A casa mia la parola “tzionì” (sionista) è sempre stata una strana bestia.
D’altronde mia mamma, appena ha potuto, a 18 anni, è fuggita dal paese, da “pecora nera” della famiglia. Gli anni che ho vissuto lì sono stati di circostanza, non certo il risultato di una fede. 1/
Da piccolo sentivo usare la parola “tzionì” casualmente (non dai miei), un po’ come in Italia alcuni direbbero “un cristiano” per definire un essere umano.
“Tzionì” era equivalente ad ebreo, magari per dire “buon cittadino”. Oggi so quanto è problematica questa equivalenza. 2/
A casa nostra non si usava mai. Se mia madre diceva “quello è un tzionì!”, normalmente intendeva “un fascista”.
Crescendo vedevo sempre la parola associata ai partiti di destra. Oppure a vecchie immagini di buffi pallidi in pantaloncini nel deserto, i “halutzim”, 3/
dei quali sentivo solo storie, vecchie di un secolo o quasi, di coraggio e difficile adattamento - al caldo mediorientale, al duro lavoro nei campi aridi. C’erano sketch televisivi con personaggi calorosi che danzavano dopo le fatiche di giornata. 4/
Di arabi poche tracce nei racconti. Semmai apparivano in forma caricaturale o stereotipata, beduini con cammelli, loschi figuri oppure “buoni selvaggi”. Era evidenti che i nuovi arrivati, acculturati e volenterosi, avessero titolo a plasmare il territorio. 5/
Mio padre ha fatto un percorso inverso. Da ragazzino ha assistito, dalla sua finestra su piazza Paganica a Roma, allo sgombero del ghetto. La sua famiglia ha nascosto ebrei. È cresciuto con un profondo legame per quel popolo e per la sua storia millenaria. 6/
Per questo la storia di Israele per lui aveva un grande fascino. Negli anni 60, da regista RAI, decise di andare lì e raccontare, documentare. Conobbe mia madre (tornata, ma solo in attesa di fuggire di nuovo), conquistandola con una “celebre” frase: « Je suis communist! » 7/
Mio padre era affascinato dai kibbutz, dal “sionismo socialista”, ma credo che ingenuamente ne avesse soppresso i tratti razzisti e coloniali.
Sono cresciuto con un po’ di mitologia sull’eroismo in battaglia degli israeliani. “Attaccati e sempre vittoriosi”. 8/
“All’avanguardia in tante tecnologie”. Tanti stereotipi facevano presa in me. Ho però versato lacrime di gioia, quando Rabin e Arafat hanno stretto la mano. Ho pianto lacrime di disperazione quando Rabin è stato assassinato. 9/
Ma lo scetticismo si è manifestato presto, con il diventare più adulto.
Continuo a pensare che con Rabin qualche speranza ci fosse, ma la violenza e l’arroganza di molte posizioni cosiddette “di pace” è apparsa lampante. E poi ho studiato di più. 10/
Ho ascoltato i miei amici attivisti dai territori, ho visto i racconti da Jenin documentati da Mohammad Bakri, attore palestinese che ha lavorato con mio padre. Mi sono interessato e fonti dirette hanno sciolto le lenti rosa attraverso le quali avevo conosciuto l’occupazione.11/
Avevo sempre saputo di un occupante ed un occupato, di una pace da raggiungere, ma il tiranno era piuttosto benevolo. Piano piano ho capito quanto non lo fosse, quanto cercasse di vendere al mondo quell’immagine di perenne vittima, di estrema moralità.12/
Ho solo acquisito la consapevolezza che mi ha permesso di vedere come stanno le cose. La meravigliosa casa a Yafo di una cara amica di famiglia? Era di arabi che sono stati cacciati nel 48. I mille checkpoint in Cisgiordania? Uno strumento di sottile tortura quotidiana. 13/
Un’intera “Architettura dell’occupazione” (libro di Eyal Weizman che consiglio) che ha plasmato tutti gli spazi vitali dei territori, per esercitare un controllo assoluto sulla vita dei palestinesi.
14/
La capacità di chiedere a diversi israeliani, tra cui mia madre: “Ma lo sionismo?” - “Per carità! È razzismo, fascismo, violenza e sopruso!”
Ci ho messo un po’, ma ci sono arrivato. E questo non mi porta a voler sterminare nessuno, ci mancherebbe. 15/
Non entro qui nel tema delle soluzioni per quella terra. Di certo l’occupazione deve finire. La dignità dei palestinesi deve essere ristabilita. I coloni maledetti vanno sgombrati. I cittadini israeliani vanno tutelati - ma Israele non può esistere nella sua forma odierna. 16/
Non sono e mai sarò “tzionì”, proprio in nome delle persecuzioni di secoli.
Perché reclamare con arroganza e violenza una terra biblica, dichiarandosi unici portatori di civiltà ai danni di altri popoli, è proprio ciò che abbiamo subito come ebrei nel mondo. Non in mio nome. /17
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Un documento straordinario del 1993.
