[Italia in Europa] – Lasciando ad altri l’analisi delle questioni interne italiane, è utile osservare alcuni episodi che hanno suscitato dibattito sul ruolo dell’Italia nelle prime attività del rinnovato Parlamento europeo.
Il ruolo internazionale di un Paese non è dato dai >
suoi processi politici interni, ma dal loro esito: è questo che si vede, da fuori, non la baraonda che ci sta dietro. Pesano altresì chiarezza e credibilità delle azioni compiute. A ciò si aggiunge la qualità umana e tecnica di uomini e donne che rappresentano un Paese nelle
arene internazionali.
L’Italia sembra pensare che un ruolo internazionale debba esserle attribuito d’ufficio: in nome della geografia, della produzione industriale, dell’essere Paese fondatore dell’Unione europea e via di seguito.
Intanto, rispetto alla guerra in
Ucraina – per tacere di quella in Palestina – dall’Italia salgono messaggi che vanno da «abbassare i toni con la Russia» alla «difesa nonviolenta» dell’Ucraina, sino allo scioglimento della NATO.
Tali tesi, irresponsabili e irreali, in altri Paesi sono collocabili in correnti
ben definite e quantificabili. In Italia, invece, convivono negli stessi partiti con coloro che rappresentano posizioni responsabili, rendendo impossibile riconoscere l’orientamento prevalente del Paese. Ciò s’inserisce su uno storico di politica estera già confuso. Sui requisiti
soggettivi degli eletti a rappresentare l’Italia sulla scena internazionale, poi, sembra preferibile astenersi dal giudizio, salvo eccezioni.
Roma pare dimenticare che un Paese è determinante se sa occupare i crocevia delle questioni internazionali con azioni chiare, inserite
su precedenti storici coerenti, rappresentate da dirigenti di qualità. Ciò vale a maggior ragione in tempo di guerra, nel quale siamo tutti, anche se ci piace pensare che la guerra sia altrove.
La guerra finirà e, allora, a determinare i rapporti di forza europei saranno i Paesi
che avranno sostenuto con coerenza e vinto la guerra, combattendola anche sul terreno a fianco dell’Ucraina, se sarà il caso. In ciò, le risse tra
partiti e gruppi d’interesse restano controscene irrilevanti: la scena è dominata dai protagonisti.
* Invito a iscriversi al notiziario del mio sito LucaLovisolo .ch, per le prossime analisi.
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[Trump e Vance] — Non è ancora noto se il duo Donald Trump – J.D. Vance salirà al soglio presidenziale degli Stati uniti: se anche sarà, il vicepresidente non ha i poteri d’indirizzo del presidente e le azioni concrete di un governante possono discostarsi molto dalle sue >
dichiarazioni.
Su Vance vi sono però considerazioni utili da riportare, poiché valgono anche se Trump fosse sconfitto: la generazione di Vance guiderà gli USA nei prossimi decenni, dal governo o dall’opposizione; le posizioni di Vance vanno consolidandosi nell’opinione pubblica
statunitense e lo scarto con la precedente generazione è profondo.
Ricordo bene l’intervento di Vance alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, cinque mesi fa. Suggerisce le tre osservazioni seguenti.
1. Vance e i politici della sua generazione mancano di cultura e non
[Attentato Trump] – Immaginare complotti dietro l’attentato a Donald Trump è possibile ma imprudente. Altri presidenti degli Stati uniti, capi di governo e di altri Stati hanno subito attentati, poi rivelatisi opera individuale di squilibrati. Gli elementi oggettivi e >
soggettivi sinora noti sul fatto suggeriscono lo stesso movente.
D’altra parte, chi vuole manipolare le elezioni presidenziali USA può farlo con mezzi più efficaci e meno rischiosi.
L’attentato è gravissimo per la condizione interna degli Stati uniti. Sembra frettoloso, però,
predire che influenzerà il risultato delle elezioni di novembre: l’emotività suscitata dall’accaduto è bruciante, ma le reazioni emotive hanno vita breve.
Il fatto va misurato nella sua gravità, senza
[NATO 75 anni] - A 75 anni dalla sua fondazione, la NATO affronta una sfida inedita. L’Alleanza nacque al termine della Seconda guerra mondiale, con due scopi essenziali: tutelare in caso di attacco il territorio degli Stati membri e salvaguardare con lo strumento militare il >
sistema di valori che li orienta, fondato sui principi della società aperta.
Per tutta la Guerra fredda, terminata tra il 1989 e il 1991, il confine formale della NATO corrispose a quello sostanziale: significa che tutti gli Stati ad di qua del confine che divideva l’Europa a
metà si riconoscevano nei valori occidentali; tutti gli Stati al di là del confine erano governati da regimi fondati su società chiuse ispirate al marxismo-leninismo.
In conseguenza, era altrettanto chiaro il quadro di riferimento politico e militare: chiunque avesse superato
[Daghestan, fatti di ieri] – Il separatismo è solo un punto di partenza, nell’analizzare i fatti di queste ore in Daghestan, repubblica autonoma del Caucaso, parte della Federazione russa.
La Russia ha occupato il Caucaso all’inizio dell’Ottocento. A nord ha sottomesso
popolazioni musulmane che oggi costituiscono repubbliche all’interno della Russia, perciò non hanno conseguito l’indipendenza da Mosca nel 1991. Si tratta di Stati costruiti a tavolino in zone dove si incrociano molte etnie e nei quali l’elemento russo resta un corpo estraneo. E’
servito a poco, in due secoli, russificare i cognomi, con esiti talvolta impronunciabili, imporre istituzioni laiche e, fino al 1991, di ideologia comunista. Lo scontro resta fra potere costituzionale russo e poteri tribali, a loro volta in conflitto fra loro, debitori della
[Conferenza sull'Ucraina in Svizzera] – Intorno alla Conferenza sulla pace in Ucraina conclusasi ieri in Svizzera ruotano tre interrogativi: il suo senso, il suo esito e il motivo dell’assenza della Russia.
Tema centrale della Conferenza era il principio dell’integrità
territoriale applicato all’Ucraina: vale per tutti i Paesi del mondo. Sino alla Seconda guerra mondiale, se un Paese conquistava il territorio di un altro, si modificavano le carte geografiche e si considerava legittimo che i confini si cambiassero con l’uso della forza.
Preso
atto che proprio la brama di conquista è all’origine dei peggiori conflitti della Storia, nella carta delle Nazioni unite (1945) gli Stati hanno fissato il principio di rinuncia all’uso della forza. In conseguenza, ogni conquista territoriale violenta non è più riconosciuta
[Putin offre la pace? «Ma mi faccia il piacere!»] – L’intero discorso-fiume tenuto di Vladimir Putin nelle scorse ore al Ministero degli esteri russo merita un’analisi che seguirà; qui è utile estrarne la nuova «proposta di pace» di Putin sull’Ucraina.
Putin promette di cessare >
i combattimenti se l’Ucraina rinuncerà alle regioni di Donec’k, Luhansk, Kherson e Zaporižžja. Una precisazione: la pretesa di Putin non si limita ai territori ora occupati. La Russia esige queste regioni in tutta la loro estensione amministrativa. Ciò significa che l’Ucraina
dovrebbe cedere anche le parti di esse che la Russia non ha occupato e quelle che l’esercito ucraino ha già liberato dall’occupazione, come l’area di Kherson a ovest del fiume Dnipro.
Con questa pretesa, Putin vuole spostare le frontiere russo-ucraine con la forza. Ciò è