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"Finiremo tutti colpevoli per non aver capito che i mali grandi e irrimediabili dipendono dall’indulgenza verso i mali ancora piccoli e rimediabili” (V. Foa)

Sep 19, 2022, 19 tweets

Anno 1985 - Antonino di anni ne ha 38.
Da qualche anno è alla squadra mobile di Palermo a dirigere una squadra investigativa, la Catturandi.
Ne fanno parte solo volontari, uomini che non hanno paura di sfidare la mafia.
A Palermo ormai è una mattanza continua.

Bombe, mitra, pistole, un vero arsenale da guerra per lo scontro tra clan mafiosi che insanguina la città.
Dal 1979 al 1986, un bilancio terribile.
Alla fine del 1986 saranno oltre mille i morti, 500 vittime per strada, altre 500 rapite e scomparse.

Antonino, ottimo investigatore, sa di essere a rischio.
Sono stati uccisi dalla mafia poliziotti come Boris Giuliano e giudici come Costa, Terranova, Chinnici.
Il Presidente della regione Piersanti Mattarella, Pio la Torre, il prefetto Carlo Albero dalla Chiesa.

A capo della Catturandi Antonino aveva messo un amico, Beppe Montana.
Uno degli sbirri “pazzi”, trentenni amanti della giustizia.
E Il 28 luglio scorso Beppe è stato ammazzato al porto di Santa Flavia, dopo una breve gita domenicale in barca.

Grazie anche al "rapporto dei 162” da lui stilato, Falcone e Borsellino avevano potuto istruire il primo maxi processo alla mafia
Durante il processo per l’omicidio del giudice Chinnici rivela che il magistrato stava per spiccare un mandato di arresto per Ignazio e Antonino Salvo

Antonino sa di aver detto una cosa vera, dice che le prove ci sono, ma si ritrova non solo solo, ma messo sotto accusa.

E a Palermo, rimanere soli, per un giudice, un poliziotto o un uomo di Stato, significa solo una cosa: essere condannato a morte.
"Morti che camminano".

Da quel momento Antonino vive con un'angoscia tale, da insegnare alla sua bambina di due anni di rispondere sempre solo con il nome.
E lei ha imparato. "Sono "Elvira, Elvira e basta" ripete a tutti.
E lo stesso fanno gli altri figli Gaspare (11 anni) e Marida (9 anni)

E' l'angoscia non solo di Antonino, ma l'angoscia e la paura che sta segnando la vita di tutti i poliziotti a Palermo.
E delle loro famiglie.
Antonino ha fatto un patto con la moglie Laura.
E lei è diventata la sua sentinella.

Quando torna a casa, in Via Croce Rossa, il suo Ninni le telefona sempre.
E lei si mette a controllare la zona, dall’alto di quel residence con quei grattacieli divisi tra alberi e aiuole.
A Palermo la paura è parte integrante della vita di molte persone.

Basta un nonnulla per mandarla nel panico.
Una notte si era trovata in casa con la piccola Elvira e a mezzanotte era andata via la luce.
Tutta la zona al buio. Si era spaventata a morte.
E aveva telefonato al marito di non tornare a casa.

6 agosto 1985 – Antonino ormai torna poco a casa. Laura ci soffre, non vede il marito da 6 giorni, ma alle 14.30 riceve una telefonata inaspettata.
Dopo aver avvertito qualcuno in ufficio che sarebbe andato a casa, Antonino ha telefonato alla moglie: “sto arrivando Cicci"

Ore 16.00. L’Alfetta bianca è arrivata.
A bordo, oltre ad Antonino Cassarà, ci sono due agenti, Roberto Antiochia e al volante Natale Mondo.
E’ proprio Roberto ad aprire la portiera ad Antonino.
Mentre si dirigono dentro il palazzo scoppia l’inferno.

Un gruppo di nove uomini armati di Kalashnikov, appostati sulle finestre e sui piani dell'edificio in costruzione di fronte alla sua palazzina, al civico 77, hanno aperto il fuoco.
Alla fine saranno oltre duecento i colpi.

Antonino è raggiunto da un solo colpo fatate che gli spezza l’aorta mentre entra correndo nell’androne di casa.
La moglie Laura ha visto tutto.
Corre giù per le scale con Elvira in braccio bussando a tutte le porte per poterla lasciare a uno degli inquilini.
Nessuno le apre.

Scende giù giù fino in fondo alle scale dove Antonino si è trascinato morente.
Si siede sugli scalini piangendo.
Lo abbraccia.
Rimane sola, con l’amore della sua vita e non si dà pace.

Era nella logica di Cosa Nostra ammazzare gli sbirri bravi e Antonino Cassarà, commissario di Palermo, era uno di questi.
Lui lo sapeva.
E lo sapeva l'amore della sua vita, che dopo l'amico Montana sarebbe toccato a lui
Antonino non fu la sola vittima di quell'agguato.

L’agente Roberto Antiochia aveva 23 anni.
Aveva deciso volontariamente di fare da scorta al suo "capo".
Anche oggi. Anche se era in ferie.
Aveva provato a fare da scudo con il suo corpo a ad Antonino Cassarà.
Crivellato di colpi si era trascinato per poco, prima di morire.

Roberto faceva parte anche lui della squadra Catturandi di Cassarà.
Quella che sfidava la mafia ogni giorno.
Con lui molti giovani poliziotti, uomini che amavano, sognavano, soffrivano e credevano nei valori di un Paese migliore.
Uniti come fratelli.

L’altro agente, Natale Mondo, autista e braccio destro di Cassarà, si salvò miracolosamente.

Oggi non vi parlerò di lui.
Lo farò magari domani.
Perché la sua è veramente una storia allucinante, difficile persino da raccontare.

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