Anno 1994 - Carcere di Regina Coeli - Cella numero 306.
Sul muro, incisa con un chiodo, una scritta: ”Sono Anticoli Lazzaro, detto Bucefalo, pugilatore. Se no arivedo la mia famija mi è colpa di quella venduta di Celeste Di Porto. Rivendicatemi”
Anticoli Lazzaro era un ragazzo del ghetto ebraico di Roma.
Si guadagnava da vivere facendo pugilato di terza categoria.
Era sposato da poco e aveva una bambina quando la mattina del 24 marzo 1944 venne prelevato e ucciso con un colpo alla nuca nelle fosse Ardeatine.
Facciamo un passo indietro.
Al 23 marzo 1944 - Via Tasso, Roma.
Dopo l’attentato di Via Rasella, Kappler sta compilando la lista dei 330 italiani da uccidere come rappresaglia.
Non riesce a raggiungere il numero.
Gli mancano 50 nomi.
Il questore di Roma Caruso sente il telefono squillare.
Dall’altro capo Kappler chiede 50 nomi da inserire nella lista.
Che fare?
Caruso chiama il Ministro dell’Interno Buffarini Guidi.
“Bisogna darglieli, dice, altrimenti se la prendono con noi”.
Detto fatto, ma mancano ancora 26 nomi.
Fu allora che Caruso pensò a lei, alla pantera nera.
Fu lei a fornire i nomi dei 26 ebrei che mancavano.
Perché lei per ogni ”capo” (così li chiamava”) riceveva una ricompensa da 5.000 a 50.000 lire a seconda dell’importanza della delazione
Lei era nata nel 1925 a Roma, nel ghetto ebraico.
Bella era bella.
La chiamavano “ la stella di Piazza Giulia” e abitava in Via della Reginella a Roma.
Lei si chiamava Celeste, e nel 1943 aveva 18 anni. Alta, slanciata, con chiome nerissime.
Per la famiglia era “Stella”.
Suo padre aveva un negozio di merciaio e guadagnava tanto da permettersi una cameriera.
Lei aveva conosciuto tale Antonelli, un poco di buono, e si era invaghita di lui, anche se già promessa sposa a un altro ebreo del ghetto.
Aveva anche amicizie con esponenti del fascismo.
Dopo il 16 ottobre 1943, giorno del rastrellamento del ghetto, era cambiata.
Per ogni ebreo consegnato dalla popolazione alla Gestapo c’era una ricompensa di 5.000 lire (quasi lo stipendio annuo di un operaio).
Fu così che scelse di diventare una spia.
Una delatrice di ebrei.
Nel ghetto ormai tutti avevano paura di lei.
Ogni tanto la si vedeva passeggiare per le strade seguita a poca distanza da tedeschi pronti ad ogni suo accenno.
Lei li conosceva tutti gli ebrei.
E appena ne individuava uno bastava un cenno del capo per far intervenire i tedeschi
Tutti ormai sapevano che era una spia.
Dai vagoni piombati in partenza per il Nord venivano lanciati bigliettini che la maledivano.
Inviti a chi era sfuggito alla Pantera Nera di vendicarli e minacce di morte se un giorno ci fosse stato un ritorno.
Quando il 4 giugno 1944 Roma fu occupata dalle truppe alleate, Celeste fuggì da Roma.
Arrivò a Napoli per lavorare come prostituta in una casa d'appuntamento frequentata anche da truppe alleate.
Venne riconosciuta.
Rilasciata entrò in un convento di suore di clausura a Perugia.
Nel corso di uno dei processi per i crimini di guerra venne condannata a 12 anni di carcere.
A seguito dell’amnistia ne scontò solo 7.
In carcere si convertì al cattolicesimo e annunciò di voler prendere i voti religiosi.
Uscita dal carcere si trasferì nuovamente a Roma.
Chi era veramente Celeste Di Porto?
