Una poesia di Gianni Rodari recita: “Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra.”
Come dargli torto.
Nella guerra l’essere umano dà il peggio di sé.
In alcuni casi, andando oltre.
Lo chiamano “fuoco amico”.
Che poi di amico non ha proprio un bel niente.
E’ solo la dimostrazione, quando non è malasorte, di quanto l’intelligenza umana sia limitata.
Uccidere migliaia di persone “amiche” per negligenza o stupidità, quasi sempre restando impuniti.
Chi non ricorda la battaglia di Verdun.
La Prima Guerra mondiale aveva visto l’utilizzo di “armi chimiche” o gas asfissianti come venivano chiamati.
Ma erano anche lacrimogeni, urticanti e velenosi.
Ne avevano paura tutti.
Anche quelli che li utilizzavano.
Bastava che cambiasse il vento e a subirne le conseguenze non era più il nemico.
La scemenza umana.
Ma torniamo alla battaglia di Verdun.
E’ l’8 maggio 1916.
La fanteria tedesca occupa l’avamposto francese di Fort Douaumont che ha un deposito di munizioni.
Non si conosce la causa, forse fu il fuoco dalle cucine a provocare l’esplosione del deposito incendiando i serbatoi dei lanciafiamme.
Furono centinaia i tedeschi morti.
Quasi tutto il XII Reggimento granatieri.
A uccidere i superstiti però, ci pensarono gli stessi tedeschi.
Quando i superstiti cercarono di fuggire con le divise strappate e i volti anneriti, un altro reparto tedesco li scambiò per soldati francesi.
Aprendo il fuoco con le mitragliatrici.
E massacro si sommò a massacro.
Truppe amiche attaccate per errore.
Ne rimase vittima Italo Balbo, il 28 giugno 1940.
Ore 17.30.
Tobruk, base militare italiana.
Bombardieri della RAF sganciano bombe sull'aeroporto.
La reazione della contraerea italiana scarsa.
Gli inglesi se ne vanno.
Balbo è in volo con il suo I-MANU (nome della moglie Emanuela)
Si avvicina.
La contraerea italiana pensa che sia un aereo inglese tornato per sganciare ancora bombe e apre il fuoco centrando l'ala destra dell'aereo di Balbo che precipita.
Per lui e i suoi uomini d'equipaggio non c'è scampo. Verrà identificato da un portasigarette d'oro.
Ancor più grave quello che accadde l’8 luglio del 1940.
Dove gli errori di identificazione raggiunsero vette inimmaginabili.
Stiamo parlando della battaglia di Punta Stilo, quella che uno storico definì tempo dopo “la battaglia italo-italiana di Punta Stilo”.
Lo Stato Maggiore aveva ordinato all’ammiraglio Inigo Campioni di non affrontare gli inglesi.
Mentre la flotta italiana invertiva la rotta, causa mancanza di comunicazioni, aerei italiani lanciarono dodici bombe sulle navi italiane.
Tutte andate a vuoto, fortunatamente.
Altri aerei italiani, che ritenevano sempre inglesi quelle navi, sganciarono successivamente 514 bombe.
Le navi furono costrette a rispondere al fuoco abbattendo un bombardiere italiano.
Le navi fortunatamente non subirono grossi danni.
Accadeva a tutti di sbagliare.
Durante l'inseguimento della Bismark, il 26 maggio del 1941, i piloti degli aerosiluranti partiti dalla portaerei inglese HMS Ark Royal credettero di aver individuato la formidabile nave da battaglia tedesca. Le lanciarono contro undici siluri.
Alcuni mancarono il bersaglio e quelli che la centrarono non esplosero per un difetto tecnico.
Una fortuna.
Quella nave non era la Bismark, ma l’incrociatore leggero inglese HMS Sheffield.
Come sia stato possibile scambiare la Bismark per un incrociatore leggero è un mistero.
E come comprendere quello che accadde durante l’operazione Husky l’11 luglio del 1943?
L’occupazione della Sicilia da parte degli americani. Aerei 222 C-47 con 3400 paracadutisti americani incontrarono un vento fortissimo.
I piloti persero l'orientamento.
Dispersi per l’isola furono bersagliati dalla stessa contraerea americana che era già disposta sul terreno.
Otto gli aerei abbattuti in un primo momento.