Yeshayahu Leibowitz, al quale era stato appena assegnato il “premio Israele” per la sua opera (premio che poi rifiutò), torna ad affrontare il termine da lui coniato - “giudeo-nazisti”
Nel dibattito è presente Tommi Lapid, padre di Yair Lapid, attuale leader di “opposizione”.
Leibowitz dice che in alcuni circoli la mentalità giudeo-nazista è viva e vegeta. Lapid inorridisce e chiede provocatoriamente: “Israele quindi tiene milioni di arabi… 2/n
…in campo di concentramento?”.
Leibowitz risponde: “mi risulta che ci siano migliaia di arabi in campi di concentramento.”
Lapid insiste: “e poi li brucia e li mette nelle camere a gas? Milioni nei campi”.
Leibowitz ripete: “sono migliaia nei campi!” 3/n
Cronaca nera in Israele:
Un gruppo di giovani palestinesi (cittadini israeliani) si trovava una sera in un parco a Gerusalemme. Un gruppo di ebrei israeliani arriva, comincia a spintonare, insultare e cerca di cacciare gli arabi. 1/n haaretz.co.il/news/law/2025-…
I palestinesi chiamano la polizia, che arriva e comincia a trattarli da delinquenti, li perquisisce e poi se ne va, senza dire nulla agli israeliani. Che allora prendono coraggio e cominciano una sassaiola. I palestinesi fuggono. 2/n
Due giorni dopo, nello stesso parco, gli israeliani riconoscono i palestinesi, uno di loro li minaccia con un bastone. I palestinesi vanno via e gli israeliani li inseguono. Fuad Alain sale sulla sua moto e un altro ragazzo con lui. 3/n
Un anno fa Israele è stata attaccata.
Un anno fa la rabbia palestinese ha trovato sfogo in un'operazione a lungo pianificata.
Un anno fa nel caos centinaia di persone sono morte per mano di milizie palestinesi e dell'esercito israeliano.
Un anno fa non è iniziato nulla. 1/
Il 7 ottobre 2023 è un giorno traumatico per la memoria collettiva israeliana. Un giorno di disfatta, nel quale è esplosa una bolla di arroganza e onnipotenza, o magari anche solo di indifferenza. 2/
Un giorno traumatico per molti lutti, spesso atroci, e per chi ha visto portare via persone care. Molte delle quali nel frattempo sono morte o mai tornate. Sono migliaia di tragedie individuali che non possono non toccare umanamente. 3/
Oggi mi è tornato in mente un episodio dalla mia ultima visita in Israele, nel 2017 ormai (la prendo larga).
Ero a Jaffa, da una cara amica di famiglia. Cittadina araba accanto alla quale è stata costruita Tel Aviv e ancora oggi vi abitano molti arabi, cittadini israeliani. 1/
Molti altri sono stati cacciati nel 48, e questa cara amica abita per l’appunto in una stupenda casa che fu di palestinesi (passata di mano più volte prima di arrivare a lei).
Ho molti ricordi da Jaffa, fin dall’infanzia: il mio fornaio preferito, dove andavo da piccolo 2/
a comprare pite fresche, uno spettacolo di profumo, bollenti, appena uscite dal forno, non vedevo l’ora di addentarle.
Abu Hassan, il miglior hummus della città; veniva gente da Tel Aviv. Mi viene l’acquolina a pensarci. Bisognava arrivare presto, verso le 11, 3/
Nel 2015 presentavo la mia tesi di LM in Relazioni Internazionali e scrivevo questa prefazione, che pubblico qui in #thread.
Fa impressione ricordare sentimenti e reazioni simili a quelli odierni, ma oggi è molto peggio. Ma ho intenzione di andare avanti con la mia voce: /1
"Il 30 dicembre del 1987, se la memoria non mi inganna, percorrevo in macchina con i miei genitori le strade che, attraversando buona parte della Cisgiordania, conducevano a nord, non lontano dal lago di Tiberiade e da Nazareth, in direzione del kibbutz Gvat, dove abitavano… /2
…lontani parenti che andavamo a visitare in occasione del mio dodicesimo compleanno.
Lungo la strada ci fermammo a mangiare in un villaggio, nel pieno dei territori occupati, ignorando gli avvertimenti dei parenti che ci avevano sconsigliato di fare quella gita. /3
Molti soldati israeliani stanno rubando di tutto nelle case distrutte e abbandonate di Gaza.
Piccola cosa rispetto alla sete di sangue, ma enorme danno d’immagine per “l’esercito più morale del mondo”. #thread 1/ haaretz.co.il/opinions/2024-…
Riporta un medico dei riservisti: “Piccole unità, meno disciplinate, hanno rubato telefoni, Dyson, moto e bici. Mi sono vergognato. A un certo punto ho smesso di rimproverare, perché mi facevano passare per piantagrane”.
Il fenomeno è diffuso al punto che non è controllabile. 2/
Un combattente dell’unità Giv’ati mostra con orgoglio al giornalista di Kan11 un grande specchio preso da una casa a Khan Yunis. Nei social circolano video di soldati con magliette da calcio rubate, con pranzetti cucinati rubando i prodotti nelle case. 3/