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"Finiremo tutti colpevoli per non aver capito che i mali grandi e irrimediabili dipendono dall’indulgenza verso i mali ancora piccoli e rimediabili” (V. Foa)

Aug 2, 2023, 18 tweets

Qualcuno ha detto recentemente, riguardo la mafia, che "In Sicilia servono compromessi, tutti lo sanno”.
Si sbaglia.
Perchè se vuoi sconfiggere la mafia non puoi scendere a compromessi.
Se lo fai sei solo complice.
Con la mafia non si tratta.
Mai.

Lo so bene. Lo sapevamo bene. Intendo io e mio padre.
Lo dimostra il fatto che nel settembre 2014, a Siracusa, hanno danneggiato la lapide che commemorava proprio mio padre.
L'hanno tolta dal supporto metallico su cui si ergeva e l'hanno distrutta in mille pezzi.

Mi chiamo Giuseppe Francese.
Mio padre Mario era nato a Siracusa il 6 febbraio 1925, terzo di quattro figli.
Finito il ginnasio si era trasferito a Palermo a casa di una zia, la sorella della madre.
Ciò per poter completare il liceo e poi frequentare l'Università.

Conseguita poi la maturità classica, decise di iscriversi alla facoltà di Ingegneria, cominciando a lavorare all'Ansa.
Il suo sogno di giornalista inizia diventando corrispondente de «La Sicilia» di Catania, dove scrive di cronaca nera e giudiziaria.

Il 30 ottobre 1958 papà Mario si sposa con Maria Sagona.
Dall'unione nasceranno quattro figli maschi.
Tra cui io.
Preparare comunicati stampa per i giornali gli sta stretto.
E va a lavorare come cronista giudiziario al Giornale di Sicilia.

Papà diventa una delle firme più importanti del giornale.
Nel 1968 diventa giornalista professionista.
Riesce a intervistare la moglie di Totò Riina, Ninetta Bagarella e pubblica l’intervista sul Giornale di Sicilia il 27 luglio 1971.
“Io mafiosa ? Sono solo una donna innamorata”

Papà era speciale.
Il primo a capire l'evoluzione strategica e i nuovi interessi della mafia corleonese.
Non a caso parlò, unico a quei tempi, della frattura nella «commissione mafiosa» tra liggiani e «guanti di velluto», l'ala moderata.
E Cosa nostra lo condannò a morte.

26 gennaio1979 – Palermo. Ore 21.00.
Mario Francese saluta i colleghi.
Al solito modo: “Uomini del Colorado, vi saluto e me ne vado”.
Esce dalla redazione del giornale e si avvia in auto verso casa in Viale Campania.
Poca gente.
Diverse macchine sfrecciano veloci.

Mario arriva a casa e scende dall’auto.
Mette una mano in tasca per prendere il pacchetto di sigarette.
Un’alfetta lo affianca.
Nemmeno si accorge del proiettile che lo colpisce alla testa.
Muore sul colpo.
Dall’alfetta parte un'altra raffica di colpi.

Palermo. Ore 21.15 – Uno dei figli di Mario è impaziente.
Il padre doveva essere già a casa.
L’altro figlio, Giuseppe ha solo dodici anni.
Stanno aspettando il padre di rientro dal lavoro. Sentono gli spari.
Giuseppe è sconvolto.
Mario Francese, il loro papà, è morto.

Dopo la morte di Mario Francese non si riuscì consegnare alla giustizia i mandanti e gli esecutori dell’omicidio.
Era stata sicuramente la mafia, ma non si trovavano riscontri.
Sarà il figlio Giuseppe, con la passione del giornalismo, a far riaprire le indagini.

Giuseppe Francese, il figlio più piccolo di Mario, si era rimboccato le maniche e aveva ricostruito l’attività di suo padre attraverso i suoi articoli.
Il suo obbiettivo era di trovare dei collegamenti.
E li trova.
E nella primavera del 1995 consegna tutto alla pm Enza Sabatino.

11 aprile 2001 - Per l’omicidio di suo padre vengono condannati Totò Riina, Leoluca Bagarella (autore materiale), Raffaele Ganci, Francesco Madonia, Michele Greco e Bernardo Provenzano.
Giuseppe ha raggiunto il suo scopo.
La verità su suo padre.
Si sente svuotato.
Stanco.

3 settembre 2002 - Giuseppe si è tolto la vita.
Sui suoi appunti una frase di Alessandro Baricco che ama molto, scritta nel libro “Castelli di rabbia”. "Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde".

Il perché lo abbia fatto appartiene solo a lui.
Noi possiamo solo prenderne atto.
Aveva una sensibilità infinita.
Forse troppa per sopportare tutto quello che vedeva intorno a sé.
"Il dolore lo ha corroso, ma ha reso giustizia a nostro padre" dirà il fratello.

“La mafia è il nostro cancro, e noi dobbiamo trovare il modo, il metodo, la formula, il coraggio di combatterlo e sconfiggerlo. Non possiamo abbassare la guardia, ma più forti e consapevoli rispetto al passato, dobbiamo essere consci del fatto che POSSIAMO SCONFIGGERLA!”

Qualcuno ha detto recentemente, riguardo la mafia, che "In Sicilia servono compromessi, tutti lo sanno”.
Si sbaglia.
Perchè se vuoi sconfiggere la mafia non puoi scendere a compromessi.
Se lo fai sei solo complice.
Con la mafia non si tratta.
Mai.

Molti giornalisti furono uccisi.
Molti magistrati pagarono con la loro vita l’impegno contro la mafia.
Anche molte persone comuni.
Ma se pensate a una loro sconfitta vi sbagliate.
Loro hanno vinto.
Almeno fino a quando continueremo a raccontare le loro storie.
Per non dimenticare

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