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2cents su #agenziedirating e #debitopubblico fino ad arrivare ai fondi #NGEU, alla #crisidigoverno e (chissà) a #Draghi

Quando si parla di agenzie di rating, come fai sbagli:
da un lato, se non intervengono, le si accusa (a ragione) di aver generato degli squilibri finanziari
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nel sistema (vedere GFC 2007-08); dall’altro, se intervengono o se ce n’è anche solo il sentore, le si accusa di poter causare il fallimento dell’istituzione oggetto di downgrade (self-fulfilling prophecy).

Qualcuno potrebbe chiedersi, insomma, a che servono?
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L’esistenza delle agenzie di rating è giustificata dalla necessità di favorire una meno asimmetrica diffusione delle informazioni tra gli investitori e le imprese/governi che richiedono risorse sul mercato. È un servizio a vantaggio degli investitori, in quanto gli permette di
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assumere delle decisioni più consapevoli, e delle istituzioni finanziarie, che possono utilizzare i giudizi di merito sull’affidabilità di emittenti ed emissioni per la misurazione dei rischi assunti in portafoglio.

Qui sorge tutto un risvolto in termini di
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stabilità finanziaria del sistema, poiché la vigilanza prudenziale impone a determinati intermediari, come banche e assicurazioni, una copertura patrimoniale proporzionale ai rischi assunti. Tra il soggetto pubblico e l’industria finanziaria, e in particolare in Italia, esiste
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un forte legame che deriva dal ruolo che questi investitori hanno assunto nel tempo nel collocamento dei titoli del debito pubblico. Questo legame, descritto come altamente pericoloso, è una sorta di killer loop: per capirne la letalità basta pensare ai riflessi sul paese
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e sul sistema finanziario domestico di un downgrade del debito pubblico da parte delle agenzie di rating.

La regolamentazione (o lo statuto interno per alcuni fondi di investimento) impone l’impossibilità per svariati investitori (fondi pensione, assicurazioni) di detenere in
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portafoglio obbligazioni per le quali il debitore abbia ottenuto un giudizio di rating al di sotto della soglia dell’investment grade. Ugualmente, qualora il declassamento a speculative grade (junk bond) avvenisse solo in seguito all’emissione, questi investitori dovrebbero
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necessariamente liberarsene per la maggiore rischiosità espressa. Questo ha conseguenze rilevanti in tema di stabilità macroeconomica. A seconda dell’agenzia di rating presa a riferimento, l’Italia si trova appena uno o due scalini (notch) sopra la soglia di non investimento:
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se venisse degradata, cosa succederebbe?

Il debito pubblico detenuto da questi investitori dovrebbe essere ceduto (ed in teoria anche quello detenuto dalla BCE, che però continuando i suoi massicci programmi di acquisto ha anche temporaneamente sterilizzato
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un’analoga disposizione statutaria per contrastare gli effetti economico-finanziari della crisi sanitaria). La quota di debito pubblico oggetto di vendita “forzata” sarebbe rilevantissima: se il declassamento avvenisse davvero, senza un ulteriore “ombrello” della BCE
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il mercato dei titoli di Stato non sarebbe probabilmente nemmeno più capace di formare dei prezzi; l’Italia perderebbe accesso ai mercati per le emissioni di routine (4/500 mld annui); il passo verso il default o una ristrutturazione sarebbe certo. Questo è il motivo per cui
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nessuna agenzia di rating al momento si assume la responsabilità di compiere questo passo, rinviando la decisione, nonostante il degradarsi della situazione macroeconomica italiana. Torno al punto iniziale: si sta solo nascondendo la polvere sotto al tappeto?
E per le banche?
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Le conseguenze sarebbero altrettanto gravi: oltre alla svalutazione degli attivi ampiamente investiti in debito domestico, con la conseguenza che per rimanere compliant ai coefficienti patrimoniali l’unica via sarebbe quella del razionamento del credito, verrebbe anche meno
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la possibilità di appostare questi bond come collateral nelle operazioni di rifinanziamento. Perso il rifinanziamento presso BCE, scoppierebbe il terrore sull’interbancario. Oltre alle ovvie conseguenze di rischio sistemico, ci sarebbe un’ulteriore depressione degli altri
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attivi, svenduti per ottenere liquidità. E in loop, di nuovo problemi di patrimonializzazione, etc…

Siamo sul baratro, lo eravamo già prima del 2020, lo siamo ancora di più oggi.

Basta un soffio.

Cosa fare?
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Certo, oggi grazie alla BCE il downgrade non sembra prezzato nello spread, ed il giudizio through the cycle delle agenzie di rating ci mette al riparo nel breve dalle condizioni avverse della pandemia, ma ci sarà un domani a cui dobbiamo guardare con assoluta fermezza.
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Per mandato, la BCE non può formalmente garantire la solvibilità di uno Stato (fortunatamente l’azzardo morale conta ancora a Francoforte), ma gli acquisti sul mercato secondario dei titoli già collocati raggiungono volumi giganteschi, e l’effetto ottenuto è sostanzialmente
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quello (anche se solo temporaneamente). Ad oggi i volumi sono più che giganteschi: prima della crisi Covid nel bilancio della BCE erano iscritti asset per 4.600 miliardi di euro; oggi per contrastare gli effetti sui mercati del virus siamo a oltre 7.000 miliardi di euro.
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Peraltro, questi 2,5 trillion addizionali sono stati acquistati derogando alle regole di capital key (l’Italia ringrazia), ovverosia non rispettando il principio per cui gli acquisti di titoli siano parametrati al PIL di ciascun paese sul PIL complessivo dell’eurozona.
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In sintesi, è da anni che alcuni paesi a rischio (Italia in primis) sono in terapia intensiva e la BCE continua a fornire loro l’ossigeno che li tiene in vita, ma per rialzarsi e camminare sulle proprie gambe, con i propri polmoni, i pazienti hanno bisogno di riforme.
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Alcune sono ottimamente riassunte in questo articolo di @alebarbano:
huffingtonpost.it/entry/il-rifor…
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In questo contesto si inseriscono i fondi Next Generation EU. In un Paese arrivato ad un rapporto debito/PIL del 160% appare assolutamente necessario che la gestione di questi 209 miliardi sia affidata a dei #costruttori, per richiamare le parole del Presidente #Mattarella,
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che abbiano come unico obiettivo la crescita economica. Se così non dovesse essere, quella che è la nostra ultima possibilità di riportare su un sentiero di sostenibilità le nostre finanze pubbliche si trasformerebbe nella spinta finale, giù nel baratro.

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1 Feb
@emanuelefelice2 1/
Chiedo sommessamente, perché il responsabile economico del PD fa passare un messaggio così fuorviante?
Al cittadino medio interessa quello che paga di IRPEF, non qualche percentuale sulla marginalità della tassazione da 30 a 35 o da 70 a 75.
@emanuelefelice2 2/
Chi guadagna 30.000€ paga 7720€ di IRPEF lorda, ma prende 1200€ di bonus (ex Renzi) e risparmia 900€ per detrazioni lavoro dipendente. Tot: 5620€; 18,7% aliquota effettiva
Chi guadagna 70.000€ paga 23.370€ e non prende/risparmia nulla: aliquota effettiva 33,4%.
@emanuelefelice2 3/
Lei afferma che il ceto medio sia tassato di più (aliq. marg. 60 vs 43 %). Un occhio attento nota che, oltre a non essere così, come dimostrato, la distorsione delle aliquote marginali scaturisce dalla presenza di bonus elargiti (peraltro del suo partito) proprio ai ceti...
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