I paracadutisti che si erano nel frattempo lanciati si trovarono anche 100 Km distanti dalla “landing zone”.
Dalla Tunisia erano partiti altri 144 aerei con altri 1900 paracadutisti.
Qualche pilota scambiò Gela con Siracusa.
La contraerea americana in quel caso fu micidiale. 23 aerei abbattuti, 37 danneggiati in modo gravissimo.
Tra i paracadutisti 83 morti, 16 dispersi e 131 feriti.
Unanime il commento dei piloti superstiti che rientrarono in Tunisia.
“Stanotte per noi americani sarebbe stato più sicuro sorvolare un territorio occupato da nemici".
“Fuoco amico” che ti sembra che ci sia qualcuno che ti vuole bene.
Invece.
Ricordate lo Sbarco in Normandia?
Una spiaggia dello sbarco era chiamata “Utah Beach”. Ci furono morti durante lo sbarco, ma anche durante l’esercitazione che doveva riprodurre lo sbarco sulla “Utah Beach, avvenuta mesi prima su una spiaggia inglese.
Una prova di sbarco.
Si chiamava Operazione Tiger.
Tutto stava andando liscio quando un reparto di fanteria americana arrivò in un tratto di costa dove c’era già qualcuno che si stava esercitando.
Era l’incrociatore inglese HMS Hawkins.
Le sue batterie uccisero 380 americani.
Come durante un attacco inglese alle dighe della Ruhr, dove morirono annegate 1600 persone.
1500 di queste erano prigionieri alleati.
O quando i tedeschi in ritirata sgombrarono il campo di prigionia di Fara Sabina caricando tutti i prigionieri su un treno.
Con destinazione Germania.
In Germania quei prigionieri alleati non ci arrivarono mai.
Bombardieri americani distrussero il ponte dove si trovava fermo in quel momento il treno.
I tedeschi erano già scappati.
Le morti causate dal “fuoco amico” in quel caso furono 400.
E poi il porto di Lubecca, dove c'erano tre navi, tra cui la Cap Arcona.
Il 3 maggio 1945 la Raf provocò la morte di 7.000 ebrei che erano su quelle navi provenienti dal campo di concentramento di Neuengamme.
Il giorno dopo, le truppe inglesi entrarono nel campo trovandolo vuoto
Tecnologia.
3 luglio 1988.
Centrale di tiro riferisce aereo iraniano da combattimento con atteggiamento ostile. Dall’incrociatore americano parte un missile.
Quale atteggiamento ostile poteva avere un A300 dell’Iran Air in volo sul suolo iraniano?
290 i morti tra cui 66 bambini.
Ricordiamo Nicola Calipari, agente assegnato al SISMI.
Ottenuta la liberazione di Giuliana Sgrena la stava trasferendo in un luogo sicuro.
La sua auto non fu riconosciuta ad un posto di blocco americano.
Morì investito dal fuoco di una mitragliatrice.
La causa?
Un malinteso.
E l’elenco potrebbe continuare.
Dicono non esista soluzione.
Gianni Rodari la soluzione l’ha trovata: “Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra”.
Nel frattempo si smetta almeno di chiamarlo “amico” quel fuoco.
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Odio essere chiamato Caligola.
Mi chiamo Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico.
Te lo ripeto Johannes, dato che alla tua veneranda età stai perdendo colpi.
Mi chiamo Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico. Gaio Cesare una volta diventato Imperatore.
O anche solo Gaio.
Chiaro?
«Scusa Cal… ops Gaio.
Datti una calmata, perché ti alteri?
D’altronde le fonti storiografiche sono scarse.
Una delle poche cose certe è il perché ti chiamavano Cal… quella roba lì, insomma.
Eri piccolo e giravi nell’accampamento di tuo padre indossando quelle calzature».
Ricordo.
I soldati di mio padre indossavano le caligae.
Essendo le mie molto piccole le chiamavano col diminutivo di caligulae.
Sono cresciuto tra i soldati che scherzando mi chiamavano in quel modo.
Però odiavo quel soprannome.
E lo odio tutt’oggi.
Quindi regolati.
So la fatica che hai fatto, Johannes.
Poche informazioni, niente biografia, niente ritratto, la mia figura dimenticata, scomparsa nel nulla.
E quella data poi.
La mente va sempre alla rivoluzione industriale, o alle prime leghe emiliane.
