Era il 21 giugno 1944, un mercoledì, quando Concetto Pettinato, direttore della Stampa, uscì con un articolo dal titolo: “Se ci sei, batti un colpo”.
A chi era rivolto quell’invito?
Al governo della Repubblica di Salò che era praticamente impotente nei territori formalmente suoi.
“Con le ordinanze scritte sulla carta non si va avanti. Si ha ormai bisogno di vedere, di sentire, di toccar con mano il Governo della Repubblica, perché in certe situazioni l’uomo crede solo alla presenza reale”. Insomma.
“Se ci sei, batti un colpo”.
Nessuno sentì mai quel colpo.
E come poteva arrivare da un “Governo fantasma” ormai tenuto in piedi dall’alleato tedesco?
Dopo l’8 settembre 1943 tutto era andato a catafascio.
Le Forze Armate certo, ma anche la rete ferroviaria e quasi tutti i servizi pubblici.
Come le Poste, per esempio.
Eppure anche senza ferrovie e automezzi persino nell’antichità riuscivano a consegnare notizie e documenti.
Il “cursus publicus” era il servizio imperiale di posta organizzato per la prima volta dall’Imperatore Augusto.
Avevano persino una carta stradale del mondo allora conosciuto.
La “Tabula Peutingeriana”, datata nella seconda metà del IV secolo (ca. 375 d.C.), ci mostra tutte le vie consolari e imperiali.
Con partenza sempre da Roma troviamo la Nomentana e la Tiburtina.
E poi l’Appia, la Prenestina, la Labicana, l’Ostiense, l’Aurelia, la Trionfale, la Flaminia e la Salaria.
Tutto era segnato sulla carta.
Tutto il percorso praticato dalle staffette postali agli ordini dei magistrati del “cursus publicus”.
E nel Medioevo?
La corrispondenza da parte delle università, delle corti, dei tribunali, dei conventi, ecc. ecc. era affidata ai privati.
L’Italia era divisa in feudi e l’attraversamento da parte dei corrieri era condizionato dai potenti locali che si fidavano solo di organizzazioni accreditate.
Come la Compagnia dei corrieri bergamaschi della Serenissima, per esempio.
Recapitava posta in tutta Europa.
In Austria, in Germania, e in Grecia fino a Costantinopoli.
Tutto ciò diede vita alle “Poste Tassiane” ufficialmente riconosciute e apprezzate dall’Europa e dal Papa.
A dirigerle il bergamasco Francesco Tasso (Francesco I de Tassis) nato a Camerata Cornello in provincia di Bergamo, che in seguito sarà alla corte dell'Imperatore Massimiliano I, il quale lo nominò «Maestro di Posta», chiedendogli di riformare il sistema di corrieri del regno.
I messaggeri (i postini), per recapitare lettere o fornire notizie preziose, usavano cavalli veloci.
Il prezzo del servizio?
Dipendeva dal numero di stazioni postali attraversate. Per esempio fra Roma e Anversa erano 98.
Tra Roma e Parigi erano 106.
Tra Praga e Vienna erano 16.
Dal Santuario di Loreto a San Giacomo di Compostela 193.
Anche nei secoli successivi venne usato il cavallo.
A consegnare la posta erano i “corrieri”.
E nelle diverse zone erano postiglioni, messi, valletti, camaggi ecc.
Nel nostro variegato Paese la Posta era in mano al potere.
Il primo sovrano ad avere un servizio postale fu Emanuele I di Savoia e Piemonte nel 1604, due secoli e mezzo prima del 1852, quando il Regno di Sardegna adotterà un provvedimento che riserverà allo Stato la privativa dei servizi della posta a cavallo e della “posta lettera”.
Con il Regno d’Italia la legislazione postale venne estesa ai territori acquisiti dalla corona sabauda, con legge del 5 maggio del 1862.
Le Regie Poste iniziarono a utilizzare sempre di più le ferrovie.
E molti “postini” scesero da cavallo per inforcare la bicicletta.
Il diritto di privativa da parte dello Stato non mutò con il cambio dei mezzi di trasporto.
Un privilegio fondamentale per evitare una qualsiasi concorrenza nella consegna della posta.
Ma nel dissesto generale del 1944-1945 il disservizio postale si posizionò ai primi posti.
