Il Mondo dei Terremoti Profile picture
Curiosità, news ed articoli sul mondo dei terremoti e dei vulcani.

Nov 23, 2021, 20 tweets

Alle ore 19:34 di quarantuno anni fa, un fortissimo #terremoto di magnitudo 6.9 colpì l'#Irpinia, una delle zone più sismiche di tutto il nostro paese. Da quel giorno l'intera geologia, sismologia e perfino l'intero sistema emergenziale italiano cambiò radicalmente. 👇🧵

L'epicentro esatto venne localizzato, dopo diverse ore, nella zona di Castelnuovo di Conza, un piccolo centro abitato che si trova al confine tra la Campania e la Basilicata. È proprio in questa zona che furono registrati gli effetti più gravi di questa complessa sequenza sismica

La scossa delle 19:34 venne avvertita in una vastissima zona del nostro paese, le segnalazioni dell'epoca arrivarono fino alla Pianura Padana verso nord e fino alla Sicilia nord-occidentale verso sud, un dettaglio che ci fa capire sin da subito la gravità di quel tragico evento.

Come abbiamo accennato poco più sopra, la maggior parte dei danni furono però concentrati tra Campania, Basilicata e Puglia, tre regioni in cui si registrarono decine e decine di centri abitati completamente rasi al suolo.

Tra questi, i più importanti furono quelli di Castelnuovo di Conza (SA), Conza della Campania (AV) e Balvano (PZ) tre località in cui crollarono la quasi totalità degli edifici cittadini, il che corrisponde al X grado della scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS).

Con una magnitudo così elevata, i danni provocati dalla scossa interessarono un'area molto estesa. Basti pensare che perfino a Napoli furono danneggiati oltre 7.700 edifici, alcuni dei quali crollarono completamente uccidendo ben 69 persone.

Ancora più a nord invece, nella zona di Carinola (Caserta), oltre 500 abitazioni subirono ingenti danni e due persone rimasero uccise.

Il bilancio finale fu catastrofico: 280.000 sfollati, 8.848 feriti e almeno 2.914 morti, un numero impressionante che fu sicuramente aggravato dalla lentezza dei soccorsi che arrivarono nelle aree epicentrali soltanto dopo diversi giorni.

Emblematico in questo senso fu la prima pagina pubblicata tre giorni dopo il terremoto dal quotidiano "Il Mattino" che intitolava a caratteri cubitali un "Fate Presto!".

La macchina dei soccorsi fu lenta e macchinosa per diversi motivi: all'epoca non era ancora nata la Protezione Civile, un servizio che negli anni successivi cambiò e migliorò in modo incredibile la tempestività dei soccorsi.

Inoltre i comuni più colpiti si trovavano in zone molto complicate da raggiungere già in situazioni normali, figuriamoci dopo un evento sismico di quella portata che ha contribuito a far crollare ponti, fatto franare pezzi di strada e di montagna

e in più ha danneggiato in modo irreparabile la maggior parte delle linee elettriche e di radiotrasmissioni che servivano per comunicare con le zone più colpite. La maggior parte di queste zone furono raggiunte dai soccorsi e dai volontari soltanto a cinque giorni di distanza.

Un'altra problematica da non sottovalutare era la mancanza di un istituto come l'INGV. In quegli anni infatti, non esisteva una sala di monitoraggio che potesse registrare e calcolare in modo tempestivo l'area epicentrale del terremoto per poter coordinare meglio i soccorsi.

Ciò fu aggravato dalla mancanza di una vera e propria rete di sismografi ed accelerometri che potesse fornire più informazioni in merito all'evento sismico, cosa che cambiò proprio a seguito di quella terribile catastrofe.

Nonostante tutti questi problemi tecnici comunque, il terremoto dell'Irpinia fu un evento davvero complesso da inquadrare e da studiare. Anche se lo chiamiamo "terremoto" infatti, quello del 23 novembre fu un evento multiplo.

Ovvero un tipo di evento sismico composto da ben tre terremoti di magnitudo compresa tra 6.4 e 6.6 (totale Mw 6.9) che sono avvenuti nell'arco di 40 secondi e che ruppero quattro segmenti di faglie differenti. È proprio per questo motivo che fu percepito molto a lungo.

Il terremoto dell'Irpinia fu anche anche il primo in Italia ad essere studiato grazie alla paleosismologia. La scossa creò infatti un rigetto della faglia in superficie alto ben 1.20 metri e lungo oltre 38 km, un vero e proprio laboratorio a cielo aperto.

Il terremoto del 1980 fu un evento che cambiò radicalmente anche ciò che si pensava sul meccanismo che scatenava i forti terremoti appenninici italiani. In quegli anni infatti, si pensava che l'appenino italiano fosse una catena nata da un processo di compressione

l'esatto opposto di quello che risultò essere il meccanismo focale del terremoto dell'Irpinia, ovvero un terremoto di tipo estensionale.

Con quella terribile sequenza sismica insomma, i sismologi capirono che l’Italia centrale e meridionale si stava ”stirando” dal Tirreno verso l’Adriatico, teoria che fu confermata durante i terremoti di Colfiorito del 1997 e dell'Aquila del 2009.

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