione.
“Bellissima storia”, “carinissima storia”, “fantastica storia”.
Della mia di vicenda, vi garantisco, è stato detto ben altro.
Non ricordo nessuna ammirazione.
Anzi.
Va bene, prendo atto, ma per quanto mi riguarda vi garantisco di non avere nessuna colpa per quello che è avvenuto durante la mia vita lavorativa.
Mi ritengo solo fortunata, quello sì.
Una fortuna iniziata fin dalla nascita.
Nella pampa argentina, nei pressi di Bahia Blanca.
Dove sono nata il 2 ottobre 1887, prima di nove figli. Mi chiamo Violet Constance Jessop.
I miei genitori venivano dall’Irlanda.
Ero ancora piccola quando la mia vita venne segnata da due disgrazie: la tubercolosi e la morte di mio padre, un allevatore di pecore.
Ti prego Johannes, lasciami raccontare ancora una volta la mia storia.
Gli ingredienti ci sono tutti.
La guerra, la speranza, la lotta per la vita, ma anche forza di volontà, dedizione, attaccamento…
Posso? Davvero? Allora comincio.
Sono nato in Germania.
E fin qui.
Mi imbarcai per il mio primo viaggio sulla nave da battaglia Bismarck, nel maggio del 1941
Era una nave tedesca della Seconda guerra mondiale, così battezzata in onore del celebre cancelliere.
Gli inglesi ci avevano dato la caccia.
E alla fine ci avevano affondato.
Erano le 10.36 del 27 maggio 1941 quando la Bismarck affondò.
Fui tra i 116, su un equipaggio di oltre 2.200, che si salvarono.
Venni ritrovato ancora vivo, aggrappato ad un’asse galleggiante, dall’equipaggio del cacciatorpediniere britannico HMS Cossack.
Cosa abbiamo i comune noi quattro?
Quelli della foto, intendo.
Due cose.
La prima.
Siamo quattro pionieri della cardiologia interventistica.
Nella foto siamo all’Università di Zurigo nell’agosto del 1980.
Ricordo che era un meeting sull’angioplastica.
Mason Sones fu colui che eseguì la prima arteriografia coronarica il 30 ottobre del 1958.
Possiamo dire in un modo del tutto casuale.
Quando accidentalmente il mezzo di contrasto finì all’interno della coronarica di destra.
Malgrado l'errore il cuore non andò in fibrillazione.
Da quell’esperienza Sones comprese che piccole quantità di mezzo di contrasto non erano mortali per i pazienti.
Ciò avrebbe permesso di studiare meglio l’albero vascolare cardiaco.
14 APRILE 1945.
Non avrebbe dovuto azionare quella valvola.
Avrebbe dovuto chiedere al suo "tecnico" sulle procedure operative dell'impianto.
Sull'ordine esatto di apertura e chiusura delle valvole che assicurassero lo scorrimento del flusso nella direzione corretta.
Invece.
Invece Karl-Adolf Schlitt, il comandante, aveva sbagliato la procedura.
Ed era stata la fine.
Il liquido fuoriuscito aveva ben presto riempito il compartimento iniziando a fluire all'interno dei motori, causando una reazione chimica che aveva prodotto gas di cloro.
Quando ormai il gas velenoso era ovunque, il comandante Schlitt aveva ordinato di riemergere, ma raggiunta la superficie gli aerei britannici li avevano colpiti.
L'equipaggio aveva raggiunto la costa scozzese a bordo di gommoni, venendo catturati.