Gli Alleati avevano il controllo totale dei cieli colpendo ripetutamente ferrovie e strade importanti dell’Alta Italia.
La Repubblica Sociale fu costretta a sopprimere il servizio di posta aerea e la consegna di pacchi.
Erano esclusi quelli destinati al militare alle armi.
Erano esclusi anche i pacchi per i prigionieri internati in Germania e i prigionieri di guerra.
Il servizio postale” ufficialmente “sembra funzionare". In realtà la consegna avviene occasionalmente.
Con affrancature spesso assenti. “Zona sprovvista di francobolli” viene scritto.
Gli enti pubblici, le banche, i giornali e istituti vari sono costretti a provvedere personalmente pagando la “tassa di porto”.
E i privati?
Il Gazzettino di Venezia, il 15 dicembre 1944, pone una domanda: “Perché non viene usata la bicicletta per la consegna della posta?”
“Colleghiamo con i corrieri ciclisti, sfruttando il sistema delle staffette, Venezia a Padova, Padova a Verona, Verona a Brescia, Brescia a Milano.
E via dicendo.
Se ogni staffetta percorre quaranta chilometri, nel giro di poche ore può arrivare ovunque.
Il 23 novembre 1944 il dottor Carlo Stupar, fiumano, aveva costituito a Venezia la s.r.l. Corrieri Alta Italia (Cor. Al. It).
Nel febbraio 1945 la Repubblica Sociale autorizzerà la Corrieri Alta Italia ad effettuare il trasporto della corrispondenza, su una linea.
Esattamente sulla Torino - Vercelli - Novara - Milano - Bergamo - Brescia - Verona - Vicenza - Treviso - Padova - Rovigo - Ferrara - Venezia - Trieste.
Molte le disposizioni che regolano il funzionamento del servizio che tengono conto del fatto che il Nord è occupato dai tedeschi
Loro hanno l’ultima parola su tutto e la paura comune è che il partigiano possano infiltrarsi e usare il servizio a proprio uso e consumo.
Per questo i corrieri ciclisti, al momento dell’assunzione, devono firmare una dichiarazione piuttosto impegnativa.
“Io sottoscritto…dopo aver preso conoscenza delle norme che regolano il trasporto della corrispondenza da parte della Società Corrieri Alta Italia…dichiaro di essere consapevole che una qualsiasi deroga a tali norme, costituisce grave violazione delle vigenti norme di guerra”.
Il 28 aprile 1945, all’indomani della Liberazione, il servizio cessa.
Come ripristinare un nuovo servizio in poco tempo?
Il 21 maggio 1945 gli Alleati autorizzano la Corrieri Alta Italia a riprendere l’attività interrotta.
La vita riprende e sulle strade riappaiono i ciclisti.
Con le strade non più battute dai bombardamenti ai ciclisti si affiancano moto e auto.
Il 30 giugno 1945 La Corrieri Alta Italia cessa la sua attività, con un bilancio non certo esaltante.
Esaltante lo è stato il suo servizio, quando una lettera di un caro era una ragione di vita
Sull’esempio della Corrieri alta Italia nasceranno analoghi organismi.
Perchè gli uomini non rinunciano mai a comunicare e a ricevere notizie.
Anche quando tutto intorno è morte e disperazione.
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“Morire sì, tocca a tutti prima o poi.
Ma morire così: schernito, umiliato, con il marchio di criminale e vecchio libidinoso.
Mi avessero detto prima di nascere che sarebbe finita così, avrei senz’altro declinato l’invito: no grazie, avanti un altro. Io aspetto tempi migliori…”
Oggi è il 2 giugno del 1942.
E sono 77.
I giorni passati in cella dopo la condanna, intendo.
E Irene?
Non ho sue notizie dal giorno della sentenza.
Ho saputo che è rinchiusa in un carcere femminile di massima sicurezza, insieme a ladre, assassine, prostitute e comuni criminali.
Chissà se è vero che la testa continua a vivere per qualche tempo, dopo che è stata tagliata dal corpo.
Perché sto per essere ghigliottinato?
Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?
Niente.
Ma è una lunga storia.
Iniziata nel 1932.
Sono arrabbiata, è vero.
Ma non per il pari merito che hanno decretato i giudici. Quella è solo un’ingiustizia.
E’ già successo nella gara precedente, quando i giudici mi hanno fatto perdere alla trave l’ennesima medaglia d’oro.
