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Apr 2, 2023, 24 tweets

Tre colpi precisi al petto a formare una V.
Accanto al cadavere un biglietto, "Vittoria o morte. ELN.", una parrucca e una Colt Cobra 38 Special.
Così muore la mattina del 1° aprile 1971, 52 anni fa, Roberto Quintanilla Pereira, console boliviano ad Amburgo.
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Ma il suo nome è più conosciuto negli ambienti della sicurezza che in quelli diplomatici.
Il 9 ottobre 1967 è infatti al comando del reparto antiguerriglia che in Bolivia cattura e uccide il simbolo dei rivoluzionari dell'America Latina e non solo: Ernesto Che Guevara.
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La foto del cadavere del Che, con gli occhi sbarrati, fa il giro del mondo.
Il suo cadavere non sarà mai trovato, distrutto o sepolto dall'esercito boliviano. L'identificazione avviene attraverso le impronte desunte dalle mani, amputate allo scopo da un medico militare.
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Anche se l'operazione della cattura di Che Guevara è stata organizzata dall'agente CIA cubano Félix Rodríguez, è Quintanilla, allora colonnello dei servizi segreti boliviani, che si vanta pubblicamente dell'uccisione, mostrando persino macabri cimeli ai giornalisti.
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Le sue imprese successive nella repressione della guerriglia dell'ELN (Ejército de Liberación Nacional de Bolivia) lo pongono sempre di più in primo piano. La sua foto assieme al cadavere di Inti Peredo, successore di Guevara al comando dell'ELN, è l'ultima sua spavalderia.
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I guerriglieri lo hanno inserito fra i primari obiettivi da colpire, ritenendolo responsabile della decisione di uccidere il Che e di averne vilipeso il cadavere.
Quintanilla viene quindi inviato come console in una tranquilla città europea, dove si ritiene sia al sicuro.
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Torniamo ad Amburgo.
La pistola rinvenuta sulla scena del delitto viene analizzata dalla polizia tedesca che ne rintraccia il proprietario: è Giangiacomo Feltrinelli, ma l'editore italiano è già entrato in clandestinità dopo aver fondato i GAP ( Gruppi d'Azione Partigiana).
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La pista investigativa si concentra quindi subito verso i gruppi del estremismo di sinistra internazionale, e in particolare verso una donna boliviana, di origini tedesche, che lo stesso Feltrinelli ha incontrato nel 1967 nel paese sudamericano: Monika Ertl.
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Monika è la figlia Hans Ertl, un fotografo ed operatore cinematografico tedesco che ha lavorato sotto il nazismo con Leni Riefenstahl ed ha collaborato alla produzione di cinegiornali ed altro materiale propagandistico a contatto con le più alte gerarchie del nazismo.
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Dopo la guerra, timoroso di essere imprigionato dagli Alleati, fugge assieme alla figlia attraverso la famosa "Ratline", il percorso che dall'Europa fa giungere i ricercati nazisti negli "accomodanti" paesi del Sud America, e si stabilisce a La Paz in Bolivia.
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Monika e suo padre fanno parte della società di espatriati tedeschi nella capitale boliviana, politici nazisti, ex SS, membri della Gestapo. Un certo Altmann li frequenta spesso tanto che la bimba lo chiama "zio".
In realtà è Klaus Barbie, il boia di Lione.
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Così passa la sua adolescenza in questo ambiente di benestanti nostalgici nazisti e ne sposa persino uno. Ma dopo dieci anni di matrimonio capisce di non volere quella vita e divorzia.
Monika trova nel Che e nella Rivoluzione una nuova fonte di ispirazione.
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È la morte del suo idolo che la convince a compiere l'ultimo passo. Nel 1967 si aggrega all'ELN. Sa già sparare bene, glielo ha insegnato il padre, e presto diventa una vera guerrigliera. Monika non c'è più. Al suo posto è nata Imilla, suo nome di battaglia rivoluzionario.
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Si innamora del luogotenente del Che, Inti Peredo, che ha preso il suo posto al vertice dell'organizzazione. Ma Inti nel 1969 viene catturato proprio da Quintanilla, torturato ed ucciso.
L'ELN progetta la vendetta e sarà proprio Monika che dovrà metterla in pratica.
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Nel marzo 1971 arriva ad Amburgo dove si stabilisce in una comune. Si fa passare per una turista australiana e si reca al consolato boliviano per avere il visto per visitare il paese. Grazie al suo gradevole aspetto riesce ad avere un incontro col console in persona.
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È Quintanilla.
Da solo.
È il momento della vendetta.
Per il Che. Per Inti. Per tutti i compagni uccisi e torturati da colui che era stato fino a poco prima a capo dei servizi segreti del regime boliviano del generale Barrientos.
Tre colpi di pistola e poi la fuga.
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Il governo boliviano mette sulla sua testa una taglia di 20.000 dollari. Rientrata in Bolivia sembra che sulle sue tracce si sia messo lo "zio Klaus" della sua adolescenza, il famigerato Klaus Barbie che già da anni collabora coi servizi segreti del paese.
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Il 12 maggio 1973 il ministro dell'interno boliviano Alfredo Arce Carpio comunica alla stampa che due guerriglieri dell'ELN sono stati uccisi durante una operazione militare: uno di essi è Monika Ertl.
Finisce così la "fuga" di Imilla, che ha voluto vendicare il Che.
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Ma la storia non si ferma con lei.
L'11 maggio 1976 a Parigi viene ucciso in pieno giorno sotto ad un ponte sulla Senna Joaquin Zenteno Anaya, comandante della regione militare di Santa Cruz dove fu catturato e ucciso il Che.
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Klaus Barbie invece continua la sua "carriera" appoggiando il golpe del 1980 del generale boliviano Luis García Meza con la collaborazione dei neofascisti italiani Delle Chiaie e Pagliai con i quali aveva creato un gruppo paramilitare che controlla il traffico di cocaina.
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Il ritorno alla democrazia del paese sudamericano gli fa perdere però gli appoggi necessari a sfuggire alla giustizia. Nel 1983 viene estradato in Francia dove viene condannato nel 1987 all'ergastolo.
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Il suo processo svela che ha lavorato per i servizi prima americani poi tedeschi fino da subito dopo la guerra.
Morirà in prigione per leucemia il 25 settembre 1991.
Alfredo Arce Carpio cade in disgrazia nel 1987 dopo uno scandalo di droga. Verrà assassinato nel 2001.
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Félix Rodríguez continuerà la sua carriera nella CIA diventando nel 1969 cittadino USA, operando anche in Vietnam, e venendo coinvolto nel 1986 nello scandalo Iran-Contras.
Nel 2005 è fra i fondatori del Museo della Baia dei Porci a Miami.
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La foto del tweet 14 non raffigura Monika Ertl, grazie a @Brandofrascella per la segnalazione.

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