Oggi è il 23 marzo 2017.
Non è la prima volta che vengo ad Auschwitz.
Sono stanco, e non solo per i miei 83 anni.
Sono ormai trent’anni che cerco di portare alla luce le responsabilità di quell’azienda nello sterminio di milioni di esseri umani.
Era il 26 ottobre 1942 e sono certo che Kurt ripensò al suo passato.
Era stato assunto da quell'azienda come disegnatore tecnico e di strada ne aveva fatta parecchia.
Dopo nove anni era stato promosso ingegnere del reparto D.
E proprio in quel reparto aveva dato il meglio di sé.
Grazie al suo ingegno la sua ditta si stava aggiudicando tutti gli appalti.
Quel giorno era particolarmente euforico.
«Le mie idee sono davvero rivoluzionarie, posso supporre che mi concederete un bonus per il lavoro che ho fatto» aveva scritto in mattinata al suo direttore.
Giorni prima un cliente gli aveva comunicato di avere un problema.
Lui aveva trovato la soluzione.
Un forno di quattro piani completo di nastri trasportatori destinati ad aumentare drasticamente la velocità di smaltimento.
La sua ditta?
La J.A. Topf und Söhne.
Il cliente?
Le SS.
Quella ditta era la J.A. Topf und Söhne, fondata nel 1878 da A. Topf, inizialmente specializzata in sistemi di riscaldamento e impianti per la lavorazione di birra e malto.
Poi la società tedesca aveva cominciato ad accettare la cremazione umana come alternativa alla sepoltura.
E così la Topf und Söhne aveva iniziato a produrre forni crematori per le pompe funebri.
Però nel 1934 i regolamenti governativi per l'igiene e per il decoro nella gestione dei resti umani erano ancora molto rigidi.
Troppo rigidi.
In quegli anni alla guida della Topf und Söhne c’erano due fratelli di terza generazione, Ludwig ed Ernst-Wolfgang Topf.
L’azienda impiegava 1.150 lavoratori.
Le cose cambiarono quando nel 1933 entrambi i fratelli Topf si iscrissero al partito nazista.
Esattamente come fece uno dei lavoratori più significativi della loro azienda.
Uno dei loro ingegneri, proprio lui, Kurt Prüfer.
Fu così che nel 1939 la Topf und Söhne entrò in affari con il Terzo Reich.
I primi forni di incenerimento portatili furono consegnati al campo di concentramento di Buchenwald.
Kurt Prüfer li aveva progettati "a doppia muffola” violando le linee guida della cremazione che vietavano l'incendio di più di un corpo alla volta e il mescolamento delle ceneri.
Nel 1941 la Topf und Söhne aveva già fornito forni non solo a a Buchenwald, ma a Dachau, Mauthausen, Gusen e Auschwitz.
Alla fine della guerra, almeno venticinque forni Topf and Sons erano in funzione in Germania e nella Polonia occupata.
Ad Auschwitz lo smaltimento dei cadaveri era diventato molto più urgente.
Per questo Prüfer e gli ingegneri di Topf avevano progettato nuovi forni "a otto muffole" in grado di bruciare più corpi contemporaneamente e fornito sistemi di ventilazione per rimuovere lo Zyklon B.
Dai documenti risulta che Kurt Prüfer, fra il novembre 1940 e il maggio 1944, andò più volte ad Auschwitz. Dopo la guerra venne arrestato dagli americani, ma subito rilasciato.
Furono i sovietici a condannarlo, nel 1948, a 25 anni di lavori forzati.
Secondo un documento del Kgb, Kurt Prüfer morì il 24 ottobre 1952 a causa di una emorragia cerebrale nella baracca-ospedale n. 23 di un campo speciale. Dall’interrogatorio di Kurt Prüfer durante al Processo di Norimberga si può leggere questo.
D. Ha visto una camera a gas vicino ai crematori?
R. Sì, ne ho visto una.
D. Sapeva quello che avveniva nelle camere a gas?
R. Sì. lo sapevo.
D. Perché il rivestimento in mattoni delle muffole si danneggiava così rapidamente?
R. Per il troppo utilizzo.
D. Era l'unico ingegnere Topf ad Auschwitz nella primavera del 1943?
R. No, c’era anche Schultze […]Ho visto 60 cadaveri pronti per l'incenerimento. […] Ho assistito all'incenerimento di sei cadaveri e poi sono giunto a una conclusione.
I forni funzionavano benissimo.
Cosa aveva fatto la famiglia Topf lo avevo capito quando avevo visto nei cinegiornali il logo della loro azienda inciso sui forni crematori di Auschwitz.
Fu un momento terribile per me.
Mi crollò il mondo addosso.
Come avevano potuto uomini comuni diventare complici di un genocidio?
Certo, la Topf und Söhne non fu la sola azienda, ma questo non mi ha mai confortato, anzi.
Oggi, la Topf and Sons di Erfurt ospita un museo e un sito commemorativo.
Oggi è il 23 marzo 2017.
Mi chiamo Hartmut.
Non è la prima volta che vengo ad Auschwitz.
Sono ormai trent’anni che cerco di a mettere in luce le responsabilità di quell’azienda nello sterminio di milioni di esseri umani.
E vi assicuro, che non è stato facile per un Topf.
«Ho ereditato il nome. Fortunatamente non ho ereditato l’azienda. Ma sentii di avere un obbligo. Da bambino mi vantavo di essere un Topf, e ora sento che è mio dovere raccontare la storia orribile della loro infamia. Devo dare il mio contributo. Questa è la mia responsabilità».
