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Dec 1, 2022, 10 tweets

#MondoBeatles By @DonPiricoddi con la collaborazione di @florabarral
@thebeatles #RubberSoul 1 parte
Grandi lavoratori i Beatles. Una gioventù vissuta con la chitarra in mano, in tour perenne sin dal 1960, i tempi dei lunghi ingaggi ad Amburgo…

look da teppistello e locali di quart’ordine, “fatti” di pasticche a suonare proto-punk tra marinai ubriachi, risse, guai con la polizia e puttane adescatrici. Poi la firma di un contratto con la EMI/Parlophone per un ruolino di marcia a dir poco impegnativo:

ogni anno due LP e un paio di singoli inediti, nei momenti di pausa (si fa per dire) tour in ogni parte del globo, poi apparizioni tv e radio, film, interviste, sessioni fotografiche, una giostra in moto perpetuo.

Rientrati dall’ennesimo estenuante tour degli States, preceduto in giugno dal mini tour europeo che li ha portati per la prima e unica volta in Italia con tre date a Milano, Genova e Roma, i Beatles entrano in studio nell’ottobre ’65 per le session di Rubber Soul.

A questo punto è già iniziato per i ragazzi quello che Lennon definirà il nuovo periodo di presa di coscienza.
Stimolati dal nuovo giochino delle droghe e dalla sempre più forte competizione con i nuovi astri del music business (Byrds, Beach Boys, Who, Stones),

eccitati dalla recente frequentazione degli ambienti underground della controcultura londinese, i ragazzi si allontanano quasi definitivamente dalla dimensione live per appropriarsi dello studio di registrazione.

E’ il periodo in cui mettono in minoranza i severi tecnici di studio della EMI (allora in austero camice bianco), ed entrano nella control room al fianco di George Martin curando personalmente l’itinerario da seguire. Inducono lo staff di Abbey Road a superare gli antiquati

limiti imposti dal regolamento, pretendono di saturare oltremisura i toni acuti delle chitarre di Nowhere Man e vi riescono, dopo le iniziali reticenze dei tecnici; l’introduzione del sitar in Norwegian Wood creerà parecchi grattacapi agli ingegneri del suono per i picchi

in rosso causati dall’imprevedibilità delle onde sonore dello strumento; provano a registrare il basso direttamente nella console senza passare dall’amplificatore; gli studi di Abbey Road diventano quindi un laboratorio artigianale nel quale anche l’umile operatore ai nastri

è chiamato a fare la sua parte spingendosi oltre i suoi limiti. Il laboratorio è sempre aperto, anche a notte fonda.
Continua domani con la seconda parte

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