Celeste fu quella che mandò nei lager decine di ebrei. Fu colei che fece i nomi di 26 ebrei uccisi poi alle Fosse Ardeatine.
Che mandò nei lager, denunciandoli, sia il cognato Ugo di Nola, che il cugino Armado Di Segni.
Che fece morire il padre.
Distrutto dalla vergogna, si presentò spontaneamente ai tedeschi dicendo di essere ebreo.
Fu spedito nei lager e morì a Mauthausen.
Due suoi fratelli furono deportati.
Un terzo, per cancellare l'orrendo marchio, si arruolò nella Legione Straniera.
Ricordate la bambina del pugile Anticoli Lazzaro, detto Bucefalo?
Oggi anche lei è mamma.
Conosce la frase incisa da suo padre in cella.
Non ha mai chiesto vendetta, perché “Il sangue di mio padre non deve essere sporcato con altro sangue” dice.
Il nome di suo padre non era compreso nella lista dei destinati alla morte.
Venne inserito poco prima del trasferimento alle Fosse Ardeatine in sostituzione di un altro ebreo prigioniero.
Il nome del prigioniero?
Angelo Di Porto.
Sì, il fratello di Celeste.
Che fine ha fatto Celeste Di Porto?
Il saggista Silvio Bertoldi, in un articolo sul Corriere del 1994, scrive: “Oggi, se è ancora viva, dovrebbe avere 69 anni”.
Ha ragione Wikipedia quando dice che è morta nel 1981.
Dimenticata.
Ma non da tutti.
Per creare un sistema squisitamente poliziesco, il fascismo incoraggiò la delazione, considerata come un dovere di ogni cittadino.
Grazie alle delazioni gli archivi di Polizia avevano informazioni di carattere privato su migliaia di italiani, schedati e sorvegliati.
Il ruolo giocato dalle spie fu determinante.
I maggiori fatti di sangue perpetrati dai nazi-fascisti sono avvenuti grazie a spie senza scrupoli.
Molti anche nella bergamasca.
Tra queste una spia in particolare.
Ma questa, è un'altra storia.
Fortunatamente oggi nessuno si sognerebbe di chiedere a qualcuno di diventare un delatore, di diventare una spia.
Ai medici per esempio.
Chi si sognerebbe mai di chiedere loro di diventare delatori?
Nessuno vero?
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Mi chiamavano “il tessitore”, ma sono sempre stato per tutti solo il “Bepi”.
Per il mio carattere, per quello che ho passato e per come è finita, la voglia di raccontarvi la mia storia è poca, anzi pochissima.
Ma per Johannes deve essere raccontata.
Dice che la gente deve sapere.
Mi chiamo Giuseppe Signorelli e sono nato a Bergamo il 18 settembre 1907.
Come molti ragazzi ho frequentato le scuole professionali indirizzo meccanico, riuscendo ad entrare ancora giovane alla Dalmine.
Con una mansione che mi aiutò moltissimo, quando venne il momento.
Ero addetto alla manutenzione delle macchine da scrivere negli uffici.
Quindi con assoluta libertà di movimento.
Di più.
Avevo la possibilità di conosce i dirigenti.
Come accadde a molti, io non aspettai l’8 settembre.
Iniziai ancora prima della guerra.
Lo so, qualcuno sminuisce continuamente quello che abbiamo fatto, affermando che in fondo sono stati gli Alleati a liberare il Paese.
Secondo queste persone noi potevano starcene tranquillamente seduti sul divano, aspettando la loro avanzata.
Agimmo diversamente.
Insieme a molti altri, decisi anch'io di fare qualcosa.
Tutto cominciò dopo l’8 settembre.
Nelle valli bergamasche si andavano formando i primi gruppi di lotta contro i nazi-fascisti.
Abitavo a Bergamo, quando si presentarono alla mia porta alcuni militari sbandati.
Li accolsi.
E li organizzai.
Diventammo la “banda Maresana”.