Ma tutto ebbe inizio molto tempo prima.
«Lo so. Qualche secolo prima.
Torniamo al 1333, un anno importante per Firenze. Con i suoi centomila abitanti festeggiava il compimento di un’opera straordinaria come la cerchia muraria.
Mancava ancora il campanile al nuovo duomo, ma la sua costruzione stava per iniziare».
Dante era morto e Giotto era su con gli anni, ma non erano gli artisti i protagonisti della vita pubblica di Firenze.
Erano altri.
Il loro motto?
“In nome di Dio e di ghuadagno”.
Li chiamavano “gli uomini dai piedi polverosi”, perché erano sempre in giro per il mondo: i mercanti.
Erano membri di una piccola comunità religiosa cristiana, ma in Iran quella è una religione considerata impura, e così erano fuggiti da quel Paese.
Lui, la moglie e le loro due bambine di 7 e 11 anni. Destinazione Australia.
Pensando ad un futuro migliore,
Erano finiti in quel deserto, precisamente nel centro di detenzione per migranti di Woomera.
Sì, proprio quella, la Zona Proibita.
Grande come l’Inghilterra, dove si erano svolti tra il 1955 e il 1963 dei test nucleari condotti proprio dal Regno Unito.
E gli aborigeni che abitavano quella zona?
Presi di peso e trasferiti in altre regioni.
Comunque loro quattro erano scappati da un inferno, l'Iran, ed erano finiti in un altro inferno.
Forse peggiore.
Un centro per rifugiati gestito da una compagnia privata.
Johannes, ci sei?
Sotto trovi il link della nostra conversazione di ieri dove mi hai accusato di essere un «cattivo figlio, cattivo fratello, cattivo marito e pessimo re».
Come mai allora per l’immaginario collettivo sono da sempre un personaggio mitico? bit.ly/47j17B1
«A dire il vero ho detto che malgrado letteratura e cinema ti abbiano descritto come un buon sovrano, alcuni hanno parlato di te in altri termini.
Punto.
Comunque continua.
Sei rimasto a quando venisti a sapere che tuo fratello Giovanni era sul punto di usurparti il trono».
Vero. Giovanni, quel caro fratello a cui mio padre aveva riservato il suo più grande affetto.
E’ così.
Non aveva occhi che per lui.
Che dovevo fare?
Ho lottato per difendere quello che mi spettava.
Puoi farmene una colpa?
E poi erano tradizioni di famiglia tutti quei litigi.
Sono solo dicerie.
Messe in giro per screditarmi.
In fondo tutti conoscono la mia storia.
Film, libri, persino cartoni animati hanno raccontato le mie gesta.
Tutti concordi nel ritenermi un buon sovrano.
Era lui che era malvagio e usurpatore.
Mio fratello Giovanni, intendo.
«Scusa Riccardo, sono Johannes.
Non vorrei contraddirti, ma qualcuno ha riassunto con ben altre parole la tua vita e il tuo regno.
Ti ha descritto diversamente.
Precisamente come un «cattivo figlio, cattivo fratello, cattivo marito e pessimo re».
Ma che dici.
Non hai visto i film su Robin Hood, l’eroe che rubava ai ricchi per dare ai poveri?
Viene raccontato molto bene l’amore che il popolo aveva per me.
Tutti aspettavano il mio ritorno, lottando contro mio fratello Giovanni.
Lui sì che era cattivo.
L’Ing. Marcello entrò trafelato in cancelleria: “Debbo darti una notizia straordinaria. Domani il nostro Ciocca farà finalmente la sua esibizione e tu sei invitato a venire con noi”.
Non fui stupito di quell’invito.
Lui aveva preso in simpatia gli ingegneri italiani.
Nel 1930, agli inizi del Piano Quinquennale, il suo governo aveva affidato a molte imprese italiane lavori di vitale importanza.
Alla RIV per esempio, che fabbricava cuscinetti a sfere.
E poi al gruppo dell’Ing. Omodeo, specializzato in opere idrauliche.
I tecnici italiani erano arrivati con le rispettive famiglie.
Alla RIV dirigeva i lavori l’Ing. Ugo Gobbato che si era portato dall’Italia gli ingegneri Ciocca e Piccin.
Come il resto della popolazione, vivevano in condizione di disagio, ma gli italiani avevano qualche libertà.