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Era il 21 giugno 1944, un mercoledì, quando Concetto Pettinato, direttore della Stampa, uscì con un articolo dal titolo: “Se ci sei, batti un colpo”.
A chi era rivolto quell’invito?
Al governo della Repubblica di Salò che era praticamente impotente nei territori formalmente suoi.
“Con le ordinanze scritte sulla carta non si va avanti. Si ha ormai bisogno di vedere, di sentire, di toccar con mano il Governo della Repubblica, perché in certe situazioni l’uomo crede solo alla presenza reale”. Insomma.
“Se ci sei, batti un colpo”.
Nessuno sentì mai quel colpo.
E come poteva arrivare da un “Governo fantasma” ormai tenuto in piedi dall’alleato tedesco?
Dopo l’8 settembre 1943 tutto era andato a catafascio.
Le Forze Armate certo, ma anche la rete ferroviaria e quasi tutti i servizi pubblici.
C’è chi descrive la realtà nella sua interezza.
E poi c’è chi fa solo propaganda, che è una descrizione parziale e spesso falsa della stessa realtà. La propaganda mira a influenzare le opinioni e il comportamento altrui, a vantaggio di qualcuno, per determinati obiettivi.
Quante tecniche esistono per creare falsi messaggi, e per fare della propaganda credibile?
A decine.
Si va dalla "conventio ad tacendum", dove si scelgono le notizie da dare e quelle da nascondere, al “ricorso alla paura” per creare qualche ipotetico nemico immaginario.
Del “ricorso alla paura” fu maestro Goebbels, che riuscì a convincere milioni di tedeschi che qualcuno voleva la loro morte.
(Si servì anche delle idee e dei libri di Theodore N. Kaufman, uomo d'affari e scrittore ebreo americano)
"Il fascismo sta cercando di rialzare la testa.
Posso dirlo con cognizione di causa perché io il fascismo l’ho visto in faccia.
Lo abbiamo visto in faccia.
E lo abbiamo sconfitto".
Per questo oggi l’Italia è antifascista.
Per legge, non per opinione.
La Resistenza di noi donne non fu marginale.
Eravamo crocerossine certo, staffette, assistenti, ma abbiamo subito arresti, torture, violenze, deportazioni e fucilazioni.
Migliaia le donne partigiane.
4.653 quelle arrestate e torturate.
2.750 deportate, 2.900 uccise.
E c’ero io
Ricordate i vostri 18 anni?
Immagino di sì, e spero siano stati sereni.
E' un’età importante.
L’affetto dei vostri genitori, gli amici, le giornate in biblioteca a studiare, le serate in discoteca.
O una passeggiata a cavallo.
Un momento della vita particolare, indimenticabile.
Quando entrai alla reale Scuola militare di Brienne-le-Château avevo solo 10 anni e l’incontro col direttore non fu certo tra i più amichevoli.
“Preferirei non annacquare la qualità del nostro corpo studentesco ammettendo qualcuno che non viene dalla Francia continentale”, disse.
Fu allora che mio padre andò su tutte le furie.
«Il ragazzo resta qui», gli urlò, «gli è stata assegnata una borsa di studio reale. Voi gli darete un’istruzione, come da accordi».
Capii in quel momento che per me non sarebbe stato un soggiorno sereno.
Parlavo pochissimo il francese e non ero certo ricco come i miei compagni.
Per questo mi presero di mira fin da subito.
Non provenivo dall’alta aristocrazia francese.
Mi sentivo italiano, toscano e parlavo la lingua materna, l’italiano appunto.
L'unica certezza è che non era sua intenzione.
Quella di riprendere i contatti col mondo esterno, intendo.
Ma in quel 5 marzo 1931, verso le quattro del pomeriggio, fu costretta a fare quello che non aveva mai fatto nei 24 anni precedenti.
Aprire la porta e chiamare aiuto.
"Cameriera, vieni qui! Corri! Mia sorella è malata. Chiama subito un dottore. Penso che morirà". Accorsero in tanti nella sua camera, nella suite 552 dell’Herald Square Hotel.
A cominciare dal direttore.
Poi arrivò il medico del vicino Hotel McAlpin.
E infine il becchino.
Sua sorella, miss Mary E. Mayfield, giaceva sul divano coperta da un lenzuolo.
Ed era ormai morta.
Quello che videro in quella stanza fu qualcosa di sconvolgente.
C’erano pile di giornali ingialliti in ogni angolo.
Scatole vuote di cracker, gomitoli, e carta d’imballaggio.
Basta sfogliare l’Annuario Pontificio 2023, che include Papa Francesco, per sapere che ci sono stati 266 regni dei pontefici.
Se non l’avete letto vi confiderò un segreto.
Ci sono stati 266 regni dei pontefici, ma non ci sono stati 266 Papi.
Poffarbacco, e come mai?
Perché nell’elenco io compaio ufficialmente per ben tre volte, tutte riconosciute come valide.
Non solo.
Voi pensate che Benedetto XVI sia stato l’unico Papa a dimettersi.
Invece si dimisero anche Clemente I, Ponziano, Celestino, Gregorio XII e…il sottoscritto.
Non solo.
Lo sapevate che nel 1046, caso unico, quattro Papi occuparono contemporaneamente il trono di San Pietro?
Furono Silvestro III, Gregorio VI , Clemente II e…il sottoscritto.
Dimenticavo.
Sono Papa Benedetto IX, nato Teofilatto.