Li guidai per oltre un anno in azioni contro i tedeschi e i fascisti.
Finché la rappresaglia nazi-fascista non si scatenò contro la X Brigata Garibaldi, attiva nella val Taleggio, che aveva occupato i paesi della valle.
«Salve Gaio.
Ieri sera () abbiamo raccontato che una volta approvata la tua legge, che concedeva ai plebei le terre dei Galli, accadde qualcosa di grave.
Si avverò una delle sventure profetizzate dal Senato.
Le tribù galliche si rivoltarono contro Roma».bit.ly/4f3JbxW
E il Senato diede la colpa a me.
Assurdo.
Delle loro profezie fregava niente.
Come ti ho detto ai loro dei non credevo, figuriamoci alle profezie dei loro aruspici.
Sai, quei sacerdoti che prevedevano il futuro osservando le viscere degli animali sacrificati.
Stupidaggini.
«Stupidaggini, certo.
Ma avevano previsto la ribellione dei Celti, o Galli come li chiamavate.
Fu gioco facile scatenare il popolo contro di te.
La cosa era seria.
Nella capitale Mediolanum erano confluiti migliaia di Celti.
Partiti alla volta di Roma avevano assediato Rimini».
Sono sorpreso Johannes.
Non capisco perché tu voglia parlare con me.
Sui libri di storia solo un accenno sul mio conto, solo per dire che sono stato sconfitto da Annibale nella battaglia del lago Trasimeno.
Solo quello.
E niente più.
Hai letto cosa dicono di me gli storici?
«Sì, ho letto Polibio e Livio.
Hanno usato parole sprezzanti nei tuoi confronti.
Hanno scritto che hai sottovalutato il genio militare di Annibale.
Una domanda.
Molti altri generali sono stati sconfitti da Annibale, perché Polibio e Livio hanno disprezzato solo te?»
Hai ragione Johannes.
Non hanno scritto le stesse parole sdegnose su Publio Cornelio Scipione, sconfitto e ferito nella battaglia del Ticino.
Neppure su Tiberio Sempronio Longo, sconfitto da Annibale nella battaglia della Trebbia.
Per non parlare dei generali sconfitti a Canne.
Alla fine del thread sulla battaglia di Lepanto, Johannes vi ha raccontato che solo uno dei comandanti della flotta turca riuscì a salvarsi.
Si chiamava Uluç Alì Pascià, alla nascita Giovanni Dionigi Galeni.
Nato in provincia di Crotone.
Calabrese.
Che poi sarei io.
Che ci faceva un calabrese al comando dell'ala sinistra dello schieramento ottomano?
Forse è il caso di raccontarvi la mia storia.
Dall’inizio.
Sono nato a Le Castella, una frazione di Isola di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone.
Johannes ha scritto giusto.
Alla nascita mi chiamavo Giovanni Dionigi Galeni, nato nel 1519 da papà Birno, che mi insegnò a leggere, a scrivere e andar per mare, e mamma Pippa De Cicco, una contadina.
Perché mi chiamavano “rognoso”?
Per via di una tigna sulla testa.
Da gennaio a luglio di quest’anno, siamo nel 1572, mi daranno come ricompensa una “pensione” di due ducati al mese.
Il minimo dopo quello che ho fatto.
E soprattutto dopo quello che ho subìto.
Quando è successo?
Pochi mesi fa.
Una domenica.
Esattamente il 7 ottobre 1571
Che successe quel giorno?
Dovreste saperlo.
E’ su tutti i libri di storia.
Lo so, la storia è una materia da sempre mal digerita persino sui banchi di scuola.
Tranquilli.
Vi racconterò qualcosa io.
Lunghezza del thread permettendo.
Ricordo che quel giorno una lieve brezza increspava il mare.
E la più imponente flotta di galee che la cristianità fosse mai riuscita a mettere insieme, per combattere i turchi, avanzava controvento nel mar Ionio.