Troppe le pressioni per favorire le sovietiche.
Sono arrabbiata per ben altro.
Qualcosa di molto più profondo e importante, che tocca profondamente il mio cuore.
Mio e di tutto il mio popolo.
Non ce l’ho con lei, la sovietica Larisa Petrik che è con me sul gradino più alto del podio.
Sarà un piccolo gesto, ma lo devo fare.
Mi chiamo Vera e sono nata a Praga durante la guerra, esattamente il 3 Maggio 1942.
Avevo 14 anni quando mi appassionai alla ginnastica artistica.
A 16 anni avevo già vinto il mio primo argento ai mondiali.
E da quel giorno non mi fermai più, medaglia dopo medaglia.
Tempo fa vi ho raccontato alcuni aspetti della vita nell’antichità.
Dalla scuola alla legge, dalla medicina ai costumi. Questa sera parleremo, sempre riferito all’antichità, di uno dei piaceri della vita, partendo da una scoperta incredibile avvenuta nel 1974.
Le cause sono sconosciute, ma circa 15 secoli fa, incredibile a dirsi, a Roma si ostruì un condotto di scarico.
Non solo.
Successive alluvioni lo riempirono di fango.
Tranquilli, non stiamo parlando di un condotto qualsiasi, ma del collettore di scarico ovest sotto il Colosseo.
Quando nel 1974 la Soprintendenza alle Antichità di Roma incaricò alcuni scienziati di disostruire quel collettore, quello che trovarono in quel condotto fu qualcosa di assolutamente sorprendente
Una scoperta incredibile che oggi ci consente di conoscere meglio gli antichi romani
“Il fascismo sta cercando di rialzare la testa.
Posso dirlo con cognizione di causa perché noi il fascismo l’abbiamo visto in faccia.
Lo abbiamo conosciuto bene.
E lo abbiamo sconfitto.
Ma vi dirò di più
La Resistenza di noi donne non fu marginale.
Eravamo crocerossine certo, staffette, assistenti, ma abbiamo subito arresti, torture, violenze, deportazioni e fucilazioni
35.000 le donne partigiane.
4.653 quelle arrestate e torturate.
2.750 deportate.
2.900 uccise.
E c’ero anch'io
A 17 anni ero già una ribelle.
Volevo fare la rivoluzione.
Per caso, nell'ottobre del '43, incontrai un gruppo di partigiani.
Tra loro c'era Max Emiliani, mio grande amore.
“Max è stato fucilato a Bologna. Era il mio fidanzato. I miei non erano d'accordo”.
Non potevo certo restare senza far niente.
Sono entrata alla Marian Hall, casa per anziani in Pennsylvania, nel dicembre del 1983.
Esattamente due anni fa.
Ed ho subito pensato a come rendermi utile.
I miei quasi settant’anni non erano certo un impedimento o un freno.
Anzi.
E così, tramite le mie conoscenze, mi ero procurata un personal computer, un Apple IIe.
Era uscito nel gennaio dello stesso anno, terzo modello della serie Apple II.
La “e” stava per enhanced (migliorato).
Includeva alcune funzionalità che gli utenti di Apple II avevano avuto solo come opzioni a pagamento.
Un numero impressionante di slot di espansione, una visualizzazione di 80 colonne di testo, 64 KB di RAM (espandibile fino a 128 KB) e, per la prima volta, le lettere minuscole.
Che ci faccio su un carro insieme ad altri condannati mentre attraverso Milano tra due ali di folla urlante?
Una lunga storia che viene da lontano.
Tra poco tutto sarà finito, ma prima devo raccogliere le forze necessarie per raccontarvi l’assurdità della mia condanna.
Ricordo che quel 21 giugno 1630 era venerdì.
E come ogni mattina ero uscito per fare uno dei soliti giri d’ispezione.
Come Commissario della Sanità del Ducato di Milano era mio compito controllare e prendere appunti sui tanti edifici rimasti ormai vuoti a causa della peste.
Barba lunga e vestito in modo trasandato camminavo lungo la strada della Vetra de’ Cittadini nel rione di Porta Ticinese.
Dato che pioveva procedevo rasente ai muri.
Dopo aver passato sotto un “corritore” (quei piccoli cavalcavia che uniscono due palazzi) indugiai un attimo.